inaugurazione dell’anno giudiziario 2000 del tribunale ecclesiastico regionale flaminio

Bologna, Auditorium Santa Clelia

Nella riunione dello scorso 29 novembre i Vescovi dell’Emilia Romagna hanno proceduto alla nomina, o alla conferma, del personale del Tribunale ecclesiastico regionale sia Flaminio sia Emiliano per il quinquennio 1.1.2000 – 31.12.2004. È un atto ordinario e dovuto, ma merita di essere oggetto di qualche riflessione.

In questo adempimento formale, che obbedisce al Codice di diritto canonico e alla normativa CEI, si esprime la fiducia dei Vescovi nel Tribunale ecclesiastico, e la loro convinzione di poter guardare con serenità i prossimi cinque anni.

Come è giusto e ovvio che sia, una volta che i Vescovi hanno designato i Giudici, i Difensori del vincolo, i Notai, i Patroni stabili, questi godono, entro gli spazi previsti dalla legge, della piena autonomia nella trattazione e definizione delle cause loro assegnate.

Ciò non significa disinteresse da parte nostra: restiamo sempre ben consapevoli della fatica che l’attività del Tribunale comporta, e anche delle questioni che meritano ancora una attenta considerazione nella verifica già programmata e avviata. A questo proposito ricordo che i Vescovi della Regione hanno voluto esprimere le loro preoccupazioni circa i recenti ordinamenti in una lettera indirizzata, lo scorso 10 luglio, al Presidente della CEI e, per conoscenza, a tutti i Presidenti delle Conferenze episcopali regionali.

In questa sede desidero però soffermarmi non tanto sulle questioni normative o amministrative, quanto sull’esercizio quotidiano dei diversi ruoli che il Tribunale assegna a ciascuno di quanti sono coinvolti in questa attività.

Una caratteristica che accomuna molti degli operatori è il duplice ambito di lavoro. Non si può infatti ignorare che molti Giudici e Difensori del vincolo sono presbiteri incaricati anche di rilevanti ministeri pastorali. In modo pressoché analogo, anche la maggior parte degli Avvocati svolge la propria attività nel foro civile oltre che in quello ecclesiastico. Così i Periti non vengono certo incaricati di esplorare e appurare la capacità dei soggetti solo in ordine al consenso matrimoniale canonico.

Ebbene, riterrei che sia utile a tutti un convincimento previo e fondamentale: la varietà degli ambiti di lavoro, e di conseguenza le diversificate metodologie, non sono e pertanto non devono essere considerate in alternativa e neppure in tensione tra loro, bensì vanno viste come occasione di ulteriore arricchimento.

Il contatto diretto con le persone permette di cogliere appieno il valore del matrimonio e della famiglia, e conseguentemente di comprendere con migliore intelligenza il valore del Tribunale ecclesiastico. Il ministero pastorale, con la vicinanza alle gioie e alle sofferenze della gente, aiuta a rendersi conto della necessità di dare una risposta certa, in tempi ragionevoli, alla domanda sulla validità o meno di un matrimonio. Non sarà quindi l’urgenza pastorale a insidiare e mettere in secondo piano il lavoro del Giudice o del Difensore del vincolo.

Viceversa, il patrocinio presso il Tribunale ecclesiastico – che impone di condividere seriamente e di assimilare la visione naturale e cristiana del matrimonio – offrirà luce e stimolo agli Avvocati anche per la trattazione delle cause che rimangono in sede esclusivamente civile. La attuale situazione sociale e giuridica fa sì che l’Avvocato abbia grande rilevanza, sovente assai più del Giudice stesso, nella definizione dei rapporti, non solo patrimoniali, dei coniugi intenzionati a separarsi. Anche al di fuori della legislazione canonica, è innegabile il vantaggio per i coniugi, per i figli, per la società, che deriva dal tentativo non puramente formale di salvare anzitutto il bene della famiglia, evitando di approfittare della litigiosità delle parti, e tanto meno di fomentarla.

A questo riguardo, è in generale assai apprezzabile l’opera di consulenza che i Patroni stabili offrono a tutti, indipendentemente dalla eventuale successiva assistenza nella causa da introdurre.

Allo stesso modo, il riferimento alla capacità matrimoniale, intesa in senso canonico, per i Periti diventa un utile criterio per definire, o almeno integrare, un concetto adeguato di maturità personale, che offra affidamento per stabilità, oblatività, relazionalità, in tutte le condizioni di vita. A questo si aggiunge la sapienza che porta a mettere in ogni caso la persona al centro, non tanto dell’indagine, quanto dell’attenzione reale, con la sensibilità di chi ha imparato a trattare con rispetto e delicatezza coloro che devono affrontare un esame che dolorosamente concerne l’eventuale fallimento del loro matrimonio.

Mentre rinnovo la fiducia e la riconoscenza dei Vescovi dell’Emilia Romagna e mia personale, invocando su di voi, sulle vostre famiglie e sul vostro lavoro, la benedizione del Signore dichiaro aperto l’Anno Giudiziario 2000.

17/02/2000
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