Meditazione al Rosario del 6 aprile

Bologna, arcivescovado

“C’era un uomo che aveva un giardino sul mare, che aveva piantato e coltivato personalmente, e aveva a cuore ogni singola pianta che aveva messo a dimora. L’uomo sperava che questo o quell’albero avrebbe presto dato frutto. Non si può dire che avesse bisogno del giardino – No, non era questo. Solo che la piatta desolazione del paesaggio vicino al mare gli sembrava triste e insulsa.

Così il desiderio di gioia era stato il motivo ultimo per impiantare il giardino. Il desiderio di potersi rallegrare di qualcosa, di poter legare a qualcosa il suo cuore. In una notte tempestosa d’inverno, però, minacciava un’inondazione e l’uomo, qualunque fosse il motivo, non poteva occuparsi personalmente del giardino. Le onde si erano gonfiate quasi a statura d’uomo e tutti ammonivano di non andare al mare. Tuttavia, malgrado ciò, l’uomo decise di mandare nel giardino in pericolo il suo fidato e unico figlio.

Al figlio venne affidato il compito di salvare il salvabile con sacchi di sabbia. Ogni libbra di sabbia, però, doveva prima essere strappata al mare e non solo il tempo era freddo e tempestoso, ma l’uomo sapeva che suo figlio sarebbe sicuramente stato in pericolo. Il servo più anziano disse: “E’ follia mandare adesso il figlio, morirà nell’inondazione”. E un altro disse: “Che cosa ti è più caro, il giardino o il figlio? Sei così innamorato del giardino da non risparmiare tuo figlio?”. E un terzo disse addirittura: “Sei pazzo a fare questo. Lo sai quanto è pericoloso. Non ami forse tuo figlio? Che ti importa del giardino, di cui non hai affatto bisogno? Come si può essere tanto pazzamente innamorati del proprio giardino da sacrificare per esso ciò che si ha di più caro? No, non ti capiamo!”.

E un quarto disse: “Qualsiasi tribunale ti dichiarerebbe responsabile di un delitto colposo. Forse ti darebbero delle attenuanti perché sei pazzo “.  E l’uomo disse: “mio figlio è come me. La mia gioia è la tua. Sa quanto amo il giardino e lo fa per me. Ne va dell’esistenza stessa della gioia. E dopotutto amo il giardino, perché è opera mia”. E il servo più anziano rispose: “Ma puoi amare tuo figlio e rallegrarti di lui! Perché metti in gioco la sua vita per un bene decisamente inferiore – un giardino sul mare?”.

E l’uomo rispose: “Se una pianta viene sommersa ed erosa dall’acqua salata, inghiottita dal mare o privata dei suoi fiori è irrimediabilmente perduta, a mio figlio invece l’acqua salata mortale non fa male davvero e per sempre, anche se lo sfiora”. E il servo disse: “Ma il giardino è già allagato, l’acqua è già penetrata fino al fusto delle piante. Non serve più a niente”. E l’uomo: “Se l’acqua non agisce troppo a lungo, il giardino si può ancora salvare. Tanto più in fretta manderò mio figlio. So che il giardino è inondato, ma tutto si può ancora salvare”.

Un servo: “Forse ti affascina proprio questa possibilità di salvare? Forse questo è ancora più affascinante dell’impianto del giardino, e cioè, per così dire, il recuperarlo di nuovo, strappandolo ad una minaccia mortale. Riaverlo un’altra volta”. L’uomo: “Lo ammetto: salvare è gioia raddoppiata. Il salvare in effetti mi affascina a tal punto che sprezzo il pericolo che corre mio figlio e cioè, in fondo, anche io. Facendo ciò posso scordare interamente me stesso e così anche il rischio per mio figlio, ce fa strettamente parte di me”.

Un altro servo: ” La gioia per la tua opera e la gioia raddoppiata per la possibilità di salvare te la concediamo, ma deve per questo essere mandato proprio il figlio?”. L’uomo: “Soltanto il figlio è pratico del giardino, è stato determinante nel suo impianto, ha tutto il progetto dentro di sé”. Un altro servo: “Ma come puoi farlo soffrire tanto per questo, come fai a dimenticarti e come fa lui con te a dimenticare se stesso al punto di addossarsi tanti disagi per così poca gioia?”.

L’uomo: “Voglio raccontare una parabola: è come un pastore che aveva un gregge di pecore che veniva minacciato dai lupi. E quando arrivano i lupi si mette davanti alla porta dell’ovile e attira i lupi su di sé, lontano dalle pecore, ed essi lo sbranano”.

Il servo più anziano: “Nessun pastore fa una cosa del genere! Una perdona, infatti, vale più delle pecore!”. L’Uomo: A meno che ami le pecore, che le ami in modo tanto pazzo e sconsiderato da dimenticare se stesso e sacrificarsi. Quello che conta è l’amore che prova chi fa una cosa del genere”. Il servo: “Ma è un amore pazzo, che non conosce misura, un amore ingiusto, privo di prudenza e criterio”. L’uomo: “Conosci forse un amore diverso? Questa mia follia non è forse il mio mistero ultimo, più profondo, non è forse ciò che sono? Non ricavarne niente tranne la gioia che le pecore vivano ed essere beato di questa gioia – non è forse ciò che sono?” (da Gesù, di K. Berger). 

06/04/2020
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