messa della notte di Natale

Bologna, Cattedrale

Una speranza più forte di ogni dubbio e di ogni eventuale scetticismo ci ha convocati in quest’ora insolita attorno alla scena insolita di una nascita in una stalla. Ma anche il neonato è un insolito personaggio.

Proprio stanotte si compiono i due millenni da che egli è entrato nella vicenda umana e l’ha segnata, tanto che dalla sua comparsa l’umanità misura il progredire del tempo ed enumera gli anni. E noi ci riteniamo davvero avventurati di poter vivere questa straordinaria ricorrenza, che ci emoziona e ci allieta.

In colui che a Betlemme ha visto la luce ci stupisce la coesistenza di opposte connotazioni. C’è in lui un contrasto che ci provoca e al tempo stesso ci affascina: egli è così incredibilmente povero, che la sua culla è una rozza mangiatoia, momentaneamente sottratta al suo uso abituale; ed è così eccelso in dignità che il suo ingresso nell’esistenza è onorato da un concerto che non ha precedenti: una moltitudine di creature celesti canta per lui un inno di gloria e di pace. E’ debole e senza parola, come tutti gli infanti; ma il profeta, che abbiamo ascoltato, ci ha detto che “sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato ëconsigliere ammirabile’ ” (Is 9,5).

Forse è appunto questa sua misteriosa ambivalenza a costituire per noi l’auspicio e la promessa che finalmente abbiamo trovato, per le nostre pene e i nostri guai, un aiuto inedito e decisivo. Abbiamo trovato qualcuno che può rispondere alle nostre implorazioni di soccorso perché è uno di noi, vicino e partecipe della nostra povertà esistenziale; e insieme è uno che viene dal cielo e porta con sé l’energia liberatrice e rinnovatrice di Dio.

Quante volte nella storia gli uomini sono stati illusi e poi immancabilmente delusi dai miti, dai personaggi, dalle ideologie, che promettevano un riscatto e una stagione felice! Questa volta però abbiamo davvero “trovato”; la voce dell’angelo non teme smentite: “Ecco, vi annunzio una grande gioia” (Lc 2,10).

E’ una gioia vera, che è offerta all’umanità intera. Non è riservata a pochi (i potenti, i ricchi, gli intellettuali: cioè i soliti privilegiati ai quali è normale che siano destinate le buone notizie), ma “sarà di tutto il popolo” (ib.), ci assicura il messaggero divino.

E’ la gioia di aver incontrato qualcuno che ci può scampare dalle molteplici miserie dei nostri giorni terreni: “Vi è nato un salvatore” (Lc 2,11). Quel bimbo, che è il “Dio con noi”, per toglierci dall’avvilimento del peccato commesso e dalla tirannìa del male incombente, si immolerà sulla croce; quel bimbo – che è il “Dio potente, il Padre per sempre, il Principe della pace” (come l’ha chiamato il profeta: Is 9,5) – per liberarci dall’angoscia di dover finire annientati dalla morte, risorgerà dal sepolcro e ci associerà alla sua vittoria pasquale.

Ed è, più profondamente, la gioia di sentirsi amati: questa piccola creatura, avvolta affettuosamente in fasce da mani materne e verginali (cfr. Lc 2, 7), è un dono del Padre: il dono più grande e più sorprendente che potessimo mai ricevere. Come sta stupendamente scritto nel vangelo di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

Egli è stato ed è l’anelito anche inconsapevole di ogni cuore. L’hanno atteso e l’attendono quanti si sentono come esiliati in una terra nella quale non riescono a percepire come vorrebbero la verità, la giustizia, la pace, la fraternità, la saggezza.

Coloro che aspirano a questi valori, magari inconsciamente aspirano a lui; coloro che operosamente tentano di conseguirli per quel che possono, nella realtà già si avvicinano a lui; coloro che, poco o tanto, si sacrificano per affermare e diffondere tali valori, già sono in una iniziale ma autentica comunione con lui.

Il Natale è dunque la grande festa di quanti esplicitamente o implicitamente – nel segreto della loro coscienza e nella testimonianza fattiva della loro vita – hanno accolto il Verbo che “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” ( Gv 1,14) e hanno da lui ricevuto il “potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).

Dio ci ha così amato da regalarci il suo unico Figlio come nostro fratello, costituito come noi nell’identica natura umana. E’ inclusa in questo evento inaspettato e stupefacente una eccezionale esaltazione dell’uomo. Il Natale ci regala non solo la rivelazione della grande benevolenza di Dio, ma anche la premessa di un umanesimo incontestabile e ricco per noi di speranza.

Ma come mai l’uomo, che è oggetto di tanta stima e attenzione da parte del suo Creatore, ha poi così poca stima di sé da smarrire la sua dignità nei suoi comportamenti e degradarsi nei suoi stessi pensieri?

San Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna contemporaneo di san Petronio, splendida gloria della nostra regione, in una celebrazione natalizia affronta appunto questo nostro interrogativo, avvalorando al tempo stesso la nobiltà e la bellezza della famiglia umana. E’ una lezione che merita di essere raccolta.

“O uomo, – egli esclama – come mai ti rendi da te così spregevole, mentre sei così prezioso per Dio? Perché tu che sei onorato da Dio, disprezzi in tal modo te stesso?” Non è forse stata fatta per te questa dimora del mondo che tu vedi?” Per te il cielo è stato irradiato dal vario fulgore del sole, della luna, delle stelle. Per te la terra è stata adorna di fiori, di boschi e di frutti. Per te è stata creata nell’aria, nei campi, nell’estensione delle acque un’ammirevole, armoniosa moltitudine di esseri viventi, affinché una triste solitudine non turbasse la gioia della nuova età” (Sermo 148, 2).

L’orgoglioso e selvaggio progresso dei figli di Adamo, dimentichi dell’eterno Artefice – aggiungiamo noi – sta mettendo seriamente a repentaglio tutta questa munificenza della sapienza creatrice.

Ma c’è un dono di Dio che per fortuna non potremo mai perdere, nonostante le nostre prevaricazioni e le nostre stoltezze; ed è quello che contempliamo ammirati nella festa del Natale del Signore Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Colui che a Betlemme è diventato l’Emmanuele (il “Dio con noi”), non può abbandonarci più e rimane a vincere ogni nostra tristezza e a rianimare ogni nostra fiducia.

24/12/2000
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