Festa della Dedicazione della Cattedrale

La Chiesa è una madre che genera i suoi figli nel tempo. Qualche volta abbiamo la tentazione, come ha detto Papa Francesco iniziando il Sinodo Generale, di essere “una Chiesa da museo, bella ma muta, con tanto passato e poco avvenire”. Qualche volta possiamo sentirci – tutti – uomini del passato, tentazione molto più sottile e pervasiva di qualche collocazione nelle geografie ecclesiastiche che leggono la Chiesa senza lo Spirito o finendo per interpretare politicamente pure quello!

Ognuno di noi è tentato di guardare indietro, la sua storia, perché è la nostra e perché facciamo fatica nell’oggi con le tante domande che causano incertezza, paura e mettono alla prova la nostra fede come per i discepoli nella tempesta. È una grande tentazione dimenticarci della nostra storia perché questa ci ha portato ad essere vecchi ed è la nostra storia di salvezza.

Il problema di Nicodemo non si risolve con una catarsi impossibile, non cercando un’altra Chiesa che spesso coincide con le proprie idee e con un piccolo laboratorio, ma lavorando – perché amore è anche lavoro – per una Chiesa diversa, con la fatica e il limite che questo rappresenta.

La Cattedrale è il deposito della nostra storia comune, casa della comunione, con le sue fatiche, contraddizioni, ma anche sempre con tanta umanità concreta che non deve mai scandalizzarci, perché in essa si è rivelata e si rivela la presenza di Dio. Questo non giustifica o copre ogni nostro atteggiamento umano ma nella nostra creta è contenuto il dono della comunione, legame con Dio e con il suo popolo. Cosa capiamo della Chiesa senza questa, senza la circolarità di doni, senza pensarci assieme?

Il contrario del tempio dello Spirito è una Chiesa piena di tavoli di cambiavalute, condizionata dalle esigenze individuali, dove ognuno prende per sé invece che dare tutto per Dio e per il prossimo, possedendo invece di amare, accettando la riduzione a piccoli spazi privati, a tavoli di interessi e convinzioni personali che dividono se non sono pensati assieme.

In fondo i cambiavalute iniziano per facilitare le cose a chi saliva al tempio! I tavoli sono anche frutto di uno zelo male inteso che poi porta a sistemarsi con le proprie convinzioni e attività, a volte con l’amarezza della disillusione ma alla fine disinteressati del resto della casa, dimenticando che ci appartiene già tutta e che in essa si è tutti a casa se siamo tutti solo per servire.

Oggi in questa nostra Cattedrale contempliamo tutto il popolo di Dio, che vive l’unica chiamata ad essere suoi, gerarchia, ministri del servizio presbiterale e diaconale, tutti i nostri ministeri istituiti e quelli indispensabili che compongono e arricchiscono il corpo della Chiesa, famiglia di Dio.

Noi non ne cerchiamo i confini con esattezza perché l’amore di Dio è sempre più largo del nostro cuore, perché c’è sempre un popolo nascosto nella città degli uomini che noi non conosciamo. Abbiamo tanti fratelli che dobbiamo incontrare! Ne abbiamo bisogno e ne sentiamo il bisogno.

Questa casa ricorda a tutti noi che siamo sempre figli, perché così siamo padri e fratelli e Gesù affida, nei diversi ministeri tutti legati gli uni agli altri, l’unità di questa casa. Gesù prega intensamente il Padre per l’unità, perché sa che la divisione rende debole la sua famiglia, la svuota, ne fa un club, un condominio, un’associazione benefica, una cooperativa.

La fraternità è costitutiva della nostra vita e della nostra missione ed è l’immagine piena alla quale siamo chiamati: un cuore solo e un’anima sola. Non lo è più quando questa diventa simbolica, operativa e non affettiva, tanto da scambiarla con il cameratismo o con un salotto per esercizi di idee, senza legami personali e senza l’attaccamento della madre che non vuole perdere nessuno dei suoi figli.

Gesù non chiede interpretazioni intelligenti ma cambiare il nostro cuore per lavarci i piedi, servi gli uni degli altri, dove altro non è esclusivo ma comprensivo, non finché c’è posto o con chi mi conviene, ma con tutti, iniziando dai poveri. Non ci sono gli altri se non ci sono i poveri nella nostra vita.

Non possiamo accontentarci della giustizia degli scribi e dei farisei dimenticando la richiesta di un amore straordinario per il mondo, ordinario per il regno cui apparteniamo. Il legame tra di noi è una dimensione personale che ci unisce, affettiva. Lo viviamo umanamente oppure ci nascondiamo in rapporti impersonali, anaffettivi, poco familiari? Un amore personale e gratuito non è la migliore libertà da una vita davvero pornografica senza legami o così condizionata dal possesso e dall’interesse come vediamo intorno a noi?

L’amore che il Signore ci chiede non è affatto meno affettivo e personale, anzi, lo è pienamente perché non si riduce al piccolo banco delle imposte. L’amore fraterno moltiplica la nostra gioia, perché ci fa vivere quel di più di gioia che c’è nel dare, perché ci rende capaci di gioire del bene degli altri, liberandoci dalla meschinità dei confronti, delle invidie, che tanti carismi dissipa impedendo di sapere stare assieme.

Ci chiediamo, anche per potere vivere una stagione di sobria ebrezza nello Spirito ed essere pieni di questo, cosa la frusta della parola di Gesù caccia dal nostro cuore e da questa casa e dalle nostre comunità. Buttare giù significa essere umili e grandi di Lui. Umiltà non è solo misurare la nostra piccolezza ma è anche comprendere la grandezza dell’amore cui siamo chiamati e quella delle nostre persone amate da Dio, chiamate da Lui, sue.

Siamo chiamati personalmente, ma siamo chiamati in un corpo. E questo non è una cosa astratta, ma molto reale, con i suoi tratti concreti, a volte deludenti come sempre la nostra carne. La città degli uomini e le nostre comunità sono il corpo nel quale si realizza concretamente l’essere in cammino.

La Chiesa è corpo, unito perché ogni parte trova senso proprio nell’essere insieme e per l’insieme. E questo è il legame che ci unisce e che dobbiamo ritrovare con tanti. Papa Benedetto citò Crisostomo: “Il vincolo con cui ci leghiamo insieme non è una catena che ferisce. Legatevi ai vostri fratelli, quelli così legati insieme nell’amore sopportano tutto con facilità… Così egli vuole che siamo legati gli uni agli altri, non solo per essere in pace, non solo per essere amici, ma per essere tutti uno, un’anima sola” (Omelie sull’Epistola agli Efesini 9, 4, 1-3).

È un legame che libera e ci permette di essere insieme ma non uguali, originali e uniti. Impariamo a parlare bene degli altri, perché è proprio vero che questo ci rafforza. Il cammino sinodale ci aiuta a metterci di nuovo per strada, ad avere autocoscienza e consapevolezza di quello che facciamo già ma anche liberi per guardare avanti con nuova decisione, cogliendo l’opportunità. L’ascolto ci offrirà motivi nuovi e una nuova determinazione a cercare le risposte, perché è come farsi carico delle sofferenze che ci vengono affidate. La nostra forza è questa comunione, “divinamente efficace” come diceva Papa Benedetto, affidata alla cura di ciascuno.

Così recita il rito di consacrazione della chiesa e questo chiediamo oggi per noi e per la nostra Chiesa di Bologna: “Ora, o Padre, avvolgi della tua santità questa chiesa, perché sia sempre per tutti un luogo santo. Qui il fonte della grazia lavi le nostre colpe, perché i tuoi figli muoiano al peccato e rinascano alla vita nel tuo Spirito.

Qui la santa assemblea riunita intorno all’altare, celebri il memoriale della Pasqua e si nutra al banchetto della parola e del corpo di Cristo. Qui lieta risuoni la liturgia di lode e la voce degli uomini si unisca ai cori degli angeli; qui salga a te la preghiera incessante per la salvezza del mondo. Qui il povero trovi misericordia, l’oppresso ottenga libertà vera e ogni uomo goda della dignità dei tuoi figli, finché tutti giungano alla gioia piena nella santa Gerusalemme del cielo”.

Bologna, Cattedrale
21/10/2021
condividi su