Esequie di mons. Lino Goriup

Parco del Seminario Arcivescovile

Siamo riuniti in uno dei luoghi più cari a don Lino e alla nostra Chiesa di Bologna, che lo ha visto entrare giovane, brillante, per iniziare la formazione e poi accompagnare quella di altri ragazzi. La sua era una classe, come ricorda uno di loro, di “ragazzoni con alle spalle esperienze tutte diverse e con età avanzate a quell’epoca”, tra i quali desidero ricordare Daniele Badiali “con i suoi sandali fatti in Perù con i copertoni dei camion in disuso, il suo poncio, la chitarra”, il primo a portare tanti oltre i confini angusti del nostro piccolo mondo e anche il primo a superare la frontiera della vita.

La Chiesa è sempre – molto più di quanto ne abbiamo coscienza – una fraternità reale, non simbolica, che trova il suo compimento, oggi e domani, in quella comunione di santi della quale godiamo tutti. Ci coinvolge anche al di là di noi, perché circolare. E’ nostra perché donata a chi ama e si lascia amare, non per diritto e possesso ma solo per amore.

Quanti legami che, anche se noi restiamo inconsapevoli, proteggono e guidano il nostro cammino. Quanti doni del Signore che non ha fatto mancare le risposte ai noi suoi discepoli, anche se restiamo agitati per quello che mangeremo e che dovremo indossare, pieni di domande perché cerchiamo le risposte dove pensano trovarle più facilmente o distratti dalle illuminazioni di questo mondo.

Il Signore tesse e tesserà sempre la meraviglia dei gigli del campo, ci veste e ci vestirà con tutta la sua e nostra gloria e ci libera e libererà dall’affanno del vestito non perché ci manda nudi o con uno qualsiasi ma perché ce ne regala uno più bello, anzi il più bello perché suo dono, fatto per ognuno, personale, unico.

E’ quello che ha riconosciuto don Lino scrivendo ai ragazzi del seminario una sintesi del suo pensiero e della sua vita: “L’unica cosa che ho saputo indicare senza posa era quello che stava succedendo a me: dare la vita a Cristo significa ricevere se stessi e il mondo in dono da Lui. I preti non sono freddi burocrati pronti al comando, ma persone diventate, nell’amore di Gesù, “genitori di se stessi”, padri liberi e responsabili di un popolo di figli”.

Siamo all’aperto e ci misuriamo tutti fisicamente – ed è una grazia poterlo fare assieme – con la grandezza del cielo, che umilia le nostre presunzioni, spazio senza pareti e che ci aiuta a vivere senza diaframmi, paure, protezioni, muri. Oggi, increduli e feriti per la sua scomparsa, restiamo come i discepoli che avevano accompagnato il loro maestro sul monte, pieni di domande.

Lo avevano visto essere sollevato e scomparire nella grandezza del cielo, irraggiungibile, umiliante per la nostra finitezza, immensità che può rendere come svogliati della vita perché tutto può apparire in fin dei conti inutile e vano. Gesù aveva detto loro che sarebbe andato a preparare un posto, assicurando però che sarebbe tornato per prenderci con noi e per condurci dove è lui, per condividere con noi la sua casa, perché tutti possiamo ricevere il nostro posto che il vento impietoso non fa più trovare al delicatissimo fiore del campo strappato dalla sua dimora.

Nel Signore nulla è vano perché tutto è amato e ricompreso da Lui, perché Lui porta tutto al bene tanto che dona valore anche ai capelli del nostro capo. Abbiamo davvero tanto bisogno del Signore come gli antichi naviganti lo avevano delle stelle e in realtà, quando avviene come per Lino, capiamo che i nostri passi non vagano perché sono contati da Dio e le nostre lacrime, anche quelle segrete, non sono perdute e senza risposta perché vengono raccolte nel suo otre e scritte nel suo libro (Ps 55,9).

Resta solo Gesù, inizio e fine di tutto, come è stato nella vita breve di Lino, nella sua fede profonda e indiscussa, ereditata dalla sua famiglia e dalla vicenda, fiera e dolorosa, degli istriani. Ricordiamo Lino come uomo intelligente e libero, capace di parlare con tutti e di trovarsi a suo agio con storie e sensibilità diverse perché aveva Cristo nel cuore. Sempre con gentilezza e col sorriso.

Biffi ricordava come “quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso, Lui stesso e tutto ciò che viene da lui. “Fuori di Cristo, persona concreta, realtà viva, avvenimento, fuori di Cristo c’è solo il vuoto dell’uomo, e la sua disperazione. In Cristo l’uomo trova la sua pienezza e la sua sola speranza”.

In questa celebrazione la nostra memoria, sempre parziale e limitata, diventa piena proprio nell’incontro con Cristo, unendosi ai santi del cielo, insieme a Pietro e Paolo, la pietra sulla quale Gesù costruisce la sua Chiesa e l‘apostolo delle genti, testimoni di Colui che libera dalla vanità sia nel senso della presunzione dell’io ma anche del senso dell’inutilità delle nostra corsa, perché ci ricorda che la vittoria è nella sconfitta e mette in movimento tutto noi stessi per ricevere la “corona di giustizia”.

Lino ha atteso la sua manifestazione e l’ha vista e indicata predicando il Vangelo, con leggerezza e profondità, sempre con tanta umanità, sorprendendo il prossimo perché capace di stupire, amante di posizioni non banali, con un amore originale, personale ma mai affettato o esibito, a volte sconcertante eppure sempre così pieno di riguardo e sensibilità per l’interlocutore.

Era pronto, si sentiva pronto – constatando recentemente che era giunto alla stessa età nella quale era morta tragicamente sua mamma Emy – perché pienamente e serenamente fiducioso nel Signore. Caffarra definiva l’amore che ha animato Lino come di “libertà in una libera verità, la Caritas in Veritate”.

“Sono stanco – diceva di se stesso don Lino – di oggettività senza cuore e di esperienze senza riflessione”, e univa preghiera intensa e solidarietà intelligente. “Non mi voglio vergognare nel perdere tempo a leggere e meditare testi che non parlavano di Dio e di Gesù, mio maestro e Signore o come libero pensatore della fede che la famiglia, a nome della chiesa di Cristo mi aveva trasmesso e nella quale avevo scoperto la via della mia vita”.

“Ringrazio Dio per avermi fatto studiare, ma non troppo: le parrocchie, i ragazzi del liceo, la strada sono diventati nel tempo i miei professori, le mie università, i miei titoli accademici più lusinghieri”. Vedeva nelle facce del prossimo degli specchi nei quali vedevi riflessi le sue domande e anche le risposte donate dal “Fascinatore dei cuori”.

Ne ricordo alcuni, tra i tanti che Lino conserva, tra cui tutti voi: la Comunità di Maggio e le sorelle, don Guido Franzoni, don Divo Barsotti, don Novello, l’UCIIM, i suoi ragazzi di scuola, la Comunità di S. Caterina, Partecipa anche Tu, i tantissimi incontri nei quali hai saputo vedere la bellezza di Dio e donare il suo riflesso di Dio. Sempre ed ancora più in questi anni, il papà Mario è stato a fianco, pensandosi assieme, tanto da sembrare più un fratello maggiore, sempre aiutandosi a seguire Gesù.

Ecco, la sua e la nostra forza è quella di seguire Gesù in legami tutti donati dal Signore, Con l’Apostolo e oggi con don Lino anche noi riconosciamo Gesù:” Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, Tu solo hai parole di vita eterna. E’ questa è la beatitudine che nessuna tempesta può portarci via.

Prega per noi, caro Lino e per la nostra Chiesa, perché sia feconda di discepoli che si mettono al servizio del Vangelo e di preti amabili, intelligenti, generosi. Grazie Lino, hai combattuto la buona battaglia, hai terminato la corsa, hai conservato la fede. Il Signore ti è stato vicino e ti ha dato forza, perché tu potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo. Il Signore ti ha liberato dalla bocca del leone. Il Signore ti libererà da ogni male e ti porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

“In Gesù vivo”. Così chiudevi le tue lettere, salutando. Non pensavamo che la tua lettera finisse così presto, caro Lino e noi “in Gesù vivo” sentiamo il tuo saluto e ti salutiamo. Ti affidiamo a Lui sì, perché Lui è vivo e perché vivi con Lui, sei per sempre in Gesù che è morto ed è risorto per te e per noi. In Gesù vivo.

29/06/2020
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