Messa per i clochards morti in strada, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio

         E’ un luogo particolare, questo, dedicato com’è a San Martino, soldato in ricerca, ancora non cristiano, che incontrò Gesù nei poveri, fermandosi, amando e proteggendo quello sconosciuto che aveva freddo, condividendo con lui quello che aveva. Un gesto semplice, possibile a tutti. La sua memoria ci aiuta a non avere timore a fare lo stesso oggi per i tanti che vivono per strada, per i quali dobbiamo tutti trovare più risposte, più definitive, cercando i modi per potere dare nel modo di ognuno quella carezza di cui, ciascuno a modo suo, hanno bisogno e diritto tutti quelli che stanno in tutte le innumerevoli “piazze grandi”. E non dimentichiamo mai che si soffre, anche tanto, fisicamente e spiritualmente, a dormire per strada! Don Camillo di Guareschi pregava e dialogava con il crocifisso. In uno dei colloqui Gesù lo apostrofa, dopo che aveva umiliato alcuni poveri trattandoli con sufficienza perché amici di Peppone: “Carità cristiana non significa dare il superfluo al bisognoso, ma dividere il necessario col bisognoso. San Martino divise il suo mantello col poverello che tremava per il freddo: questa è carità cristiana. E anche quando dividi il tuo unico pane con l’affamato, tu non devi gettarglielo come si getta un osso a un cane.  Bisogna dare con umiltà: ringraziare l’affamato di averti concesso di dividere con lui la fame”. Oggi ringraziamo i poveri perché possiamo condividere questo pane di amore che è il pane del cielo e che ci aiuta a non avere paura di condividere quello della terra. Il pranzo successivo sarà una continuazione di questa stessa mensa. Come non farlo gustando un cibo di amore, ammessi a questo mistero di cielo e terra, di Dio e di uomo? Mi sembra che la celebrazione di oggi, e ringrazio la Comunità di Sant’Egidio di averla voluta, è un piccolo anticipo di quella domenica che Papa Francesco ha indicato nella XXXIII del Tempo Ordinario, come Giornata mondiale dei poveri, per aiutare “le comunità e ciascun battezzato a riflettere su come la povertà stia al cuore del Vangelo e sul fatto che, fino a quando Lazzaro giace alla porta della nostra casa (cfr. Lc 16, 19-21), non potrà esserci giustizia né pace sociale”. Celebriamo la domenica dei poveri e con i poveri, nostri fratelli più piccoli, anticipando così il paradiso, quando essi saranno nel seno di Abramo e realizzando quella visione di Gesù che descrive il Regno quando verranno da oriente e da occidente e si siederanno a mensa. Ogni volta che prepariamo un posto per qualcuno di loro realizziamo questa promessa di Gesù.
Ricordiamo dei nomi, cioè delle persone e delle storie, che normalmente sono dimenticati. Non è un elenco telefonico o una compilazione amministrativa! E’ un album di famiglia che solo l’attenzione personale può raccogliere. Ma dobbiamo stare per strada, parlare, ascoltare, fermarsi, non gettargli qualcosa, come dice Gesù a don Camillo, ma gettare la rete dell’amicizia l’unica che strappa dal mare enorme, inquietante, terribile, dell’anonimato. Il Vangelo chiede a tutti (e Gesù non chiede mai cose impossibili! Sono i farisei e gli uomini ipocriti che caricano sugli altri pesi insostenibili che esigono una perfezione che non è umana, giudicano e condannano in base a questa) un amore che non si arrende al male, che supera il limite dell’inimicizia, tanto da non avere nessun nemico. Non possiamo dimenticare nessuno e non possiamo rendere nessuno nemico. Quante parole sconsiderate seminano inimicizia, rendendo l’altro nemico solo per la sua condizione, uno da cui difendersi o da allontanare violentemente! L’inferno inizia qui sulla terra. Poi si inverte e quei paradisi che crediamo diano felicità, sicurezza, futuro rivelano che sono illusioni e diventano improvvisamente inferni e viceversa. Questo mondo del futuro, che tanto si rivela già oggi, lo vediamo, lo contempliamo nella mensa del Signore, dove tutti siamo chiamati a nutrirci dello stesso pane ed impariamo a spezzarlo per chi non lo ha. Nessuno è dimenticato dal Signore. E’ il senso del messaggio di Papa Francesco per la prossima Quaresima, tempo opportuno che ci aiuterà a non scappare da noi stessi, a decidere a liberarci dalle paure per imparare a donare. Il povero ha un nome. L’amore restituisce il nome a quei tanti che l’egoismo rende volti, oggetti, scarti, degli invisibili, avvolti nella nebbia dell’indifferenza. Lazzaro, dice il Papa “non è anonimo, ha tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale. Mentre per il ricco egli è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare, diventa un volto; e, come tale, un dono, una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano. Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono. Il ricco “al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome, è qualificato solo come “ricco” perché il cuore è finito nel denaro”. Un nome è una storia. Oggi ne ricorderemo alcuni che sono morti per strada. Qui hanno casa. Vogliamo la abbiamo sempre. Da vivi e anche quando non ci sono più. Non dimentichiamo. L’amore non dimentica. Attenzione, perché se ce n’è poco, tutti diventiamo invisibili ad un certo punto e ci spaventeremo che gli altri non si accorgono più di noi, non capiscono o sono disinteressati di quello che abbiamo dentro, come purtroppo avviene per tanti, anziani ma anche giovani. Ricordiamo Tancredi. Viveva nella Stazione Centrale. Venne conosciuto durante la distribuzione, gesto semplice, di piccola, possibile, concreta solidarietà che, distribuisce soprattutto il pane dell’amicizia perché diventa occasione per parlare, conoscersi, fidarsi. Il suo vero nome era Paolo ma la mamma, appassionata della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, lo chiamava Tancredi. Era originario di Argenta, provincia di Ferrara, ma ha sempre vissuto a Bologna. Perse il lavoro nel 2000. Licenziato. Pur avendo un piccolo reddito viveva in condizioni molto precarie. Abitava in un piccolo appartamento ma la sua casa era diventata la stazione di Bologna. Cercava amicizia e gioia. É morto a causa di una malattia nel dicembre del 2013, all’età di 69 anni, da solo nella sua casa e fu ritrovato privo di vita dopo diversi giorni.  Dio non dimentica nessuno dei suoi piccoli, che non dobbiamo disprezzare perché hanno angeli che vedono sempre la faccia del Padre che è nei cieli. Diventiamo noi angeli sulla terra. Non ci sono nemici nel mondo del Signore. Non perché non veda le difficoltà o si illuda, ma perché non diventa prigioniero del contagio del male che divide, non fa vedere, non fa riconoscere più il fratello nell’altro. Solo l’amore cambia il nemico in fratello. Distingue l’errore dall’errante e il suo nemico è sempre il male, non l’uomo. E’ il nemico che dobbiamo combattere, non le persone! Lo possiamo fare solo combattendo il male dentro di noi e ricordandoci della nostra fragilità. Quando contiamo i nostri giorni, quando vediamo i frutti del male nella vita del mondo, non ci va di perdere tempo nelle divisioni, nelle contrapposizioni, ma iniziamo ad amare sempre, anche quando crediamo che non ci conviene. Solo l’amore può vincere il male e dare pienezza a questo mondo. Salutiamo tutti, prestiamo interesse, tempo, aiuto. Disarmiamo i cuori con la forza travolgente, intelligente, umanissima e divina dell’amore. Iniziamo da chi ne ha più bisogno. E la ricompensa è solo l’amore. Quello che celebriamo oggi, mangiando insieme il pane del cielo e quello della terra. Da fratelli, che non dimenticano nessun fratello, amati tutti da Dio che è amore e che amandoci ci fa trovare a tutti noi il senso della nostra povera vita di viandanti.

19/02/2017
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