giornata della vita

Bologna, Basilica di San Luca

Perchè questo annuale pellegrinaggio alla casa della nostra Madre e Regina più di ogni altro deve essere caro a ogni cuore credente e più di ogni altro è giusto che infonda gioia e fierezza in chi vi partecipa?
Perchè è un inno alla vita, che spicca sullo sfondo della desolante cultura di morte che si sta propagando come un contagio.
Perchè è una chiara esaltazione della ragione di fronte agli sragionamenti di chi, non volendo opporsi alla sopraffazione dei vari egoismi, smarrisce ogni più elementare distinzione tra il bene e il male.
Perchè è un canto forte e vibrante di speranza, mentre le provocazioni alla sfiducia si fanno sempre più fitte e incalzanti.

Qualche mese fa, Giovanni Paolo II – una delle poche voci che oggi meritano ancora di essere ascoltate – a proposito dell’introduzione in Polonia della legge sull’aborto, ha detto testualmente: “Una nazione che uccide i propri figli è una nazione senza futuro”. Parole che senza dubbio egli ha pronunciato con l’animo straziato.
Parole che valgono anche per noi.
In Italia noi siamo anzi molto più progrediti su questa strada verso il niente. Quasi ogni giorno ne abbiamo nuove conferme nelle proposte che si indendono avanzare e nelle frasi spensierate che vengono dette.
Per esempio, un pò di tempo fa un ministro in carica pare – ma si stenta a crederlo – che abbia sentito il dovere di difendere un provvedimento, dichiarando che non era “una istigazione al matrimonio”.

Espressione davvero mirabile e singolare, con la quale viene implicitamente qualificata come fatto delittuoso una istituzione essenziale per la società, che fonda la famiglia, riconosciuta e garantita dalla Costituzione (Art.29).
Ma in questo raduno di speranza e di gioia non c’è niente di positivo e di incoraggiante da ricordare? Ci sono due elementi preziosi, anche se molto diseguali tra loro: il primo è dato dalla nostra prerogativa di cittadini, il secondo dalla nostra condizione di cristiani.
Noi abbiamo la fortuna di vivere in uno stato, in cui è concesso a tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero (Cost. Art.21), anche di criticare e disapprovare leggi in vigore: è ciò che differenzia i regimi democratici da quelli tirannici e oppressivi. Noi ci avvaliamo di questo diritto, e dovremmo farlo più spesso.

Per esempio, riteniamo iniqua la legge 194 – ipocritamente intitolata “per la tutela della maternità” – che autorizza e addirittura finanzia la soppressione delle creature umane prima della nascita. Questa sì che è una “istigazione”: è una istigazione a commettere quello che il Concilio Vaticano II chiama l’ “abominevole delitto dell’aborto”. Questa legge, infrangendo per la prima volta nelle coscienze il principio morale, finallora incontestato, della sacralità della vita umana innocente, non solo ha di fatto incoraggiato l’aborto anche clandestino, ma ha tolto ogni barriera ideale al proliferare di altre inaudite forme di follia omicida, di cui abbiamo ogni giorno notizia.
Questa nostra contestazione – che non si arrenderà mai – anche quando è timidamente enunciata in mezzo al clamore dei vari paladini di morte, ha la voce possente e inquietante della verità, la voce del Dio amico dei viventi, del Dio difensore dei piccoli e vindice di ogni ingiustizia che si compie contro di loro.

Ciò che più ci rianima e ci fa superare ogni pessimismo è una certezza che ci viene dalla nostra fede; una certezza che ci è particolarmente comunicata dalla festa della Presentazione al tempio, che oggi celebriamo.
Quel bambino inerme, che contempliamo tra le braccia tremanti di un vecchio, è l’Emmanuele, il Dio con noi: e alla fine si manifesterà come il Vincitore autentico e definitivo.
Di lui Simeone ci insegna profeticamente tre cose.
1° “I miei occhi han visto la tua salvezza” (Lc. 2,30). Chiediamo anche noi questi occhi penetranti, che sanno cogliere di là dall’imperversare delle potenze dissolutrici del male la presenza in mezzo a noi di colui che salva.
Gesù è l’unico Salvatore del mondo: anche del mondo di oggi, che sembra voler correre verso la propria rovina, perché è il Salvatore dell’intera storia umana.

2° Egli – dice ancora l’anziano uomo di Dio – è “la luce per illuminare le genti” (Lc. 2,32).
Se è lui la luce, non ci meraviglia affatto che la cultura oggi dominante, così scopertamente anticristiana, sia diventata preda dell’irrazionalità, dell’ottusità morale, del fascino oscuro delle più incredibili perversioni.
Questo non fa che richiamarci quanto sia benefica e necessaria all’umanità disorientata e ottenebrata dei nostri giorni la presenza coraggiosa e attiva di una comunità ecclesiale lieta e consapevole di irradiare attorno a sè lo splendore di Cristo.
“Voi siete la luce del mondo” (Mt. 5,14): in questa incerta e buia fine del secondo millennio, questa parola di Cristo assume un’attualità sorprendente e ci pone di fronte alla nostra responsabilità di “nazione santa” che Dio “ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (cf 1 Pt 2,9).

Se non ci lasceremo spegnere, se non ci stancheremo di rendere testimonianza alla luce, sull’umanità intera si riverbererà qualche raggio del fulgore che salva.
3° Gesù – ci dice infine Simeone – è “segno di contraddizione” (cf Lc. 2,34). Se tale è il Maestro, non illudiamoci che i discepoli possano schivare le opposizioni e le lotte. Non culliamoci nel mito antievangelico che si possa essere fedeli a Cristo e andare d’accordo con tutti. Col “vangelo della vita e della misericordia” potremo invece far sì che “siano svelati i pensieri di molti cuori” (cf Lc. 2,35) e possano raggiungere la salvezza tutti coloro che non si ostinano a peccare contro la luce.
Abbiamo – ci ha detto la lettera agli Ebrei – “un sommo sacerdote misericordioso e fedele” (cf Eb. 2,17).
Egli ha già “espiato i nostri peccati” (cf Eb. 2,17), quali che siano. Ha già vinto la tirannia della nostra morte; ha già spezzato i vincoli della nostra schiavitù. Purchè ci arrendiamo a lui, che è il Re della vita, ed è venuto appunto perché tutti “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (cf Gv. 10,10).

Domandiamo alla Madonna di San Luca una grazia che, coi tempi che corrono, è davvero necessaria al popolo dei credenti: quella di non dimenticare mai, pur dovendo vivere in mezzo a tante prepotenze culturali e a tante aberrazioni (le quali, a lasciarle fare, vorrebbero assimilarci), che – come dice Newman – “la nostra forza consiste nell’essere soggetti alla ragione e la nostra libertà nell’essere prigionieri della verità”.

01/02/1997
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