mercoledì delle ceneri

Bologna, Cattedrale

A bene iniziare la Quaresima – il tempo davvero “favorevole” ai nostri interessi più autentici e sostanziosi, il tempo propizio a formulare i propositi più necessari, il tempo nel quale siamo invitati ad affrontare con serietà la questione della nostra salvezza – la Chiesa nella sua sapienza educativa dispone per noi prima un gesto suggestivo ed austero, poi un insegnamento e un esempio.
Il gesto è quello di aspergerci il capo di cenere, l’insegnamento e l’esempio sono quelli offertici da Gesù nell’episodio delle tentazioni che è sempre presentato al popolo cristiano nella prima domenica di questo periodo di penitenza.

Le ceneri sono un richiamo energico alla vanità di tutte le cose del mondo, di tutte le esperienze che possiamo fare, di tutti traguardi che possiamo raggiungere. L’intera nostra esistenza termina con un annientamento: “Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai”. Tutto sarà “polverizzato”, così ci ammonisce la Chiesa.
Questo è nella sua pedagogia l’elemento negativo. E’ un elemento necessario, perchÈ serve a sgombrare il cuore e la mente dei vari “idoli” che reclamano indebitamente attenzione e culto, come se fossero eterni, vivi e gratificanti, e sono invece effimeri, morti e mortiferi.
E’ necessario, ma non basta. Restasse solo, il pensiero della “infinita vanità del tutto” sarebbe ambiguo, e potrebbe addirittura diventare forviante: o perchÈ fonderebbe una inutile disperazione, o perchÈ spronerebbe alla trasgressione senza freni: “Mangiamo e beviamo, perchÈ domani moriamo” (cf Is 22,13).

La persuasione della morte immancabile e della labilità di ogni cosa deve perciò accompagnarsi con quella della necessità di rovesciare le nostre prospettive e di affidarsi a ciò che ci può salvare: “Convertitevi e credete al Vangelo”. Proprio la scena di Gesù che nel deserto digiuna e viene tentato ci dà in positivo il rimedio e l’indicazione per arricchire di valenza eterna i nostri giorni effimeri e insidiati.
Alle soglie della vita pubblica, il Figlio di Dio, divenuto uno di noi, ci dice che salverà il mondo non per la via del secolarismo che esclude i valori trascendenti, come se il “pane”, cioè gli interessi e i piaceri della terra bastino da soli a saziare tutte le attese del cuore umano; non per la via del prestigio, del clamore pubblicitario, del consenso di massa; non per la via del dominio esteriore sugli uomini e sulle cose. La sua è la via della croce, della totale adesione alla volontà del Padre, dell’amore concreto ai fratelli.

Cristo non piega le ginocchia – come vorrebbe il tenebroso tentatore – davanti al potere, alle ideologie, alle lusinghe degli imbonitori o alle minacce dei prepotenti. Il suo Regno è di un altro mondo, anche se quaggiù deve trovare le sue premesse e la sua instaurazione iniziale in coloro che si lasciano raggiungere e trasfigurare dallo spirito delle beatitudini evangeliche.
Anche noi, perchÈ il Regno di Dio si estenda nei cuori, vogliamo oggi dare principio con volontà operosa alla meditazione, alla preghiera, alla mortificazione, che sono proprie di questo tempo di grazia.
Basterà per stasera approfondire un po’ la riflessione sul dialogo sconcertante che si svolge fra l’Unigenito del Padre e il Principe delle tenebre.

Anche noi, che ci mettiamo alla scuola dell’unico vero Maestro, dobbiamo senza esitazione respingere tutte le proposte che ci svierebbero dalla sequela di Cristo e riscoprire, in queste settimane di rapporto religioso più intenso, la solidità e la bellezza della nostra professione cristiana.
A chi ritiene che l’uomo debba guardare soltanto alla vita terrena e che ogni attenzione alla vita futura ed eterna sia senza significato e addirittura alienante, il cristiano oppone la parola di colui che è la Verità: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

In questa prospettiva non c’è possibilità di conciliazione tra la fede, che pone in Dio l’origine e il fine dell’uomo, e la concezione che rinnega ogni valore posto oltre la portata dei sensi e degli orizzonti visibili: concezione tipica della defunta ideologia marxistica e della ideologia edonistica, libertaria, radicaleggiante che oggi ci affligge.
A chi ravvisa il suo bene nel successo, nel plauso della gente, nella notorietà, il cristiano eccepisce additando l’esempio di Cristo, che non si è lasciato trasportare sui pinnacoli dell’orgoglio e dell’egoismo. La cima su cui vorrà salire per attirare i popoli a sÈ, nella libertà dell’amore, sarà l’alto della croce. Il monte, donde vorrà valutare i regni del mondo e la loro gloria, sarà il monte del Calvario.

Contemplando questo modello, il discepolo di Gesù non si lascerà adescare nÈ dall’ambizione del potere nÈ dal favore volubile dell’opinione altrui. Saprà anzi affrontare la sufficienza e l’ironia di una società incredula e senza ideali; e non si rassegnerà mai, per paura o per ingeneroso desiderio di quiete, a velare davanti agli altri lo splendore del suo “credo”, le ragioni della sua speranza, le sante esigenze della legge evangelica della carità.
In un tempo dove si va estendendo il convincimento che è sempre meglio stare con quelli che vincono e possono compensare chi li sostiene, il discepolo di Gesù è soprattutto sollecito di non smarrire la sua identità di figlio di Dio e di membro della Chiesa.
Tutti i regni del mondo – cioè tutte le preminenze in campo politico, sociale, economico, e tutte le posizioni di prestigio – non valgono la fedeltà a colui che è l’unico Re dell’universo, della storia e dei cuori. Così risponde Gesù al suo tentatore: “Adora il Signore tuo Dio e a lui solo rendi culto”.

25/02/1998
condividi su