Diaconato e Congresso Eucaristico

Ho pensato di intrattenermi con voi in modo molto semplice sui seguenti temi. Primo: il senso che ha la tematica congressuale espressa in 2Cor 5,17; secondo: il rapporto che vedo esserci fra la tematica e il Congresso propriamente detto; terzo: la vostra collocazione dentro a questo cammino e a questo contesto.

La tematica congressuale

Come è ben noto, il tema del Congresso è l’affermazione paolina: «se uno è in Cristo è una creatura nuova» [2Cor 5,17].

Non è necessario addentrarci in un percorso esegetico. è già stato fatto ottimamente dal prof. Don Maurizio Marcheselli e al suo studio vi rimando [cfr. Q2 Quaderni del Congresso pag. 5-8 e pag. 58-66]. Mi limito a citare la parte conclusiva: «Ogni uomo che nasce, nasce come Adamo e tutti noi siamo, senza possibilità di scampo, il primo Adamo: l’Adamo che tutto conosce secondo la carne, l’Adamo che, valutando anche il Cristo secondo la carne, lo ritiene

un folle. “In Cristo” è data ad ogni uomo la possibilità di far parte dell’ultimo Adamo. è una possibilità che si attualizza per l’adesione a Lui mediante la fede. Non è tuttavia una condizione magicamente garantita: la condizione “in Cristo” è un dato oggettivo che esige un riscontro nell’esistenza concreta del credente» [pag. 7-8].

Siamo introdotti dal testo paolino dentro al dramma della redenzione dell’uomo, il quale “naturalmente” [per nascita] si trova in un condizione di perdizione: condizione originaria ben confermata e riscontrata dalle scelte libere di ciascuno. Ma a questo uomo è donata la possibilità non solo di ricostruire le rovina della sua umanità, ma di ritornare alla pienezza di quella verità secondo la quale il Padre l’aveva pensato in Cristo. Insomma,

tutto il destino umano, il destino finale dell’uomo, si gioca in un avvenimento che può accadere nella sua vita  o non accadere: l’essere in Cristo nuova creatura. Con due movimenti o meglio due dimensioni costitutive dell’avvenimento stesso: l’essere nuove creature; l’esserlo in Cristo.

Quanto ho detto ha due significati: un significato soggettivo ed un significato oggettivo.

Significato soggettivo. Il permanere nella condizione di “vecchia creatura” o il divenire in Cristo “nuova creatura” dipende anche dalla decisione del singolo. Non si può essere nuove creature senza avere mai deciso di diventarlo. Non si può rimanere nella condizione di “vecchie creature” senza una libera resistenza alla grazia del Padre, che vuole salvi tutti gli uomini e che tutti giungano alla verità. Quindi il luogo in cui avviene

il passaggio dalla vecchia alla nuova creazione è il cuore del singolo. Come è a voi noto, è soprattutto S. Paolo che narra in testi di rara potenza espressiva la tensione e la lotta che agita il cuore umano [cfr. per es. Gal 5,16ss]. Leggendo e meditando questi testi sentiamo tutta la grandezza di questa tensione che si svolge nel cuore dell’uomo fra il volere rimanere “in Adamo vecchia creatura” o accettare il dono dello Spirito di “essere in Cristo  nuova

creatura”.

Significato oggettivo. La persona umana è costituzionalmente relazionata agli altri: è già sempre in rapporto con le altre persone umane. La tensione di cui parlavo poc’anzi, la lotta ed il conflitto fra le due condizioni soggettive, trova la sua espressione anche nel piano della socialità umana. Anche la dimensione esteriore dell’uomo ne è percorsa, così che l’uomo si trova a vivere in una condizione anche oggettiva di “vecchia

creazione”. Si trova a vivere in una cultura ed in una civiltà che appartiene alla “vecchia creazione”.

Ma ugualmente, chi in Cristo è nuova creatura è reso capace di rinnovare anche la società nei suoi assetti strutturali, cioè politici, economici, giuridici, culturali. è reso capace di introdurre nella società la novità di Cristo, di fecondarla e rinnovarla con il vangelo accolto nella fede.

Nel discorso alla Curia Romana il 22 dicembre u.s., il S. Padre benedetto XVI dà un’interpretazione assai profonda del pontificato di Giovanni Paolo II. Cito: «il Papa si mostra profondamente toccato dallo spettacolo del potere del male che, nel secolo appena terminato, ci è stato dato di sperimentare in modo drammatico. Dice testualmente: “non è stato un male in edizione piccola… è stato un male di proporzioni gigantesche, un male che si è avvalso

delle strutture statali per compiere la sua opera nefasta, un male eretto a sistema” … A causa dell’esperienza del male, la questione della redenzione, per papa Woitila, era diventata l’essenziale e centrale domanda della sua vita e del suo pensare come cristiano».

Queste ultime parole stringono il nodo essenziale del questionare umano, dicono esattamente il senso ultimo della tematica congressuale: la questione della redenzione dell’uomo, della ricostruzione della sua umanità, del rinnovamento della sua esperienza umana. Non c’è che una via: l’essere in Cristo  nuova creatura.

Potrei ora riprendere in mano tanti momenti del mio magistero episcopale dal tempo in cui sono in mezzo a voi, e verificare con voi come questo è il “filo rosso” che li attraversa per intero. Non abbiamo il tempo di farlo. Mi limito ad una riflessione conclusiva di questo primo momento della nostra meditazione.

La dico in maniera un po’ icastica, per brevità: stiamo assistendo al tentativo di rendere vana la Croce di Cristo. è la posizione, questa, di chi di fronte alla Croce di Cristo dice: «e che bisogno c’era? non era necessario». Mi spiego. La Croce di Cristo è resa vana quando non si prende più sul serio il male umano: la “banalizzazione del male” genera la “vanificazione della Croce di Cristo”. La banalizzazione del

male oggi la vediamo perfettamente rappresentata da Sancho Panza che si bastona da solo! Cioè: se è l’uomo a decidere la verità circa il bene ed il male dell’uomo,  lo stesso uomo può/deve ritenersi capace di eliminare il male dell’uomo. Ed allora: cur Deus homo? cur Deus crucifixus? cur Deus panis hominum?

Scrive stupendamente S. Bernardo: «considerando il rimedio, mi rendo conto della gravità del pericolo in cui verso… Riconosci, o uomo, quanto gravi siano le tue ferite per guarirti dalle quali fu necessario che Cristo Signore fosse ferito. Se esse non fossero state mortali e causa di morte eterna, mai il Figlio di Dio sarebbe morto per guarirti» [Sermo de Nat. III, 4,15-20; SCh 481,54].

Come vedete la tematica congressuale ci introduce nel cuore del dramma umano. Ed è perché la nostra Chiesa si introducesse sempre più profondamente in quel cuore, che ho scelto questa tematica.

Collocazione del Congresso

Nel secondo punto della mia riflessione vorrei rispondere alla seguente domanda: come si pone la celebrazione del Congresso dentro alla tematica appena esposta? Notando subito che quando parlo di Congresso non intendo solo le celebrazioni solenni e pubbliche finali. Intendo tutto il percorso che noi faremo durante l’anno congressuale, da S. Petronio 2006 a S. Petronio 2007.

Esiste in primo luogo una collocazione di carattere teologico. Lo richiamo brevemente, rimandandovi al già citato Q2 Quaderni del Congresso, soprattutto al contributo del prof. Don Mario Fini [pag. 26-33]. Mi limito a sottolineare un aspetto.

Il passaggio dalla vecchia alla nuova creazione è operato nella e dalla morte-risurrezione di Cristo: obiettivamente nella Pasqua del Signore è accaduta la novità. Quali significati veicolino queste parole ho cercato di dirlo nel punto precedente.

L’Eucarestia, la sua celebrazione ed adorazione, è la presa di possesso dell’uomo da parte del Cristo Crocefisso e Risorto, per trasformarlo in Sé. è il “punto” in cui  mediante l’uomo, vertice del creato, Cristo ricostruisce le rovine della vecchia creazione; è il “punto” in cui si incontra la Vita e la morte e la morte viene vivificata; è il punto in cui il male viene vinto – nel cuore dell’uomo – dalla

forza che è l’effetto proprio dell’Eucarestia.

Il Congresso è quindi l’occasione propizia perché tutta la nostra Chiesa, ciascuno di noi in essa, prenda consapevolezza sempre più profonda della verità dell’Eucarestia.

Esiste poi una collocazione di carattere antropologico-etico, sul quale vorrei soffermarmi un po’ più lungamente.

Parto da un passaggio del già citato discorso del S. Padre, che dice testualmente: «soltanto nell’adorazione [eucaristica, agg. mia] può maturare un’accoglienza profonda e vera. E  proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell’Eucarestia è racchiusa e che vuole rompere le barriere che non sono solo fra il Signore e noi ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni gli altri».

Il testo, come ogni testo del S. Padre, è assai denso di significato. Il passaggio sul quale vorrei attirare in modo particolare la vostra attenzione è l’affermazione secondo la quale nell’Eucarestia “è racchiusa” la missione sociale della Chiesa, del singolo cristiano. Il punto su cui meditare è nel verbo “è racchiusa”. Cioè: la partecipazione all’Eucarestia ci costituisce “missionari sociali”, dal

momento che la missione è dentro al mistero eucaristico come tale [si rilegga il già cit. studio del prof. Fini , pag. 32-22]. L’Eucarestia infatti è Cristo stesso donato dal Padre al mondo; è Cristo stesso che dona se stesso al mondo: la missione dell’Unigenito da parte del Padre si compie perfettamente sulla Croce, di cui l’Eucarestia è il sacramento. Chi l’accoglie profondamente e veramente, viene coinvolto dentro a questa corrente che

ha la sua sorgente nel Padre, che è l’autodonazione del Figlio al mondo sulla Croce.

Ma il S. Padre definisce anche il contenuto preciso della missione sociale racchiusa nell’Eucarestia: rompere le barriere che ci separano gli uni degli altri. La missione sociale consiste nella ricomposizione della comunione interpersonale. La “vecchia creazione” si caratterizza anche per la disgregazione, la divisione e la contrapposizione delle persone fra loro; la “nuova creazione” si caratterizza anche come «riconciliazione» [cfr. lo studio del

prof. Marcheselli, pag. 63-64]. Tocchiamo qui una dimensione essenziale del dramma della redenzione dell’uomo: la dimensione sociale.

La missione della Chiesa non può non comprendere anche la condizione sociale dell’uomo. «La convivenza sociale spesso determina la qualità della vita e perciò le condizioni in cui ogni uomo e ogni donna comprendono se stessi e decidono di sé e della loro vocazione. Per questa ragione, la Chiesa non è indifferente a tutto ciò che nella società si sceglie, si produce e si vive, alla qualità morale, cioè autenticamente

umana e umanizzante, della vita sociale» [Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 62].

Questa dimensione della missione della Chiesa acquista oggi una particolare urgenza. Infatti «Gli ultimi decenni sono stati testimoni di quello che può essere definito un collasso culturale (cultural breakdown). Sono molti i fenomeni che stanno ad indicare come nella cultura post-moderna la gente abbia sempre più a che fare con una perdita o un allentamento dei legami sociali, con un declino del senso comunitario» [M. Fforde Desocializzazione. La crisi della

post-modernità, Cantagalli, Siena 2005, pag. 1].

Il Congresso è quindi l’occasione propizia perché tutta la nostra Chiesa, ciascuno di noi in essa, prenda consapevolezza sempre più profonda della sua missione sociale.

Possiamo già individuare alcuni ambiti dentro cui oggi la missione sociale della Chiesa deve compiersi? Il documento preparatorio al IV Convegno ecclesiale nazionale di Verona ne individua cinque: l’ambito degli affetti, l’ambito del lavoro e della festa, l’ambito della fragilità umana, l’ambito della tradizione o trasmissione di ciò che costituisce il patrimonio culturale e vitale della nostra comunità civile, l’ambito della cittadinanza

in cui si realizza l’appartenenza civile ad un popolo.

Non mi fermo ad analizzarli. La preparazione al nostro Congresso coincide perfettamente colla preparazione al Convegno ecclesiale di Verona, nel senso che le Commissioni diocesane preparatorie sono state pensate anche secondo quei cinque ambiti.

Concludo dicendo che se la missione sociale della nostra Chiesa, racchiusa nell’Eucarestia, non riesce a registrarsi secondo quei cinque registri, rimane astratta. Sarebbe una Chiesa che non si è lasciata trasformare fino in fondo dall’Eucarestia che celebra.

Diaconi permanenti, Congresso, tematica del Congresso.

In questo ultimo punto vorrei … parlare solo di voi e a voi. Cercherò di rispondere alla seguente domanda: come si colloca il vostro servizio di diaconi permanenti nella prospettiva sopra indicata, nei contesti che sopra ho delineato?

Comincio a costruire la mia risposta… un po’ alla larga. Nell’omelia detta nella festa del vostro santo patrono vi dicevo che la nostra vita, il vostro servizio si svolge dentro ad uno “spazio” determinato da quattro punti cardinali: la liturgia, la testimonianza, la comunione, il servizio [della carità]. è rimanendo dentro a questo spazio vitale, che siete coinvolti nell’avvenimento congressuale ad un triplice livello.

Il primo livello è quello personale-soggettivo. La partecipazione ministeriale alla celebrazione eucaristica esige da parte nostra una partecipazione sempre più profonda al mistero che celebriamo. Esige che il passaggio dall’essere vecchie creature in Adamo all’essere nuove creature in Cristo trovi un riscontro sempre più profondo nell’esercizio della nostra libertà. è tutto l’itinerario formativo del corrente anno che deve avere

questo profilo.

Il secondo livello è quello personale-istituzionale. Chi in un modo chi in un altro tutti voi avete responsabilità istituzionali-ecclesiali. L’avere riflettuto sull’itinerario che la nostra diocesi sta percorrendo, averne colto il significato e le ragioni profonde, vi abilita ad offrire aiuto alle vostre comunità perché si preparino al Congresso in modo sempre più consapevole. è questo il profilo che deve avere quest’anno il vostro

servizio diaconale: secondo le diversità delle condizioni, in cui versano le vostre comunità, in piena comunione coi vostri parroci.

Il terzo livello  è quello personale-sociale. Avete responsabilità dentro alla società in cui vivete, nel vostro lavoro e/o nelle vostre famiglie. A chi è possibile, vi chiedo con forza di partecipare alla Scuola di formazione sociale-politica eretta presso il Veritatis Splendor, e che inizierà il 13 gennaio prossimo. è una scuola per l’educazione al giudizio nei vari ambiti del vivere associato, alla luce della fede. La transizione

del credere al vivere è mediata dal giudizio pratico. Se  di esso non ne siamo capaci, la fede resterà separata dalla vita.

Se il primo livello è orientato soprattutto dal punto cardinale della liturgia, il secondo della comunione, il terzo della testimonianza, l’esistenza nella sua unità è determinata e definita dal punto cardinale del servizio della carità.

Conclusione

Siamo collocati dentro alla risposta che Dio ha dato alla nostra domanda: cur Deus homo? Risposta: ut homo fieret Deus. Non possiamo accettare supinamente che l’unico spazio aperto per l’uomo sia il cortile della sua prigione, quella prigione dentro cui ha deciso di chiudersi. Cristo ci ha liberati da questa prigione. “Alzatevi, andiamo”, dice il Signore ai suoi apostoli nel Getzemani.

 

07/01/2006
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