Intervento ai “Martedì di S. Domenico”
per la inaugurazione della edizione italiana
di “Sources Chrétiennes” (Sorgenti del cristianesimo)
prestigiosa collana e

Inizio il mio dire, consentitemelo, in modo un po’ autobiografico. Anch’io, come tutti coloro che hanno fatto studi teologici, ho letto e studiato i Padri della Chiesa. Ho anch’io sostenuto esami su di loro. Ma se tutto si fosse limitato a questo “dovere accademico”, probabilmente non sarei qui questa sera a lodare questa iniziativa editoriale.

Ad un certo momento, nel mio rapporto coi Padri della Chiesa, è accaduto un fatto nuovo: è nata un’amicizia. Da un certo momento in poi è iniziata l’avventura di un’amicizia. è iniziato con uno di loro, Agostino, ma poi la cerchia degli amici si è allargata, includendo Gregorio di Nazianzio, Gregorio di Nissa, Leone Magno, Gregorio Magno, Massimo il Confessore. Vi posso dire che essi non sono persone che leggo e studio solamente: sono amici coi quali dialogo sui grandi interrogativi della vita, sulle grandi sfide con cui il mio ministero pastorale mi mette a confronto.

Da dove è nata, perché è nata questa amicizia? Perché avevo bisogno di pensare cristianamente e mi resi conto che solo l’amicizia coi Padri della Chiesa me lo avrebbe insegnato. Stando con loro, dialogando con loro, si impara la logica cristiana; si apprendono le leggi fondamentali del pensare cristiano. Quali sono? Mi limiterò a presentarne tre solamente. Non sono tutte, ma sono quelle che ho soprattutto appreso nella mia amicizia coi Padri. Tralascio di parlare di una quarta che ho appreso soprattutto dai padri “platonici”: la legge dell’anagogia. Lo faccio per non prolungarmi troppo.

1. La legge dell’oggettività: è la «porta d’ingresso» dentro al modo cristiano di pensare. Essendo il punto di partenza, esso decide di tutto il percorso successivo. Che cosa intendo per legge dell’oggettività? Mi fermerò più a lungo poiché si entra in una casa … sapendo dove è la porta.

L’inizio del cristianesimo è da porsi in una decisione di Dio, in un’azione compiuta da Dio: «Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Gesù Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre» [Cost. dogm. Dei Verbum 2; EV 1/873]. Se questo è l’inizio del cristianesimo, l’uomo non potrà mai neppure entrarvi se non si pone nell’attitudine di semplice apertura-ascolto nei confronti della realtà. Cioè: l’uomo non può costituirsi come criterio di misura per Dio, perché non lo è della realtà in quanto tale; la ragione dell’uomo non può porsi come misura per la Parola che Dio gli rivolge, perché non lo è della parola che gli rivolge la realtà.

Gesù ha detto che se non si diventa come bambini, non si entra neppure nel Regno di Dio. Ora che cosa caratterizza in primo luogo l’infanzia? Il suo semplice guardare la realtà in modo tale da  riconoscerla e  ospitarla in sé così come essa è. Ecco perché il bambino ha un’immensa capacità di stupirsi. Ogni realtà incontrata custodisce per lui intatta la sua novità; è sempre per lui inaspettata, dal momento che non è mai pre-concetta, pre-giudicata.

S. Tommaso ha sempre affermato che l’inizio della nostra vita umana, l’inizio della nostra vicenda spirituale è ciò che chiama: «apprehensio entis». Cioè: è l’incontro colla realtà che si pone di fronte a te, che ti fa nascere come soggetto  spirituale. Il primo atto dello spirito non è una domanda, ma è una constatazione.

Vorrei spiegarmi con due esempi, l’uno desunto dall’esperienza umana dell’amore e l’altro dall’esperienza estetica.

Quando due persone scoprono di amarsi? Quando è accaduto che qualcuno  mi riveli che egli intende donarsi senza che ci sia una spiegazione nella sua dedizione. Se infatti io pensassi che questa volontà di dedizione ha delle ragioni che la possono spiegare come una decisione che era necessario prendere, questo amore è definitivamente perduto e la reciprocità è spenta. L’amore è un dono ed in quanto tale è inspiegabile, cioè non è deducibile da nessun a priori. Quando l’amore fra un uomo e una donna cessa? Quando l’uomo riduce la donna a quel che crede già di sapere di lei e viceversa. Quest’esperienza ci spiega bene che cosa significa  legge dell’oggettività e che cosa si oppone ad essa: la legge della riduzione.

Facciamo un altro esempio: l’esperienza che viviamo di fronte ad una vera opera d’arte. Tu resti coinvolto in una gioia pura, disinteressata e tu afferri la sua bellezza come un ordine che non ammette di essere che così come è: sposta una sola nota nell’adagio della Nona sinfonia, e rovini tutto. Ma nello stesso tempo, quell’opera d’arte è qualcosa di assolutamente libero: tu non la puoi spiegare con nessuna legge dell’armonia.

Quale è la legge contraria? è  la «legge della riduzione», e la storia del pensiero cristiano ha conosciuto due forme fondamentali di riduzione: la riduzione cosmologica, la riduzione antropologica. Non voglio ora fermarmi su questo punto. Vorrei invece attirare la vostra attenzione, per terminare, sul test che possiamo fare su noi stessi, per verificare in che misura la legge dell’oggettività è regola del nostro pensare o non.

Quando la legge dell’oggettività è regola del nostro pensare, allora noi non ci stanchiamo mai, in senso spirituale, della realtà; non ci abituiamo mai al Mistero cristiano. Le legge della riduzione tende sempre a farti pensare il mistero cristiano come qualcosa  che già sai, che si può benissimo spiegare con ciò che già conosci. La legge della riduzione logora il Mistero cristiano e quindi estenua la gioia di credere; la legge della oggettività, lasciando essere l’Altro nella sua perenne novità, te lo fa guardare come “qualcosa” di imprevisto: non ti stanca mai, perché è sempre nuovo. “Se lo comprendi, non è Dio” (S. Anselmo). “Ogni giorno, comincia dicendo: sono nato in questo momento” (S. Antonio il Grande). Termino con un testo poetico di K. Woitila.

«Lontane rive di silenzio cominciano appena di là della soglia./ Non le sorvolerai come un uccello./ Devi fermarti a guardare in profondità/ finché non riuscirai a distogliere l’anima dal fondo»”;

$sottotitolo=”Canto del Dio nascosto. I Rive piene di silenzio, 1-4].

2. La legge del cristocentrismo: è la «chiave di volta» di tutto l’edificio cristiano. Chi non è regolato nel suo pensare da questa legge, non ha della realtà una visione cristiana. Che cosa intendo per legge del cristocentrismo?

Essa è bene enunciata nell’Enc. Fides et ratio con le seguenti parole:

«La convinzione fondamentale di questa «filosofia» racchiusa nella Bibbia è che la vita umana e il mondo hanno un senso e sono diretti verso il loro compimento, che si attua in Gesù Cristo. Il mistero dell’Incarnazione resterà sempre il centro a cui riferirsi per poter comprendere l’enigma dell’esistenza umana, del mondo creato e di Dio stesso. In questo mistero le sfide per la filosofia si fanno estreme, perché la ragione è chiamata a far sua una logica che abbatte le barriere in cui essa stessa rischia di rinchiudersi. Solo qui, però, il senso dell’esistenza raggiunge il suo culmine. Si rende intelligibile, infatti, l’intima essenza di Dio e dell’uomo: nel mistero del Verbo incarnato, natura divina e natura umana, con la rispettiva autonomia, vengono salvaguardate e insieme si manifesta il vincolo unico che le pone in reciproco rapporto senza confusione» (80,3).

Ho appreso questa legge soprattutto dai Padri greci, S. Massimo il Confessore in particolare. Mi servo della formulazione di S. Bonaventura.

 Egli veramente pone il Verbo incarnato al centro di tutto: “tenens medium in omnibus” (Hex 1,10; Quaracchi V, 330). Egli è il centro dell’essere, perché è il punto di incontro dell’essere creato con l’Essere divino (medium essentiae); Egli è il centro della vita soprannaturale poiché è attraverso di Lui che viene a noi ogni grazia dal Padre e ciascuno di noi giunge al Padre (medium vitale); Egli è la misura (in medio stat virtus) di ogni rettitudine (medium morale); Egli è il centro e il mezzo di ogni conoscenza vera (medium cognitionis). Alla luce della riflessione francescana, della teologia contemporanea, che cosa si intende esattamente per cristocentrismo? Ragiona, pensa cristocentricamente colui che afferma che Gesù Cristo Verbo incarnato crocefisso-risorto è stato voluto da Dio Padre creatore e predestinatore come prima realtà extra-divina e quindi motivo e causa di tutto il creato, nel senso che ne è la causa esemplare, finale ed efficiente (personale-strumentale) sia nell’ordine della creazione che della grazia.

3. La legge dell’et-et: è la legge che tiene unito tutto l’edificio cristiano e gli dà compattezza. E’ la legge, potremmo dire, della statica cristiana. Che cosa intendo per legge dell’et-et?

E’ la legge secondo la quale il mistero cristiano è costituito nella sua interezza dalla com-posizione dei contrari [union des contraires: Pascal]. In un certo senso, è la legge più importante perché è la più facile da verificare: è il «codice» con cui l’edificio cattolico si fa conoscere. Disse una volta G. Guitton: “Cattolico è colui che vuole tutto e il suo contrario, che non vuole rinunciare a niente” (cit. in V. Messori, Qualche ragione per credere, ed. Mondadori, Milano 1997, pag. 60).

Nella visione cattolica Dio è uno e trino, Gesù è vero Dio e vero uomo, la Chiesa è corpo mistico di Cristo e istituzione umana; la persona umana è corpo e spirito; ragione e fede; grazia e libertà.

Scrisse Chesterton. “L’eresia è quella verità che trascura le altre verità. Solo la Chiesa cattolica è il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento e riescono a convivere, pur se minacciate di squilibrio” (cit. in V. Messori, op. cit., pag. 60).

Per apprendere questa legge del pensare cristiano, è imprescindibile porsi alla scuola di S. Tommaso, come hanno sempre richiamato i sommi pontefici (cfr. ora la già cit. Enc. Fides et ratio 43-44).

Conclusione

Pensare cristianamente non è facile: non lo è mai stato. Oggi il pensare cristianamente è insidiato continuamente da un soggettivismo che imprigiona l’uomo dentro al reticolato di opinioni senza senso obiettivo, da una crisi di senso che ritiene inutile la ricerca di un significato unitario dell’esistenza, da una disintegrazione, ritenuta definitiva, del sapere, incapace di cogliere l’unità dei distinti.

Pensare cristianamente è necessario per ogni credente, se non vuole che il credere sia separato dalla vita. La vita è atto della libertà e la libertà si radica nel pensiero.

è andando alla scuola dei Padri che impariamo la logica cristiana.

 

 

17/04/2007
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