Omelia a Santa Maria della vita per l’inizio dell’ufficiatura dei benedettini

Bologna. Santa Maria della vita

Questa casa è davvero importante per tutta la città di Bologna ed è una gioia avere la presenza dei due monaci che garantiranno la preghiera e la celebrazione eucaristica. Non è solo una casa storica, che conserva la memoria del primo ospedale della nostra città. La chiesa non è mai un museo: è una casa aperta, dove trovo questa Madre che mi aiuta ad incontrare Gesù, nostra vita.

È una casa di amore divino in Gesù e amore umano per i suoi fratelli, ad iniziare dai più piccoli. Qui visitiamo chi è malato e portiamo la sua sofferenza tra le braccia del Signore per l’intercessione di Maria. È uno dei motivi della bellezza di questa casa che vorrei, insieme alla Asl e a tutti gli ospedali e le case di cura di Bologna, luogo di intercessione per la guarigione e la consolazione di chi è nella sofferenza.

Dio si rivela nella compassione, cioè nell’attenzione alla persona, qualsiasi essa sia. Dio ama la vita, sempre e per tutti. L’uomo non si sostituisca a Dio nell’onnipotenza dell’accanimento come dello spegnerla, ami e difenda la vita dal suo concepimento alla sua fine come Maria, Madre della Vita. Amiamola sempre, come possiamo, con l’intelligenza dell’amore, non come un feticcio, ma come il dono unico, delicatissimo, meraviglioso, prezioso, da custodire in chiunque.

Gesù non obbliga, ma insegna ad amare, perché senz’amore la vita non la sappiamo più riconoscere, la sciupiamo in noi e nel prossimo, finiamo per averne paura o farla coincidere con l’amore per sé stessi. La Chiesa come Maria resta sotto la croce, ama non la sofferenza, ma vuole che la sofferenza sia sempre accompagnata dall’amore, non sia mai lasciata sola. La bellezza del compianto ci aiuta a contemplare l’umanità di Gesù, di sua madre e dei suoi discepoli per essere noi umani, per sentire il nostro personale compianto amato dal suo amore e riflesso in quello di Gesù, per diventare nella sofferenza solidali tra noi e con questo pastore che dona la sua vita per amore nostro!

La bellezza delle varie reazioni al dolore raffigurate nel compianto ci aiuta anche a contemplare i tanti compianti, anche a capire come sono tutti di Gesù, sostenuti da Lui e da Maria. 

Lo capiamo tanto in questo tempo nel quale abbiamo sperimentato tutti, come una interminabile scossa di terremoto, la nostra vulnerabilità, la vanità delle nostre sicurezze e apparenze, la fatica davanti a tanta sofferenza la cui banalità ci sgomenta. Chi ricorda una persona che ci ha lasciato per colpa del Covid sa bene cosa significa non averla più vista, salutata, accompagnata, ascoltata, con un senso di impotenza che ci ferisce e umilia.

Ci siamo trovati come tutti, e non eravamo preparati a vivere senza difese e certezze. E non è nemmeno detto che abbiamo capito per davvero che siamo come tutti e che tutti sono come noi. Questo a volte ci incattivisce, altre cerchiamo un colpevole o finiamo per pensare che sia solo una questione momentanea.

Capiamo con più chiarezza le tante pandemie che colpiscono le persone, le tempeste che rivelano la nostra fragilità. Questa sera ne voglio ricordare due, tutte e due nostre. La solitudine degli anziani, tempesta che priva di valore la vita, la fa sentire un peso tanto che si finisce considerati solo un problema da risolvere. Essere vecchi sembra costringa ad accontentarsi di quello che si ottiene, non quello di cui si ha bisogno e diritto, spesso senza quell’elemento fondamentale, indispensabile che sono il rispetto e l’onore.

A volte basta solo uno sguardo per umiliare, per affondare nel senso del naufragio. E non è fondamentale potere restare a casa? Non è terapeutico avere accanto nella sofferenza la persona cara, che mi aiuta, mi orienta, mi trasmette il motivo per cui vivere? Dobbiamo sconfiggere l’isolamento, aiutare a restare a casa e permettere sempre un contatto che rende tutto più umano. 

E poi la pandemia della povertà, da cui si fugge perché non si ha nulla da perdere, scappando dalla fame e dalla guerra, cercando disperatamente futuro perché è rimasta solo la speranza che spinge ad affrontare sfide terribili, enormemente più grandi di ogni persona, come le onde del mare, l’ignoto, lo sconfinato, la morte, pur di arrivare.

Cosa ci chiedono quei poveri corpi dell’ultimo naufragio, il cui disperato grido – non riesco a immedesimarmi in loro senza provare un senso di angoscia che toglie il respiro – non è stato ascoltato? Pensiamo troppo poco che sono come noi! Paura, freddo, terrore, tristezza, umiliazione, abbandono. Chi li difende come fossero propri parenti? È inutile credere che non partano, per di più senza fare davvero qualcosa per loro! Partono.

Come difenderli? Qualcuno pensa: ma che c’entriamo noi? Addirittura qualcuno pensa: peggio per loro, o si abitua a registrare una contabilità che non ferisce più la nostra indifferenza! Per i cristiani essi sono nostri e se qualcuno muore annegato è mio fratello, mia sorella che muore annegata. Questo pensa un cristiano che, anzi, pensa: è annegato Dio, è morto Gesù, perché qualunque cosa avviene ad uno dei suoi fratelli più piccoli avviene a Lui.

La difesa della vita per la Chiesa è quella di una madre, non di un politico. Sta alla politica aiutare questa madre che piangerà sempre per i suoi figli che non sono più e ricorderà agli altri suoi figli di difendere la vita e di farlo subito, con intelligenza. È della politica risolvere i problemi e farlo con l’umanità che deve essere l’anima dell’Europa, anche per le sue radici cristiane. Non farlo è colpevole. Vecchi, profughi e poi ogni pecora che è minacciata sono le pecore, anche quelle che non sono del nostro ovile, di cui il pastore si occupa. E ci affida. Se la vita non si salva si perde, se non si ama si uccide. 

Gesù è il buon pastore. Ci aiuta a capire quanto ci ama e come per Lui nessuno è abbandonato a se stesso. Non scarica le responsabilità, non dona buoni consigli o istruzioni per l’uso, non fa finta come i mercenari che dichiarano e non fanno, non salva se stesso.

E se noi diventiamo di fatto mercenari con l’ingiustizia evidente di non soccorrere? Gesù è un pastore buono, dà la vita per le pecore. Buono, che vuol dire attento ai problemi e attento a risolvere i problemi, che ama e difende la persona, quella pecora che sente sua. Bello, perché pieno di amore. Se non siamo buoni diventiamo cattivi.

La bontà accende l’intelligenza che è sempre ispirata dall’amore e che nutre l’amore. Il cristiano è tenuto ad essere buono. Cerca di essere buono come Gesù, che le sue pecore le conosce una per una, che le cerca se si perdono, non le giudica, che non si dà pace se una sola si perde.

Questo è essere buoni e questo è essere cristiani. E di questo c’è chiesto e ci sarà chiesto conto. Buono infatti non è chi si crede buono accontentandosi di non fare niente. Quello non è buono: al massimo è un indifferente ben educato. Buono è chi difende la vita. Il mercenario pensa a sé. Se il mondo diventa mercenario, tutte le pecore sono in pericolo, a cominciare dalle più deboli. Se accettiamo la sua logica colpirà anche noi. Aiutiamo il pastore che ci ricorda che siamo un solo gregge e questa Madre della Vita che la nostra vita la vuole piena e ci insegna ad amarla e difenderla per tutti. 

24/04/2021
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