26° Giornata per la vita – Pellegrinaggio alla Madonna di S. Luca

Bologna, Santuario di San Luca

Questa Scrittura è il testo del Profeta Isaia (61, 1-2) che Gesù ha letto nella Sinagoga di Nazaret: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato… a predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19).
È la pagina programmatica del messaggio di Gesù, che in Luca assume la stessa importanza che Matteo dà al Discorso della Montagna (Cf Mt 5,1-12).
Gesù è presentato come il centro della storia, come l’evento che dà compimento all’antica Alleanza e apre quella nuova, inaugurando il tempo della Chiesa.
In questo contesto emerge la presenza dello “Spirito del Signore”, che guida Gesù «con potenza» (Lc 4,14) mentre apre una nuova fase della storia della salvezza, quella del Regno dei cieli, che prevede la liberazione integrale dell’uomo.
Gesù appare come il nuovo Mosè, e più ancora come l’ ”Unto del Signore”, il Messia che lo Spirito ha «consacrato con l’unzione» (Lc 4,18), per annunciare la libertà a un popolo che rischiava di perdere la propria fede e la propria autocoscienza, sotto il peso di una idolatria insensata e frustrante.
Per questo Gesù smaschera e delude le aspettative dei suoi compaesani, che cercano nel «figlio di Giuseppe» (Lc 4, 22) un’esibizione taumaturgica legata ai “segni” fine a se stessi (Cf. 1 Cor 1, 22), fuori da una prospettiva di ricerca della verità nei «segni dei tempi» (Gaudium et spes) e ben lontana dal cogliere, nell’avvenimento di Gesù di Nazaret, l’adempimento della Scrittura.
In tale prospettiva, Gesù, nei testi biblici di questa liturgia, viene presentato come il compimento della vocazione profetica di Geremia. Infatti, come Geremia, che fu «oggetto di litigio e di contrasto per il paese» (Ger 15,10), Gesù diventa segno di contraddizione nella sua Nazaret, fino al punto da venire cacciato fuori dalla città e portato «sul ciglio del monte», col rischio di essere scaraventato «giù dal precipizio» (Lc 4,29).
Infatti, Gesù non segue la via diplomatica, chiama le cose col loro nome e cita i tempi di Elia e di Eliseo, quando Israele fu escluso dall’attenzione profetica. Gesù lascia intendere a chiare lettere che questa esclusione potrebbe ripetersi.
La reazione è forte: per Israele Gesù è “pietra di scandalo”, perciò va eliminato, come in passato furono messi a tacere gli appelli profetici alla fede e alla giustizia.
Per Gesù, invece, la storia dell’Antico Testamento e la fede di Israele non vanno rinnegate ma orientate verso il loro pieno compimento, risvegliando dal sonno un popolo assopito nelle sue abitudini fuorvianti e nelle sue miopie.
L’ «oggi» pronunciato da Gesù a Nazareth vale anche per noi. Un “oggi” che trova eco e sostanza in questa celebrazione eucaristica, convocata per mantenere viva nella nostra Chiesa e in tutto il popolo bolognese la coscienza della vita come dono, come un bene supremo da custodire e da difendere per il sano sviluppo del progresso umano.
Purtroppo, il progetto di Dio sulla vita umana, spesso e da molti, viene disatteso, per lasciare spazio alle istanze devastatrici del pensiero “inconsistente”. Questo “mini pensiero” oggi è accolto nel salotto buono della cultura emergente come mallevadore del «disincanto» del mondo e viene a suggellare, nei progetti dei “club” di potere elitario e libertario, l’intento di promuovere una civiltà costruita fuori dalla religione e, in particolare dalla religione cattolica, tradendo l’originario sentire del paese reale e indebolendo ulteriormente il già esile tessuto connettivo della Nazione.
Di fatto, ci troviamo di fronte a un progetto culturale frammentato e mal gestito, invaso da una miriade di agenzie autoreferenziali, incapaci di risvegliare l’uso retto della ragione, troppo a lungo assopita in un pragmatismo economico e ludico, che fa piazza pulita di ogni principio morale, in nome del progresso e della libertà.
Ciò è dovuto anche all’esaltazione del “movimentismo” di stagione che, negli anni sessanta e settanta, sul piano sociale, fece del disordine di piazza e della violenza il proprio strumento di azione politica e, sul piano teologico, si esibì nella “teologia della morte di Dio”, con la conseguente interpretazione della Bibbia e del cristianesimo in chiave decisamente “secolarizzante”.
Emerse, così, nell’agone socio-politico la proposta di un progetto di vita al di fuori di Dio, per garantire la laicità della democrazia, dimenticando che l’autentica laicità ha radici cristiane e che il vero laico trova nell’ispirazione cattolica (cioè “secondo il tutto”) una verifica della propria identità e una barriera contro il rischio di incrementare un “laicismo” poco rispettoso dei principi della democrazia.
Anche oggi qualcuno pensa ad una “zona franca” nel sistema democratico, dove credenti e non credenti si confrontano, accantonando le proprie certezze, specialmente quelle della fede, proprio «come se Dio non esistesse».
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: non solo assistiamo all’eclissi del senso morale, ma alla “notte della ragione” e alla perdita «delle esigenze della “ragione universale”» (Cf. Fides et ratio, 36), cioè della «consapevolezza critica» nei confronti di ciò che si crede o si pensa.
Di fatto la separazione tra fede e ragione è un «dramma», perché ha distrutto la capacità di raggiungere le più alte forme del ragionamento (Cf. ivi, 45), sottraendo alla dinamica sociale la capacità di soppesare oggettivamente le proprie scelte.
In altre parole, per l’oscuramento della ragione non sostenuta dalla fede, l’uomo è insidiato nella sua dignità e nella sua capacità di raggiungere la piena maturità: le fantasie genetiche, il basso indice di natalità, il disprezzo della vita umana, la glorificazione delle devianze sessuali, la corrosione dell’istituto della famiglia (Cf. LPB, 562), rivelano l’assenza di una educazione al senso della vita, che costringe le nuove generazioni a brancolare nel buio di una «libertà senza verità», e impedisce loro di sperimentare la forza trasformante del vero amore.
È l’amore, infatti, «la via migliore di tutte» (1 Cor 12,31), che San Paolo indica nell’inno alla carità: una pagina di alta poesia e di profondo afflato teologico, che offre a tutti l’opportunità di una radicale revisione di vita.
Di fronte a questo elogio dell’amore del prossimo (agap_), radicato e alimentato dall’amore di Dio, siamo sollecitati a riscoprire la nostra libertà, non come pura autogestione di se stessi, ma come apertura verso gli altri, in una trama di rapporti, che vede in primo piano il servizio alla vita.
In tale prospettiva i Vescovi italiani ci ricordano che «senza figli non c’è futuro». Ora, l’idea di abitare domani nella città del «vuoto» non è molto allettante. Si tratta, allora, di “iniettare” nel nostro avvenire motivi di speranza, anche attraverso l’incremento della natalità, in modo da disinnescare, finalmente, la mina vagante del crescente invecchiamento della nostra popolazione.
Questo comporta, da parte di chi è investito di responsabilità, a tutti i livelli, il coraggio di arginare il permissivismo dilagante e di pronunciare dei «no» e dei «sì», in nome della libertà e dell’autentica laicità:
no alla cultura di morte, in tutte le sue forme e, in questo contesto, urge ribadire il no soprattutto all’ «abominevole delitto dell’aborto» (Vaticano II, GS, 51) e alle ambigue manipolazioni genetiche, che troppo spesso trovano complicità nell’assopimento delle nostre coscienze e delle nostre intelligenze;
sì, invece, alla vita, in tutte le sue età e in tutte le sue espressioni esistenziali. In particolare oggi è necessario gridare, senza falsi pudori e con rinnovata “parresia” (cioè con il “coraggio di testimoniare”) il sì alla famiglia come il Creatore l’ha voluta (Cf. Ef. 5,31-32).
Non si tratta di discriminare le persone, ma di recuperare la facoltà di ragionare e di chiamare le cose col loro nome. È un’offesa alla Costituzione italiana continuare a mortificare, penalizzare e mettere alla gogna la famiglia basata sul matrimonio tra l’uomo e la donna. Inoltre, non si può programmare lo “Stato sociale”, senza spendere una parola in difesa e sostegno della famiglia che, nella società civile, è il più consistente serbatoio di risorse spirituali e sociali che la Provvidenza di Dio ha messo a disposizione della gratuità e della solidarietà quotidiana.
Infine, non possiamo dimenticare il monito di Giovanni Paolo II, che è la più alta autorità morale riconosciuta nel mondo: «L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia» (FC, 86).

31/01/2004
condividi su