Messa esequiale don Aldemo Mercuri

Panico

“Fratelli, l’amore del Cristo ci possiede”, afferma l’apostolo. Sì, noi siamo liberi perché il legame con Gesù è un legame di amore. Non è interesse, fosse pure filantropico. Ci lasciamo possedere dall’amore, perché l’unico interesse dell’amore è l’amore stesso, è l’amato.

Ci possiede perché Gesù per primo, quando eravamo lontani, ci ha amato e ha donato tutto per noi, si è fatto Lui possedere da noi, si è consegnato alla nostra vita. Amore significa pensarsi assieme. È amore “fino alla fine”, non una emozione di superficie, donare quello che avanza, o un legame usa e getta, cioè resto con te finché mi conviene o mi va.

È amore, esigente, radicale, che non può accontentarsi di surrogati, perché l’amore vero ha sempre in sé qualcosa di grande, grandissimo e umile, concreto, ordinario, possibile. E Dio non è un ente diffuso, un erogatore di tranquillità, senza l’impatto di un rapporto personale, che entra dentro, che coinvolge tutto di noi.

È un legame che nessuno può spezzare. Chi ci può separare dall’amore di Cristo? L’amore è un Tu, è un padre, è un fratello e questo non toglie la libertà, è la libertà! Perché non è libero chi vive per se stesso, chi possiede la sua vita, ma chi vive per il prossimo perché ama e chi la vita dona.

È libero chi ama, chi si pensa per gli altri, per quell’altro che Dio indica come il suo stesso amore, il mio prossimo, quindi un volto, Gesù e tanti volti, un incontro e tanti infiniti incontri. “Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro”. Ecco, questo è un cristiano. Vivere per se stessi è il vero peccato originale, l’io che si sostituisce a Dio, che vuole fare da solo e non unendosi nell’amore. Cosa diventa Dio se abbiamo con Lui una relazione senza amore e senza corrispondere al suo? 

Oggi ascoltiamo queste parole dando l’ultimo saluto, improvviso, incredibile, ingiusto al nostro caro Aldemo che raggiunge l’altra riva. Come quando una barca si allontana e la seguiamo fin dove possiamo con lo sguardo, fino alla linea dell’orizzonte. Pensiamo però che dall’altra parte del mare della vita c’è un’altra riva e altri che aspettano, che lo abbracciano. Penso a sua mamma, della quale ricordo il suo amore per lei. 

In realtà tutta la nostra vita è un passaggio all’altra riva, perché non è un cerchio che si chiude, ma un cammino che avanza verso il cielo. Ci aspetta l’altra riva, l’eternità, cioè l’amore che non finisce e l’incontro con il Signore che abbiamo iniziato a riconoscere ed amare. Non possiamo restare su questa riva. La vita sulla terra finisce.

Solo se sale al cielo si trasforma. Viviamo in quel mistero di amore che si è rivelato nel Signore Gesù, morto e risorto perché anche noi diventiamo uomini nuovi. In questa traversata ci sono tempeste, a volte terribili, come quella che ha travolto Aldemo, la pandemia.

Al maestro importa che noi moriamo? Certo! È venuto per questo sulla fragilissima imbarcazione della nostra vita. Sembra, però, che a Gesù non importi di morire oppure che non si renda conto del rischio. In realtà sappiamo che Gesù, come ogni uomo, soffrì tristezza e angoscia davanti al calice amaro della morte. Dorme perché si affida. La bonaccia l’ha nel cuore. Dorme perché sa che nella tempesta il Padre non lo abbandona. La pace la troviamo quando stiamo con Lui e questo ci permette di affrontare tutte le tempeste. Come per Aldemo. L’amore per il Signore metteva pace nella sua vita, nella sua fragilità, era davvero la sua forza. Era davvero un uomo della comunità Aldemo, si consegnava tutto alla comunità, con la sua umanità e quindi, come per ognuno di noi, anche con la debolezza, sempre attento e aperto agli altri. E la presenza oggi di tanti, che ha amato, dopo il lungo servizio come cappellano militare, è l’evidente frutto di amore donato. 

“Non abbiate paura” ripete con insistenza Gesù nel Vangelo. “Non avete ancora fede?”. Il potere di vincere la tempesta lo abbiamo dentro di noi. La fede ci rende uomini più forti del male. Ecco, chi non vive per se stesso, ma per Lui, cioè per il suo sogno e la sua proposta di amore che è il Vangelo, vede già oggi le cose nuove. Aldemo non viveva per se stesso ma per Cristo e quindi per il prossimo. Lo ricordiamo come una persona preziosa, generosa, attento ai bisogni di tutti, capace di avere una parola di conforto per ognuno.

Affrontava lui il mare della vita andando incontro alle persone, senza distinzione di età, condizione sociale o fede religiosa. In particolare aveva attenzione verso i poveri, “gli ultimi” (e non solo dal punto di vista materiale o economico), gli ammalati, le persone sole, anche in situazione di disperazione. Si commuoveva per loro, come quando raccontava di qualche persona che lo aveva colpito.

Si faceva prendere dalle situazioni, si coinvolgeva, potremmo dire si lasciava “possedere” dall’amore per gli altri. Stare sulla stessa barca non è una dichiarazione di principio, bella ma vuota: significa concretamente accogliere con disponibilità nei momenti di “emergenza”, quotidianamente, in silenzio, senza “riflettori”, il Vangelo direbbe senza aspettare nessuna ricompensa. Solo per amore, che è l’unica ricompensa di cui abbiamo bisogno ma che perdiamo se cerchiamo considerazione, ruolo, interesse. I più deboli sono i fratelli più piccoli di Gesù, nostri fratelli che, perché piccoli e suoi, amiamo per primi. Dava spesso loro un posto in cui dormire, un pasto caldo, una parola di conforto, ma “raccoglieva” i tanti invisibili ai più che quindi poi si “vedevano”.

Era lui la barca che aiutava a salvarsi nel mare della vita, davvero terribile nell’indifferenza e che sembra sommergere il poco che è la persona. Non si voltava dall’altra parte, anzi, anche a costo di forzare dei passaggi per lui, con qualche ragione, eccessivamente complessi ed astrusi, doveva comunque trovare il modo per aiutare la persona in difficoltà che aveva davanti.

Non aspettava che la gente venisse in chiesa o a suonare il campanello della canonica, lui andava incontro alle persone, a tutti. La Chiesa diventava casa. Lo ricordiamo sempre indaffarato, mai con le mani in mano, pronto a correre dove veniva richiesta la sua collaborazione. 

Proveniva dalla diocesi di Latina, dove ritorna per ricongiungersi alla sua mamma. Lo avremmo voluto qui perché, da uomo di Dio, si era fatto volere bene tanto da essere “uno dei nostri”. I cristiani rendono tutti “nostri” e si fanno “nostri” nell’amore donato. Nell’esercito, come cappellano militare, aiutava i ragazzi di leva a vivere cristianamente e poi qui a Panico, a Luminasio e Medelana. Raccoglieva i bambini che non frequentavano la scuola e lui stesso si presentava presso la dirigenza scolastica di Marzabotto ad iscriverli e a fornire loro gli aiuti necessari.

Visitava i malati, vedeva in loro Gesù crocifisso e, da buon padre di famiglia, li accompagnava all’incontro con il Divino Maestro. Amava la sua chiesa, antica e bella come questa chiesa che ha cercato di conservare bella, sempre a gloria a Dio. Ricordo la consacrazione dell’altare e la sua gioia, quasi infantile, di tanta luce e amore, come quella delle tante feste che organizzava per mantenere viva e fertile la sua comunità. Nella debolezza di fronte alle onde minacciose si sentiva sicuro perché riconosceva la presenza di Gesù. Ecco oggi vede la Chiesa non edificata da mani d’uomo, la casa di quel Padre che ci aspetta e da lontano corre incontro per buttarci le sue braccia al collo. Raggiunge l’altra riva. 

Prega per noi, caro Fratello, che trovi quello che hai sempre cercato e testimoniato: l’amore pieno che non ti lascerà più, che guarisce le ferite, che dona beatitudine alla nostra fragile vita. E lì la festa non finisce. Prega per queste tue comunità, per le nostre comunità della montagna, perché siano sempre accoglienti e testimoni dell’amore di Cristo. Ci consola pensarti come una stella in mezzo all’oscurità che ci aiuta a vedere la luce senza fine di Dio. Riposa in pace. 

17/04/2021
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