50° Anniversario della morte del venerabile don Olinto Marella e 2° Anniversario della morte di S.E. il Card. Carlo Caffarra

Oggi ricordiamo la nascita al cielo di Padre Olinto Marella, stella luminosa nella notte della povertà e della disperazione, tenebre che oscurano la vita e alle quali non possiamo mai abituarci. Padre Marella è un orientamento per tanti naufraghi della vita e la sua testimonianza accende di speranza. La sua luce la vediamo viva attraverso la sua Opera che ne continua il carisma. Aveva ragione quando spiegava, con essenziale sapienza umana ed evangelica – lui che era un grande filosofo – una delle verità più profonde della nostra vita, mai compresa fino in fondo: “Il bene bisogna farlo finché si è in vita. E’ facile lasciare le cose che non si possono portare nell’Aldilà. La vera ricchezza da lasciare è il bene fatto”. E’ quello che ricordiamo con tanta gratitudine oggi, memoria che diventa consapevolezza dei doni ereditati e domanda su come spendere oggi quanto si è ricevuto. Lui nella Chiesa di San Donato durante la S. Messa praticava l’offertorio al contrario, cioè offriva qualcosa ai poveri. E’ Gesù che offre se stesso a ciascuno di noi. Al termine si consumava in Chiesa la colazione. Se condividiamo il pane del cielo come non condividere il pane della terra?
Padre Marella, cristiano e prete, non accettava fatalisticamente la povertà che allora ed oggi condanna tante persone, ma con fermezza, determinazione, intelligenza, progettualità cercava e offriva delle risposte. Egli non faceva il possibile ma il necessario, quello che serviva a chi è nella sofferenza e non quello che serviva a lui; non delegava ad altri o si accontentava, magari con compiacimento, della denuncia, ma parlava poco e si coinvolgeva molto e sempre personalmente; non si accontentava ma cercava il molto e il meglio; non rimandava perché sentiva l’urgenza di farlo, consapevole che non è la stessa cosa se si aspetta, perché perdere una possibilità significa anche deludere le attese di qualcuno e ferire una persona. La carità per Padre Marella, non a caso terziario francescano, significava condividere tutto con semplicità e gioia, iniziando dall’ospitare nella propria casa. Il suo appartamento fu la prima “Città dei ragazzi”, quella che poi edificò come uno spazio tutto pensato per proteggere i piccoli. Chiedeva l’elemosina, come il suo san Francesco. Aveva una famiglia numerosa: era padre degli orfanelli, che accolse senza limiti perché offriva il pane e il pane della speranza. Accoglieva e l’accoglienza riesce sempre a trovare un posto per tutti. E chi lo prepara agli altri lo trova per sé! Chiedeva l’elemosina perché seguiva, come scrive San Francesco lo stesso Signor nostro Gesù Cristo che non si vergognò. “L’elemosina è l’eredità e la giustizia dovuta ai poveri”, affermava San Francesco. Ecco il senso del suo cappello teso come a sollecitare un gesto che ci strappa dall’indifferenza, in uno dei punti più centrali di Bologna. Marella aiutava a restituire l’eredità ai proprietari e rendeva consapevoli tanti del bisogno di tanti, inquietando con la sua autorevole e silenziosa presenza, e permettendo loro di praticare un poco di giustizia. Rendeva tutta Bologna più solidale e mostrava anche un Vangelo attraente, credibile. Senza dire nulla, con la parola e gli esempi, conquistava tanti cuori. Era certamente la sua lezione più profonda e convincente. Montanelli, che ne fu alunno, scrisse di lui:” Mi insegnò una cosa: a vivere per gli altri e a prendere questa vita come un passaggio. L’ultima volta che lo incontrai mi abbracciò e mi chiese cosa avevo fatto della mia vita. Gli risposi senza sforzo: “nulla”, perché al paragone con la sua mi pareva proprio così. Lo accompagnai per un tratto di strada: era molto vecchio e si reggeva male in piedi, ma doveva raggiungere e sfamare i suoi orfanelli. Ecco cosa aveva fatto lui della vita sua”. Che tanti lo possano dire di ognuno di noi. Come un buon padre non pensava a se stesso ma ai suoi figli, che poi era la stessa cosa. La sua carità, come ogni vera carità che è ben altra cosa da facile e spesso pelosa buona azione, divenne intelligenza, sapienza umana, organizzazione, ricerca del meglio, sempre avendo al centro l’amore per la persona, le persone, che non sono mai degli oggetti o delle pratiche da risolvere, ma i nostri cari. Quei ragazzi smettevano di essere orfanelli e diventavano figli perché adottati da lui. Sì, è stato soprattutto un padre, come in realtà ogni cristiano è chiamato ad essere per i poveri e per il prossimo. Chi sono oggi gli orfani e cosa significa adottarli? Siamo tutti adottati da Dio: diventiamo una famiglia perché facendoci prossimo troviamo il nostro prossimo.
Oggi insieme a Padre Marella, del quale auspichiamo possa concludersi positivamente e rapidamente l’iter per la sua beatificazione, ricordiamo questa sera il Cardinale Carlo Caffarra, esattamente a due anni dalla sua scomparsa, con immutato affetto, reso ancora più largo e profondo dal passare del tempo. E’ stato un maestro, come ci ha scritto il Cardinale Scola, rigoroso, chiaro, che ha amato la Chiesa “proponendo una pastorale fondata sull'”avvenimento” di Gesù Cristo come “contemporaneo” alle donne e agli uomini di ogni tempo e luogo”, esperienza che non riduce mai «l’evento cristiano ad esortazione morale». Credo che ricordarli assieme sia una scelta gradita a entrambi, perché la comunione è in realtà l’aspirazione più profonda di ogni uomo e questa non solo non diminuisce l’importanza del singolo ma anzi lo riveste di valore. Fu proprio il Cardinale Caffarra il 17 dicembre 2005 a concludere l’iter del processo diocesano avviato dal Cardinale Biffi. In quella occasione Caffarra si interrogò su quale fosse il segreto dell’esistenza di Padre Marella. Papa Francesco nella sua importantissima esortazione sulla santità Gaudete et Exultate spiega che “Ognuno per la sua via», può trovare quella via unica e specifica che il Signore ha in serbo per lui. Insomma ognuno ha un suo segreto di amore, confidato solo a lui, che è solo suo, ma che capisce solo se ama gli altri. Il Cardinale Caffarra identificava il “segreto” di Padre Marella nella conoscenza della miseria umana e di come vedeva il povero con un solo sguardo. “Ha visto nel povero, Cristo e ha visto in Cristo, il povero”. Non è possibile, infatti, separare i due sguardi: altrimenti Cristo sarebbe un lontano e ambiguo riferimento spirituale e non una presenza materiale che continua ad essere in mezzo a noi tutti i giorni e i suoi fratelli più piccoli non sono una categoria virtuale, morale, ma persone, storie, incontri, sofferenze tutte umane e nella storia. Per Padre Marella il povero non è certo un assistito, un caso, una pratica, ma è il fratello affidatoci. Cambia tutto: è una questione di amore prima che di dovere! Il povero amato diventa il mio nostro prossimo, il più “caro”, quello a cui la mia vita è legata, che mi rappresenta, nel quale mi rispecchio. «Chiunque si rivolga a me è una creatura da amare. Non mi interessa il passato dei miei ragazzi, mi interessa il loro futuro. Non mi preoccupo solo di sfamarli e di vestirli, ma di cercare le loro particolari attitudini, farli studiare, dar loro un mestiere, renderli capaci di affrontare la vita, sottrarli alla miseria e ai pericoli morali della strada, ridare loro il calore dell’amore», diceva Padre Marella. E’ la vera integrazione. Cerchiamo l’attitudine di ognuno, non un amore all’ingrosso, ma sempre personale. Adottiamo uno dei tanti orfanelli, sentendone la responsabilità della loro condizione. Facendolo capiremo che siamo anche noi tra coloro che hanno un primogenito, che riconcilia tutte le cose, avendo Lui pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli. Padre Marella non si è fatto vincere dall’orgoglio, che rende innamorati delle proprie idee, prigionieri delle ragioni, incapaci di perdersi e di amare. Ha scelto di digiunare per cercare lo sposo, perché è tolto dall’ingiustizia, dalla povertà, dall’indifferenza. Marella non ha messo una pezza nuova, ma ha indossato l’abito bellissimo della povertà, quello sempre nuovo dell’amore per il prossimo, veste candida di quanti saranno davanti al trono dell’agnello.
Signore, che hai abbattuto ogni muro di divisione e hai messo pace tra cielo e terra, insegnaci a non accettare mai la povertà come se non ci riguardasse, fosse una colpa, a sentirci a posto nell’indifferenza. Dona anche a noi di salvarci dall’orgoglio dando in elemosina il nostro cuore. Ti ringraziamo per il dono di Padre Marella. Insegnaci a farci mendicanti, a chiedere e donare solidarietà per dare agli orfani una famiglia, perché tutti coloro che sono soli siano adottati da te che sei Padre dei poveri e trovino in noi la tua famiglia. Amen

06/09/2019
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