3° corso diocesano di giornalismo organizzato dall’Arcidiocesi di Ravenna-Cervia

Ravenna

A 40 anni da “Sacrosanctum Concilium” e “Inter mirifica”

Il 4 dicembre 1963, al termine della seconda Sessione del Concilio Vaticano II, Paolo VI e i Padri Conciliari riuniti in seduta solenne nella Basilica di S. Pietro, promulgarono i primi due documenti: la Costituzione “Sacrosanctum Concilium” su la Liturgia e il Decreto “Inter mirifica” sui mezzi di comunicazione sociale.

Mentre la Costituzione liturgica, per ragioni ovvie, ebbe molta risonanza, il Decreto “Inter mirifica” rimase fuori dai canali della grande comunicazione e dall’interesse dell’opinione pubblica ecclesiale.

A 40 anni di distanza e dopo che Giovanni Paolo II ha riconsegnato alla Chiesa i documenti conciliari come «sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (NMI, 57), emergono alcune connessioni che meritano di essere prese in considerazione, perché ricche di senso e di prospettiva pastorale.

Inoltre, l’esperienza biblica attribuisce un valore simbolico al tempo connesso col n. 40 e lo colloca nel contesto della storia della salvezza “come un tempo generazionale”, nel quale si aprono nuove prospettive e nuovi capitoli nell’adempimento del piano salvifico di Dio.

Il profeta Amos, per esempio (5, 25; Cfr. 2, 10), considera i quarant’anni trascorsi dal popolo d’Israele nel deserto, sotto la guida diretta di Dio, come un periodo esemplare della sua storia, periodo al quale bisogna riferirsi, specialmente nei momenti di smarrimento e di incertezza, per ritrovare il giusto rapporto con Jahvé, l’unico Dio, Creatore e Liberatore d’Israele.

Da non trascurare, poi, quanto Giovanni Paolo II afferma nella Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente: nell’ottica cristiana, tutte le circostanze e le ricorrenze significative costituiscono un particolare «anno di grazia del Signore» (Cf. TMA, 15), nella misura in cui i soggetti interessati mantengono viva la capacità di fare «retrospezione del passato, interpretazione del presente, esplorazione del futuro».

Una «precedenza» provvidenziale

Durante la seconda Sessione conciliare, qualcuno, con giudizio sbrigativo, ma non senza fondamento, interpretò la precedenza concessa alla Liturgia e alle Comunicazioni sociali – allora ritenute materie “scontate” e “tranquille” – un modo per recuperare il tempo necessario a sciogliere i “nodi” teologici emersi nella discussione sui grandi temi ecclesiali, durante la prima Sessione conciliare.

Di fatto, tale “precedenza” e il comune ambito contestuale accordato alla Liturgia e alle Comunicazioni sociali, al di là dell’eventuale intenzione strategica, si sono rivelati provvidenziali, per due motivi:

1)  le due tematiche, apparentemente estranee e non determinanti, in questi quarant’anni hanno assunto, di fatto, ciascuna nel proprio ambito, un ruolo sempre più rilevante nella presa di coscienza del mistero ecclesiale e del suo corretto approccio con il mondo;

2)  tale abbinamento ha portato alla riscoperta di un rapporto intrinseco tra “Sacrosanctum Concilium” e “Inter mirifica”, un rapporto che trova consistenza nella relazione tra due momenti essenziali dell’agire ecclesiale: la celebrazione sacramentale e l’annuncio del mistero cristiano.

Questa relazione ha messo a tema, nella ricerca teologica, una problematica di forte attualità e, nel contempo, di grande utilità per l’azione della Chiesa nel nostro tempo.

Infatti, la connessione tra il “mistero” celebrato e l’annuncio del Vangelo spinge oggi la ricerca teologica ad approfondire le implicanze pastorali del confronto fra tutta la teologia e l’ambito comunicativo, a partire proprio dalla Liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa.

La Liturgia, infatti, come attualizzazione sacramentale del mistero di Cristo ed epifania della Chiesa, si presenta come un «luogo teologico» di primaria importanza, che implica un’organica connessione con tutte le altre discipline teologiche (Cf. SC, 16). In essa, poi, l’Eucaristia, nella sua identità reale con la Pasqua di Cristo, si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione (PO, 5).

Teologia e comunicazione

Del resto, oggi, mettere a tema il rapporto tra teologia e comunicazione, appare decisivo per l’impegno della Chiesa nel compito primario della “nuova evangelizzazione”, in quanto il contesto culturale odierno è contrassegnato dalla presenza massiccia dei mezzi di comunicazione sociale.

Se, da un lato, Paolo VI ha messo la Chiesa di fronte ad una sua precisa responsabilità nei confronti dell’uso di questi mezzi (Cf. EN, 45), dall’altro lato, Giovanni Paolo II ha sottolineato con forza che il mondo della comunicazione è «il primo areopago del tempo moderno» e che non va trascurato, perché influisce enormemente sui comportamenti individuali e sociali a livello planetario (RM, 37).

Comunque, non si tratta solo di usarli per diffondere il messaggio cristiano, ma «occorre integrare il messaggio stesso nella “nuova cultura” creata dalla comunicazione moderna… perché essa nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici» (RM, 37).

Pertanto, non si tratta di elaborare una «teologia della comunicazione», ma di individuare, in termini reali e appropriati la connessione tra “teologia” e “comunicazione”, cogliendone le convergenze e la reciproca illuminazione, ma anche la differenza e l’impossibilità di asservire, in modo strumentale, l’una all’altra.

Del resto, l’attenzione alle «cose nuove» connesse allo sviluppo dei media e dei processi comunicativi rientra tra i capitoli più importanti del “Progetto culturale” della Chiesa italiana, in forza del legame esistente tra cultura e comunicazione e in vista di nuove opportunità per l’evangelizzazione.

 

… “Predicatelo sui tetti” (Mt 10, 27)

La vita cristiana, dunque, alimentata dalla Liturgia, non è un’esperienza che si esaurisce nell’anonimato di una scelta silenziosa e nascosta, ma si esprime pienamente nella missione salvifica verso l’umanità intera.

La partecipazione all’Eucaristia, “fonte e culmine della vita cristiana” (SC, 10) determina un incontenibile impulso apostolico, perché il Corpo è “dato” e il Sangue è “versato” da colui che è il «Salvatore del mondo» (Gv 4, 42).

Pertanto, ogni volta che “mangiamo” di questo pane e “beviamo” di questo calice noi «annunziamo la morte del Signore finché egli venga» (1 Cor 11, 26). Ciò significa, in gergo corrente, che mediante la celebrazione eucaristica noi rimettiamo in circolazione il più grande scoop di tutti i tempi, perché proclamiamo a tutti il Vangelo – la “buona notizia” – della redenzione integrale dell’uomo: la sua liberazione dal male, dalla morte e, quindi, da una vita senza senso.

La seconda sessione del Concilio Vaticano II, dunque, accostando Liturgia e comunicazione ha posto le premesse per approfondire il mistero cristiano nel contesto della complessità della società attuale, dove il mondo della comunicazione non deve rimanere ai margini dell’azione pastorale come se fosse un optional, ma vi deve entrare come componente primaria e perciò rilevante ed esigente di servizio al Vangelo: «Quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti» (Mt 10, 27).

Pertanto, «la possibilità di comunicare in modo nuovo e diffuso è un bene per tutta l’umanità e come tale va promosso e tutelato» (opei/2000, 39), a condizione che la «coscienza etica» dell’operatore e del fruitore massmediale sia adeguatamente formata.

 

Comunicatori e utenti consapevoli

L’evangelizzazione, oggi, si trova di fronte l’opportunità e la «sfida» di un sistema comunicativo che ha trasformato il mondo in «villaggio globale», dando vita ad una potenzialità bipolare: accanto alla possibilità di comunicare le notizie in tempo reale in ogni angolo dell’universo, paradossalmente, il tipo di gestione di questa stupenda realtà può produrre una preoccupante alienazione e un notevole tasso di egocentrismo.

«La nostra epoca – dice il Papa – è dunque tempo di minaccia e di promessa», perciò è necessario cooperare «per garantire che la promessa prevalga sulla minaccia», la comunicazione sulla fuga nel virtuale.

Tale cooperazione parte dal presupposto che la Chiesa desidera essere amica dei mezzi di comunicazione sociale, sapendo che ogni cooperazione, orientata alla ricerca del bene comune mediante il retto uso della ragione, è un vantaggio per tutti.

Ma questo sforzo di ricerca ha bisogno di comunicatori e utenti ben formati e della presenza di operatori pastorali in grado di promuovere con efficacia le prospettive culturali del Vangelo. Ciò comporta la capacità di proclamare l’evento cristiano nelle “forme” idonee a raggiungere il cuore dell’uomo e portarlo, così, all’adesione della fede.

Oggi, viviamo in un periodo di transizione culturale, in cui il compito primario dell’evangelizzazione chiama i battezzati ad essere testimoni e protagonisti. Ma l’annuncio, spesso, viene posto in questione dalla difficoltà di legare insieme la «verità» e la sua «significatività» nel contesto culturale dominante.

È necessario, pertanto, inserirsi, con una recuperata “parresia”, nell’«acuta tensione» presente nella complessità culturale odierna, tra la «certezza della verità», smarrita spesso anche tra le file intraecclesiali, e il «senso della vita», cercato invano nelle tante esperienze inconsistenti, offerte dal mercato dell’effimero e destinate ad alimentare quel «vuoto esistenziale», che sta all’origine di tante frustrazioni e depressioni.

 

Giornalista: una professione esigente

Comunicare la verità, oggi, per un giornalista animato da una coscienza retta, è una «sfida» quotidiana. Egli è chiamato a misurarsi con un sistema comunicativo «in libera uscita», un sistema sempre più potente, complesso e ad alto indice di aggressività, perciò sostanzialmente orientato a catturare la persona anziché coltivarla.

In questo contesto non c’è molto spazio per la verità: il comunicare diventa sempre più un dire senza pensare, un colloquiare senza dialogare, un continuo stimolare senza approfondire, un insegnare senza formare.

In sostanza sembra che sia in forte espansione una logica comunicativa rispondente ai criteri di un doppio mercato: quello dei prodotti e quello delle ideologie, accomunati in un unico progetto, orientato al massimo profitto su scala planetaria.

In tale contesto, è in atto da tempo la rincorsa al «nuovo», inteso come rottura acritica col passato, rincorsa che ha innescato un «circolo perverso»: in nome del «progresso accelerato», non assimila la linfa vitale delle nostre radici culturali, per lasciare spazio al peggio delle culture planetarie emergenti.

Inoltre, è ormai consolidata la prassi irriflessa di spalancare le porte all’«eclettismo» filosofico e culturale concedendo il diritto di cittadinanza a idee appartenenti a diverse aree esperienziali, senza badare alla loro coerenza sistematica, né all’effetto del loro impatto con la nostra storia e tanto meno al loro grado di civiltà (FR, 86).

In sostanza, da qualche decennio la società subisce la pressione di tanti «giocolieri del pensiero inconsistente» che esibiscono la verità come apparenza, come puro fenomeno, sottraendo alla filosofia il compito della ricerca delle verità ultime, riguardanti l’uomo e i suoi interrogativi più profondi.

Ciò nonostante, il giornalista serio e preparato, non dimentica alcuni punti fermi, che danno alla sua professione dignità e qualità:

1)  la professione spinge il giornalista a caccia di notizie, ma non può mai dimenticare le esigenze ultime della “Verità”, unica àncora di salvezza;

2)  il giornalista è chiamato a registrare tutte le opinioni, ma egli sa che all’uomo servono “certezze”;

3)  il campo di battaglia del giornalista è l’attualità, che passa rapidamente, mentre tutti noi abbiamo bisogno di ciò che è stabile, eterno, assoluto;

4)  il giornalista cerca ciò che stupisce, ma la sua intelligenza e la sua coscienza professionale gli dicono che, alla fine, è più importante per l’uomo ciò che nutre lo spirito;

Come si vede, la professione del giornalista è tutta in salita e per questo ha bisogno di un aiuto che viene dall’alto. La Chiesa, comunque,  non lo lascia solo e gli propone un triplice scambio di doni:

1)  la cultura del ricordo, propria della Chiesa, può salvare dall’oblio la cultura della notizia, retaggio dei media; i mezzi della comunicazione possono, invece, aiutare la Chiesa ad annunciare il Vangelo con «nuovo ardore, nuovi metodi e nuove espressioni».

2)  «La cultura della sapienza, promossa della Chiesa, può evitare alla cultura dell’informazione, propria degli strumenti comunicativi, il rischio di un accumulo di notizie senza senso, che logorano la capacità del fruitore di fare sintesi e di trovare un orientamento; i mezzi della comunicazione, invece, possono aiutare la sapienza della Chiesa a rapportarsi sempre più e sempre meglio con le «cose nuove» che il progresso umano produce.

3)  «La cultura della gioia», cuore e sostanza del mistero cristiano, può salvare la cultura dello svago e del piacere, caratteristica emergente dei media, dal rischio di un divertimento alienante, privo di verità e di responsabilità, incapace di produrre autentico riposo e ristoro dell’anima; i mezzi della comunicazione, invece, possono aiutare la Chiesa a rapportarsi con la gente in modo più attraente e persino piacevole.

 

12/03/2004
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