Mercoledì di Quaresima/5

Bologna, Arcivescovado

Siamo giunti quasi alla fine della Quaresima. Ci prepariamo tra pochi giorni a seguire il cammino di Gesù che affronta il male mentre noi ci confrontiamo con la pandemia, parola che pensavamo descrivesse cose del lontano passato o che interessavano solo zone povere del mondo. Invece non smettiamo di misurare, tutti, con dolore e fatica la sempre sorprendente forza del male.

Certo, lo sapevamo, ma lo abbiamo capito solo dopo che ci ha raggiunto personalmente. Davvero dobbiamo imparare cosa è la compassione, capire la sofferenza non perché è nostra ma perché la facciamo nostra, e quindi renderci conto che non è un buon sentimento ma lotta tra la vita e la morte!

Quanto facilmente pensiamo che tanto per noi sarà diverso, forse per andare avanti o per illuderci che non colpirà noi. Siamo talmente fatti per vivere che il male e la morte appaiono davvero incredibili! La Quaresima ci sveglia, ci restituisce alla vita vulnerabile e povera com’è e poveri come siamo.

Quaresima è convertire il nostro cuore non per una perfezione che non ci è chiesta e che spesso ci rende solo pieni di giudizi e di inutili fobie, ma per aprirci all’amore, da ricevere e da dare. Il male, come ci racconterà don Giuseppe Salicini colpito dal Covid – e lo ringrazio di cuore per le sue toccanti parole – si insinua nella vita normale, si manifesta violento, improvviso, stordisce. La sofferenza che produce dura sempre troppo e trasfigura in negativo tutta la vita.

Non lasciamo mai solo chi è nella sofferenza e non dimentichiamo che questa è insopportabile, che richiede di avere fretta, di non perdere qualsiasi opportunità per alleviarla, perché è sempre pesante! A chi è nella sofferenza parliamo con delicatezza, con tanta umanità, sommessamente, con sensibilità, perché il paternalismo o la superficialità umiliano, fanno sentire buoni i sani ma incompresi e distanti i malati. Gesù nella passione è messo alla prova che è sia fisica sia spirituale, perché facciamo fatica a credere alla luce quando tutto è buio e il dolore è una tempesta che rende la vita stessa una condanna.

Cos’è la Chiesa? Una madre che si ritrova sotto questa croce. È stata una madre la comunità di don Giuseppe, che si è ritrovata spesso a pregare per lui sotto la sua croce. Come vorrei fosse così per tutti. Cioè che nessuno sia lasciato solo e che tutti possano sentire la protezione di una comunità che non si dimentica dei suoi figli e che sente tutti coloro che soffrono tutti suoi figli.

La Chiesa è una madre che sa comprendere la sofferenza, anche quando è nascosta nelle pieghe della psiche o è distante dagli occhi, ma non dal cuore. E quanta unità sperimentiamo tra noi aiutando questa madre! E in questo amore già c’è la luce della resurrezione. Non c’è Pasqua senza la croce, ma anche non c’è croce senza la Pasqua.

I tre fratelli erano deportati a Babilonia e, pur in una condizione difficile, debolissima, sfidano il re. Sono forti nell’anima. Non si piegano alle intimidazioni. Per amore di Dio non cedono agli idoli che svuotano il cuore e riducono la persona ad un consumatore. I tre fratelli sono davvero forti e liberi perché non piegano il loro amore alla convenienza. Non vendono la loro anima. Ci sono momenti in cui si deve scegliere da che parte stare e come vivere. È l’ora della prova, quando siamo vagliati come il grano.

La pandemia è una fornace che vuole consumare tutto e che rivela, come sempre la sofferenza, quello che siamo e con che elementi abbiamo costruito la nostra vita. Arriva la prova e così si rivela la nostra fede. Cosa ci salva: evitare il male, anche sacrificando agli idoli, o affrontare il male per amore? La forza dei tre fratelli è in realtà la preghiera. Azaria canta come un salmo. Egli non inizia con un lamento, come si potrebbe facilmente immaginare in una situazione difficile come questa. Invece, in una situazione difficile benedice il Signore, di cui proclama la giustizia. Azaria non accampa diritti, non reclama la propria innocenza, si affida a Dio e benedice per tutto quello che ha.

San Francesco la chiamerebbe la perfetta letizia. Ed è questo che ci rende forti: affidarsi al suo amore. “Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del tuo nome, non rompere la tua alleanza, non ritirare da noi la tua misericordia”. Si rivolge al suo Signore certo di essere ascoltato. Sa che il Signore non lo abbandona. La preghiera nella prova è drammatica. A volte è un grido, altre come gemiti inesprimibili. La preghiera ci fa partecipi della vita divina, ci fa sperimentare nella prova quella rugiada che mitiga e vince la durezza della sofferenza. E ci fa riconoscere l’angelo, la presenza di amore di Dio che protegge. In questi mesi, ad esempio, quanti angeli nelle fornaci di sofferenza, anche solo con una carezza o una telefonata con i parenti! E come può anche ognuno di noi, con i piccoli gesti di gentilezza e di protezione, essere un poco di rugiada nella solitudine che può fare soffrire terribilmente!

Al termine la fede e l’amore dei tre fratelli porteranno anche lo stesso Nabucodònosor a benedire Dio, sorpreso proprio della loro fede e di quell’angelo che era in mezzo a loro. Il dolore aspro e violento della prova scompare, sembra quasi dissolversi in presenza della preghiera e della contemplazione. Nella sofferenza, come Gesù affidiamo al Padre il nostro Spirito perché la notte sia illuminata da quello spiraglio di luce che ci fa sentire sempre infinitamente amati da Dio.

25/03/2021
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