Solennità dell’Assunta a Boccadirio

Baragazza, Santuario di Boccadirio

E’ una gioia per noi tutti ritrovarci qui. Ne abbiamo bisogno, perché siamo affrancati dalla paura, che segna tanta parte della nostra vita, sentendoci accolti e amati da Maria. Qui ci sentiamo a casa.

Tutti noi arriviamo incerti, deboli; a volte confusi, presi da tante agitazioni e il suo amore ci ridona noi stessi, ci fa sentire forti perché suoi. Quando non si è di nessuno ci si sente persi o ci si crede grandi da soli. Tutti noi, ma in realtà tutti gli uomini, abbiamo bisogno di qualcuno che aspetta proprio me, per cui sono importante, che mi ascolta e ha tempo per me, a cui servo non per quello che posso dargli ma per quello che sono, che mi prende sul serio, che non fa finta ma ti guarda negli occhi e con gli occhi di misericordia gli unici capaci di stabilire una relazione.

Non dimentichiamo quello che come abbiamo capito nella pandemia: tutti hanno bisogno di essere amati e protetti. Quanto è vero che serve fare agli altri quello che vogliamo sia fatto a noi. L’altro è parte di me, non un estraneo o peggio un nemico. 

Questa è una casa di preghiera, cioè l’amore spirituale e il dialogo dal cuore al cuore di Dio. Non è fuori dal mondo, anzi esserci ci aiuta a entrare nel mondo perché ci fa sentire uniti a Dio e tra di noi. Essere qui è un balsamo per il nostro spirito ferito dal confronto così duro con le minacce del male.

Questa è la vera grazia che tutti riceviamo qui: non essere invulnerabili o autosufficienti, non risolvere tutti, ma sentire l’amore di Dio e di Maria, sua e nostra madre. I santuari – dove vediamo meglio quello che è invisibile agli occhi e sentiamo di più la presenza di Dio, la brezza leggera del suo amore – ci aiutano a comprendere che adoriamo Dio non in un luogo ma nello spirito e nella verità, tutti i giorni, nel pane della sua Parola che cammina con noi e vive quello che viviamo noi, nel pane dell’eucarestia di Gesù che resta con noi e lo riconosciamo nella condivisione, corpo che nutre il nostro corpo.

Ecco, qui siamo assunti anche noi, nel senso che il Signore ci porta in alto, ci solleva dalla nostra miseria, non perché ci esalta assecondando il nostro orgoglio, accarezzando il nostro io, ma con l’unica forza di Dio che è farci sentire amati da Lui. Ci sentiamo più vicini al cielo e sentiamo il cielo amico.

Portiamolo con noi, perché possiamo essere uomini di fede quando invece c’è solo buio e il cielo sembra distante, siamo schiacciati per terra, umiliati dal male che fa sentire perduti, delusi e deludenti, vani cioè agitati inutilmente, spenti dalla disillusione o drogati da agitazioni che ci fanno sentire vivi ma che sono così povere di vita vera. Quante dipendenze ci esaltano, ma in realtà ci umiliano.

E non rinuncio ad accusare le droghe, che sembrano fare vivere di più e in realtà spengono la vita e tradiscono i sogni di chi finisce solo per diventare prigioniero di un mondo fuori dal mondo o di credersi quello che non è. Ed è una droga anche la pornografia, omologazione di una vita senza vita e induzione a cercare quello che non esiste che porta a disprezzare quello che hai e sei. 

La festa di oggi, Maria assunta in cielo, ci aiuta a vivere bene sulla terra perché risponde alla vera domanda che abbiamo dentro, cioè trovare quello che non finisce. Abbiamo bisogno di cielo per capire la terra. Aspettare tutto quaggiù dalla terra, che è semplicemente luogo di passaggio o campo di prova, è un inganno. 

Oggi in realtà è memoria della sua morte. Non dobbiamo cancellare la morte, perché siamo lo stesso confrontati con essa e con le i suoi tanti avvisi e manifestazioni e se scappiamo diventiamo ancora più indifesi quando questa ci raggiunge. Non è nascondendo la morte e le sue tante sorelle che la risolviamo o ne attenuiamo la brutalità. La pandemia ce lo ha ricordato con tanta impietosa forza.

Ci confrontiamo con il senso del limite, ne viviamo l’angoscia e l’amarezza, misuriamo la nostra finitudine, il dolore della separazione, la fatica della precarietà, lo smarrimento di non potere decidere più nulla e di essere trascinati dove noi non vorremmo e senza potere fare qualcosa. La memoria della morte è illuminata dalle due Pasque.

La prima è quella di Cristo, nostra speranza, che con la sua croce ci porta continuamente davanti il limite della debolezza umana perché possiamo capire il suo amore senza limite. Oggi contempliamo la pasqua di Maria, che risorge al cielo, presa in braccio, custodita dal Figlio che ha generato credendo all’adempimento della Parola! A noi, migranti tutti sulla terra la pasqua di Maria ci aiuta a capire che siamo migranti ad sidera, alle stelle, dove ci porta Gesù, il cielo sulla terra e via al cielo.

Chi accoglie è accolto. Chi ama è amato. Non dimentichiamo che è nostra madre. Ci è stata affidata e le siamo stati affidati! L’angoscia si tramuta in fiducia e l’amarezza in dolcezza. La paura in forza e serena speranza. La memoria della morte diventa una grazia perché associata al nome di Gesù e di Maria.

Viviamo, infine, i nostri giorni su questa terra non mediocramente, privi del sale, sopravvivendo, alla ricerca di un amore che abbiamo ma che scopriamo solo donando. Solleviamo noi chi non ce la fa, quelli che sono caduti a terra cui non dobbiamo domandare cosa è successo o giudicare, ma aiutare a rialzarsi. Rivestiamo chi incontriamo nudo di protezione e bellezza, senza chiedere se è colpa sua, ma donando il vestito più bello che è quello di farli sentire amati, importanti, capiti. Così il cielo e la terra si uniscono.

Nella pandemia abbiamo sperimentato tutti, davvero tutti, la forza del male che ci rende un nulla, che ci spoglia di tutto, che ci isola dagli altri tanto che non sappiamo più chi siamo. Possiamo essere complici del male, con la dissennatezza, dimenticando la sofferenza o facendoci semplicemente “gli affari nostri”!

Nostro è il bene di tutti, non il mio! E’ affare nostro il bene di tutti! Maria ci aiuta a non avere paura di dire sì alla vita, a quel dono che è sempre e per tutti dono di Dio, dal suo inizio alla sua fine, vita che è nostra ma che è sua, che è nostra ma è del prossimo perché solo ricordando che è un dono e solo donandola troviamo vita e ne capiamo il suo senso. 

15/08/2020
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