Conclusione del G20 delle religioni

“C’è un tempo per guarire”. È la nostra responsabilità, e una grande speranza! È questo il tempo per guarire. Si può guarire! Non farlo significa lasciare il mondo malato. Bisogna scegliere il tempo e in tempo, vivere questo tempo, non subire che sia questo a scegliere tanto che alla fine arriviamo solo “per contrarietà”. Il tempo è davvero superiore allo spazio.

Ecco una delle ricchezze di questi giorni di dialogo. C’è un tempo per guarire. La parva carta ci ha guidato: “Noi non ci uccideremo, noi ci soccorreremo, noi ci perdoneremo”. Certo, dovremo lottare sempre contro i temibili e insidiosi virus: lo abbiamo capito tutti in questa pandemia, anche chi tradito dal benessere pensava di potere restare sano in un mondo malato. Siamo vulnerabili e tutti i virus, il vero virus, che è il male, si trasformano per colpire la vita, per renderla inutile, tanto che gli uomini stessi la scartano e quindi si scartano.

Non accettiamo come ineluttabile nessuna “grande divergenza”, tra Paesi e anche all’interno dei Paesi, tra i giovani, le persone con basse qualifiche, le donne e i lavoratori informali colpiti in modo sproporzionato dalla perdita del lavoro. In campo economico un rinato multilateralismo degli Stati, come delle istituzioni internazionali, è forse un inizio di una rinnovata coscienza decisiva per tutte le pandemie: “staremo al sicuro solo quando tutti staranno al sicuro”.

E questo vale per tutto, dal contrasto dei cambiamenti climatici alla scelta di investimenti negli obiettivi di sviluppo sostenibile. Come persone animate da diverse fedi religiose sappiamo che amare Dio significa anche amare il prossimo. A chi decide che alcuni restino indietro o addirittura fuori della “stessa barca”, (si tratta sempre dei più fragili), come presunto prezzo da pagare per risolvere i problemi, noi diciamo che la sofferenza di tutti ci riguarda, che siamo custodi di Abele e che questo orienta le nostre scelte, personali e collettive. Solo se sono garantiti i più fragili lo siamo tutti.

L’esperienza, dolorosissima, di questi lunghi mesi ci ha fatto capire, almeno per un attimo, che siamo sulla stessa barca. Lo capiamo, però, senza la rivoluzione copernicana per cui l’io trova se stesso non perché sta al centro ma perché entra in relazione con il prossimo, possiamo facilmente dimenticare questa consapevolezza, tanto da riprendere la logica del “salva te stesso” o del “prima io”, che può diventare anche un “io” collettivo.

Noi, dopo questi giorni, diciamo con ancora maggiore convinzione: “prima noi!”, perché solo insieme ne usciamo, a cominciare dai più indifesi. La pandemia ci ha ricordato che tutto è legato, che la casa è davvero comune e che quindi sfruttarla dissennatamente, pensando che il pezzo della casa è mio, mette in discussione la stabilità di tutta la casa e il futuro di coloro che hanno diritto, come noi, di poterla abitare.

Se proprio non riusciamo a lasciare la terra migliore di come l’abbiamo trovata, almeno non sia peggiore! Combattiamo l’inquinamento che minaccia e in realtà già colpisce drammaticamente la salute della Terra così come l’inquinamento che avvelena le relazioni tra le persone. Se tutto è globale anche la soluzione dei problemi richiede il coinvolgimento di tutti e il rafforzamento dei luoghi dove si decide insieme.

Soprattutto renderli efficaci, proprio perché forti di questa consapevolezza: non c’è futuro senza l’altro. Non si può deludere questa speranza! Provocherebbe rabbia e depressione, aggressività e chiusura. Non possiamo rassegnarci a non raggiungere gli obiettivi indicati come necessari: il nostro impegno etico è di fare di tutto perché si traducano almeno in cantieri di lavoro! La presenza questa sera del Primo Ministro Draghi dimostra l’attenzione che ha per preparare il prossimo G20 usando questa riserva di saggezza e di etica che viene dalle fedi religiose.

Peraltro, quando si sceglie la collaborazione per il raggiungimento di un obiettivo comune si vedono i risultati, come è avvenuto nel mondo scientifico per individuare il vaccino. Non deve essere questo il metodo da continuare, nella consapevolezza che da soli si perde e solo insieme se ne esce? Non deve esserlo per tutti? Solo se i Paesi poveri saranno vaccinati, possiamo sentirci sicuri. Le fedi cercano le cose alte, dentro e fuori di sé, e possono per questo permettere di guardare lontano e quindi di scegliere la direzione del bene per tutti.

È scritto nel libro del profeta Isaia: “Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa” (Is 48,9). E poco dopo aggiunge: “Il digiuno che voglio non è sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto” (Is 58,6-8).

È la strada che abbiamo percorso, quella del dialogo. Le pandemie si diffondono e colpiscono con ancora maggiore forza proprio se i muri sono tanti e alti mentre i ponti pochi e fragili. Così si contrastano i semi di intolleranza, come proclamò solennemente quasi sessanta anni or sono il Concilio Vaticano II per quello antisemita, da ripudiare e deplorare “da chiunque e in qualunque tempo” (Nostra Aetate 4).

Ed è la stessa preoccupazione che dobbiamo avere per guarire da ogni seme (sempre inquietantemente fertili) di ignoranza, intolleranza, di vecchi e nuovi razzismi, scegliendo la via dell’incontro, dell’educazione per combattere l’analfabetismo religioso. La ferita dell’uno si rimargina se si cura quella dell’altro. Dobbiamo essere insieme, anche per proteggere la convivenza e fare rispettare ovunque le minoranze. La strada è quella coraggiosa tracciata ad Assisi, nell’ incontro profetico voluto da San Giovanni Paolo II per combattere la pandemia della guerra e per conseguire quello che solo insieme si può raggiungere e godere: la pace.

Quanto c’è, però, da fare perché questa diventi cultura e incontro tra popoli e persone! Il contrario della pandemia, male universale, è la fraternità universale. E questa è affidata a ciascuno: come nel Covid ognuno ha capito che è responsabile, con il suo atteggiamento, dell’altro. Martin Buber diceva che l’unica cosa che conta è cominciare da se stessi perché «il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. “Cerca la pace nel tuo luogo”.

Quando l’uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero». E in questi giorni ci siamo aiutati, tra fedi religiose, a farlo! Abbiamo misurato i problemi, le resistenze, gli interessi economici enormi, spesso oscuri e temibili e proprio per questo, in questo clima, umilmente, ma fermamente desideriamo offrire queste riflessioni a quanti devono e possono decidere per soluzioni comuni a vantaggio di tutti.

Non possiamo accontentarci di curare le ferite senza rimuovere le cause. Il sangue di tutti gli Abele domanda di essere ricordato. Questo è stato il grido che abbiamo tutti ascoltato dalle diverse religioni. Alle tre “P” degli obiettivi globali dell’Onu – people planet prosperity – Papa Francesco ha voluto aggiungere quella di pace, che non è solo la risoluzione dei conflitti esistenti ma anche il diritto alla pace, che significa controllare il commercio delle armi e cercare il disarmo atomico, perché non valutiamo la capacità distruttrice, minaccia terribile considerando l’istinto di Caino sempre accovacciato alla porta. Attenzione a non negligere questa realtà, che non è mai inerte, come abbiamo fatto con le epidemie.

E poi i tanti pezzi della guerra mondiale continuano a versare nel mare del mondo l’inquinamento della violenza, dell’odio, del pregiudizio, seme che in maniera inquietante è sempre fertile. Il terrorismo, tradimento dell’umanità e bestemmia della fede, è frutto e causa proprio di questo inquinamento, anche perché esso stesso è anche aiutato da interessi economici. Non vogliamo che la fraternità sia tutt’al più un’espressione romantica, ma una convinta prassi di impegno comune.

Su questa strada, come ci ricorda il professore Melloni (desidero ringraziare lui e tutti i tanti indispensabili collaboratori della Fondazione che hanno permesso la realizzazione di questo incontro) abbiamo percorso il primo decisivo e affatto scontato miglio: quello che ha sconfessato la violenza. Era impensabile quaranta anni or sono. Dobbiamo però continuare in una strada che si apre proprio camminando. Il ricordo delle persone uccise nei luoghi di preghiera – che studieremo come continuare – ci ha unito intimamente, facendoci scegliere di stare tutti dalla parte delle vittime.

Sono tutte nostre. L’autentica risposta religiosa al fratricidio è la ricerca del fratello. Noi siamo il custode di Abele ma per certi versi anche di Caino, perché la violenza non vince la violenza e Dio lo protegge, perché non si vince la violenza con la violenza e perché il sogno di Dio è che finalmente Caino impari a dominare l’istinto riconoscendo suo quello che ha il fratello. Questa staffetta del G20-Interfaith ha raccolto il testimone qui a Bologna, città da sempre del dialogo, che ospitò tre anni or sono l’incontro interreligioso organizzato dalla Diocesi e dalla Comunità di Sant’Egidio e che ad iniziare dai suoi accoglienti portici e dall’Università è un deposito di tanta sapienza a riguardo.

Desidero oggi ricordare il primo presidente della Fondazione, Nino Andreatta, maestro di lucidità morale, che ha sempre cercato l’economia per la persona e non viceversa, contro l’interesse e il profitto della speculazione. Lucidità morale e etica richiedono affinamento interiore, unica via per resistere ai virus divisivi.

Davanti alle tante difficili domande il poeta si interrogava su “quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo, per quanto tempo dovranno volare le palle di cannone prima che vengano bandite per sempre, quante orecchie deve avere un uomo prima che ascolti la gente piangere e quanti morti ci dovranno essere affinché lui sappia che troppa gente è morta?”.

Oggi le fedi religiose trovano insieme una risposta e la affidano perché cresca, a partire dal prossimo G20, la strada nel deserto. Le lacrime di tanti, e le lacrime sono tutte uguali e importanti per Dio, ci spingono a questo, consapevoli, certo, che “dopo una collina ce ne sarà un’altra” ma anche che solo scegliendo di salirle assieme potremo superarle. Perché siamo e vogliamo essere Fratelli tutti. Dio ci benedica e benedica il prossimo G20.

Bologna, Palazzo Re Enzo
14/09/2021
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