Messa e ordinazione di cinque nuovi sacerdoti salesiani

Oggi è un giorno in cui noi tutti sentiamo la santità dellanostra chiamata. Vederla in loro cinque ci aiuta a riconoscerla in noi. E’ tutta la nostra comunità, articolata in tante appartenenze, piccolo cenacolo con una forte inflessione galilea salesiana, che celebra la gioia di rispondere al Signore e di trovare la ciascuno la sua missione, la risposta alla domanda sulla nostra vita. La nostra chiamata non è ad essere perfetti, secondo l’ipocrisia dei farisei. Il vero invito alla perfezione è amarlo e ci rende padroni di noi stessi perché pieni di Lui, piccoli e non presuntuosi. Dio innalza gli umili e rende gli umili capaci delle cose grandi. Siamo creati per amare e per essere amati non per essere maschere, degli ego insoddisfatti e sempre centrati su di sé, prigionieri dei labirinti di una psiche che se non ama alla fine rimane davvero banale e in fondo non interessante agli altri. Noi siamo santi solo perché amati, pieni di Lui. Siamo noi stessi e allo stesso tempo suoi. Siamo liberi perché liberi dal nostro io, dalla prigionia del nostro limite; liberi di essere grandi non come i banali e inconcludenti, egocentrici re delle nazioni che hanno potere su di esse, che amano anche farsi chiamare benefattori, ma restano soli. L’amore ci libera dal provvisorio, che è la tentazione di non crescere e di una libertà senza legami. L’amore cerca sempre l’eterno, desidera che non finisca, chiede che sia per sempre. Per questo non mette paura ed è una gioia la vostra scelta “per sempre”. “Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni”. E’ il senso della vostra vita, che trovate oggi!
Certo, ci prende il senso di inadeguatezza. E’ sano! Conserviamo il timore, che è sempre il principio dell’amore e liberiamoci dalla paura. Noi siamo appassionati, non incoscienti; siamo entusiasti consapevoli; non giochiamo all’esperienze ma siamo pieni di quello Spirito Santo che non è vino nuovo come le tante ubriacature del mondo, ma fuoco che trasforma il mondo, unisce il cuore e la mente, è “sobria ebrietas” che ci libera dalla mediocre tiepidezza, rivelazione nell’uomo della luce di Dio. Siamo sempre inadeguati. Questa consapevolezza, serena, ci libera dal cercare altrove e a tutti i costi sicurezze e conferme, che non bastano mai, presunte capacità sempre da verificare. Voi la sicurezza non cercatela nel funzionalismo, ma nella solitudine sconfitta, nelsorriso che consola, nei segnidel Regno che è già in mezzo a noi e che Gesù indicò a Giovanni Battista: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i sordi odono, ai poveri è annunziata la buona novella. E’ il Signore checi rende adeguati, che ci conosce e ha fiducia in noi, che non chiede mai niente che noi non possiamo compiere,che ci libera dalla paura di amare senza misura. Non abbiate paura degli uomini, solo abbiate timore di Dio e timore di perdere una sola delle pecore che ci sono affidate.
Lui ci rende suoi commensali. E’ il gesto più grande dell’amore di Gesù. E’ la mensa che servirete, rivivendo voi per primi l’intimità di un Cristo che si fa nutrimento per me, per noi, per “tutti”. Che dono immenso, comunione piena con Lui e tra di noi. Quella stessa mensa apparecchiatela nel vostro servizio e questa stessa intimità spirituale costruitela edificando comunità concrete, legami di persone, luoghi di amore e relazione, dove al centro ci sia sempre Gesù che continua a desiderare mangiare questa Pasqua con voi e a voi affida se stesso, il suo Corpo. Se condividiamo il pane del cielo, come non condividere quello della terra? E’ la stessa intimità spirituale e umana che si chiama comunione. E siate voi pane buono per i tanti che vi sono affidati e insegnate che Gesù parte proprio dai nostri cinque pani e due pesci, dalla miseria della nostra vita per sfamare i tanti che hanno bisogno di amore, di futuro si fiducia. Un amore così, un’intimità così ci libera dalla paura di amare e ci fa capire che perdere è trovare.
Il compito che la famiglia salesiana vi affida è quello di trovare in ogni ragazzo che incontrerete quel punto accessibile al bene che gli consentirà di aprire il suo cuore e di incontrare Dio. Don Bosco con Bartolomeo si mise a fischiare: trovò una comunicazione tutta originale (l’amore è forse standard?) personale, attraente. Senza questo sarebbe rimasto lontano, un condannato: lui non avrebbe capito e noi ci saremmo sentiti a posto, magari giudicandolo male! Don Bosco non si stancò di andare a trovare Giuseppe nonostante le critiche, sempre giuste ma anche sempre così piccine e meschine di chi era stato derubato dal ragazzo. L’amore è insistente e la fiducia richiede tempo. Conquistò la fiducia di Tommaso difendendolo da quelli che oggi definiremmo dei bulli. Fate sentire che state dalla parte loro, non lasciatelo virtuale e difendete in maniera concreta la vita dei ragazzi dalle tante violenze che la aggrediscono. Di tutti i ragazzi del primo oratorio salesiano ricordo Michele, giovane orfano di padre, capo di una banda. Pizzicati da un prete mentre stanno combinando una marachella tutti scappano a parte lui. Il sacerdote premia quel coraggio chiedendo a Don Bosco di accoglierlo nel suo oratorio. Giovanni accetta e l’ultimo arrivato si rivela subito molto bravo nelle competizioni, mentre la sua vita spirituale lascia a desiderare. Il ragazzo non si confessa e la domenica non fa la comunione. Don Bosco osserva, ma non interviene come un moralismo miope e in fondo pigro avrebbe suggerito. Attende che sia lo stesso Michele a rendersi conto che non è più degno di stare in quel posto: diventa triste perché pensa che presto dovrà lasciare l’oratorio. E’ lì che Giovanni interviene chiedendo come mai la tristezza abbia preso il posto della spavalderia e dell’allegria. Parte da lui e non dalle sue regole! Il giovane apre il suo cuore a don Bosco il quale dà a quel fiume in piena di lacrime, scuse e pentimenti, il valore della confessione e lo assolve. Da lì Michele diventerà un ragazzo un modello anche nella vita spirituale. Ecco il mio augurio: che la vostra vita sia piena di tanti nomi così, nomi che finalmente diventano persone, quelli del cento volte tanto per cui lasciare tutto. Siate gioiosamente poveri perché siete ricchi che rendono ricchi gli altri; siate obbedienti perché liberi e per non dovere rendere conto agli idoli del mondo; siate casti per amare tutti con tutto voi stessi. Infine, aiutatevi sempre tra voi, perché un segreto è anche quello della fraternità: se vivete la comunione saprete costruire comunione ovunque, ciascuno, secondo il suo dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. E poi i doni di ciascuno arricchiscono tutti, e diventano dell’uno e dell’altro se vi amate.
Tutti voi avete incontrato in maniera concreta il carisma, nella relazione personale che passa per delle persone e in quello spazio che è l’oratorio, ospedale da campo, santo quanto gli spazi tradizionalmente spirituali. Don Bosco diceva: “Il più grande dono che Dio possa fare ad una famiglia è quello di avere un figlio sacerdote”. Nelle vostre case questi ragazzi hanno fatto la prima esperienza dell’amore di Dio. Andrea con la sua voglia di volare e di guardare sempre in alto, da Feltre, aereonautico che prende il libretto per volare sempre, al convitto trovava un cibo diverso dagli altri, un condimento che dava sapore e accompagnato ha accompagnato per seminare con la sua testimonianza. Paolo da Parma, gioviale attento amico vero e per questo vero assistente sociale, pronto ad incontrare e di farsi incontrare da chiunque, con la pazienza di sapere aspettare il seme dell’amicizia cresca nelle terra buona che sempre c’è in ogni ragazzo. Giacomo Paderno, con coraggio incontra a scuola il motivo per superarsi ed essere un punto di riferimento importante, sempre capace di fare un passo indietro perché siano i ragazzi a sentirsi i veri protagonisti. Giovanni, da Cernusco naviglio, pieno di spirito missionario, biologo che ha capito la vita nel grande laboratorio di umanità che è l’oratorio, alla ricerca di una vita semplice vicina ai poveri come nei campi degli Amici del Sidamo, perché il servizio sia condivisione e non costrizione. Infine, il sorriso dell’altro Giovanni, che qui a don Bosco gioca in casa, per tutti noi Giubba, che affronta così le fatiche, anche quelle più difficili, perché la gioia è la nostra forza, vero antidoto contro ogni paura e contro l’amara tristezza che avvelena i l nostro cuore. La prima felicità di un giovane è quella di sapersi amato. Vi siete sentiti amati ed avete iniziato ad amare. Solo quando ci sentiamo amati maturiamo la forza che ci permette di cambiare e di correggerci, che ci dà la capacità di aspettare e di apprezzare i progressi che con tanta fatica un ragazzo che sta facendo, senza volerli accelerare, magari per una questione di orgoglio e per farsi belli davanti agli occhi dei confratelli. Siate il riflesso d Dio, cioè coloro che incontrerete possano incontrare Dio, vederlo attraverso di voi. Più siete suoi più vedranno in voi Dio. Mostrate il suo affetto, sapendo aspettare come i genitori nell’accompagnare la crescita dei figli, come il Signore ci ha aspettato e con la fedeltà dell’innamorato si è fatto trovare proprio dove noi passavamo. Il sacerdote salesiano è lo strumento tra il ragazzo e il bene. Sia così e interceda per voi San Giovanni Bosco e vi protegga Maria Ausiliatrice.

15/06/2019
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