Papa Giacomo Della Chiesa nel mondo dell’inutile strage

La memoria, che é sempre storica, permette di ricordare da dove veniamo e ci aiuta nel discernimento e nelle decisioni difficili del presente. Un convegno come quello di oggi permette di essere ancora più consapevoli delle nostre radici e della ricchezza della storia della Chiesa di Bologna per non guardare le tante guerre mondiali a pezzi non da spettatori. Ricordiamo le coraggiose e ferme scelte di Papa Benedetto XV, indubbiamente profetiche pensando all’opinione pubblica e alla mentalità ecclesiastica con le quali si doveva confrontare. Non basta essere super partes se non si dice nulla per non causare dispiaceri o possibili equivoci. Occorre essere fermi e liberi attori che inequivocabilmente, anche a costo di reazioni, prendono con intelligenza e furbizia, la parte della pace, del dialogo, della conoscenza dei problemiLo si può fare se si é interessati solo al bene dell’uomo e dell’unica  casa comune che la guerra mette in pericolo e distrugge. E’ il coraggio di spendere la propria autorità schierandosi dalla parte della pace, delle attese della gente e non di conservare un’autorità che se resta lontana e se non si schiera finisce per apparire irenismo. Un’etica che non si mischia diventa inutile. Mi sembra questa l’unità profonda che arriva da Benedetto XV a Papa Benedetto XVI (che non a caso scelse proprio questo nome pensando al coraggio del suo predecessore) ed alla prassi di questi anni di attiva diplomazia di Papa Francesco. La chiesa vuole vivere un ruolo nelle grande e terribili crisi che attraversano sempre la convivenza degli uomini e la mettono in pericolo e lo realizza con un’attività che non si fa ingabbiare nelle leggi della diplomazia, pur conscendole perfettamente ed essendone una delle interpreti più alte ! Per farlo occorre volere come Salomone la sapienza e non altro o cercare tutto, per  potere vedere il mondo con gli occhi delle vittime (direbbe Papa Francesco piangere, come si sottende a tutte le parole di Papa Benedetto XV). Sono gli unici occhi capaci di vedere il presente e scorgere e preparare il futuro, altrimenti impossibile, sfuggendo alla prudenza che paralizza e rende inetti, con tanti mezzi e pochi e rachitici fini. La Chiesa cerca una visione di pace, nutrita dalla inquietudine per raggiungerla e dal coraggio di concrete iniziative di dialogo nella ferma convinzione che solo il dialogo e i ponti potranno costruire difese possibili alla unica casa comune. Quante inutili stragi, inutili anche a chi con cinismo le pensa necessarie ! Occorre la visione di pace e il coraggio di piegarsi a strumenti concreti, proprio come fece Papa Benedetto XV con grande intuizione all’inizio di quelle tragedie di guerre mondiali così unite una all’altra. Altrimenti prevale sempre la logica di Caino : a me che importa!
La prima guerra mondiale aveva nell’Europa il suo centro ed era mondiale ma con una geografia e dei fronti definiti, chiari. La terza guerra mondiale coinvolge anche l’Europa, che non é più al centro ed ha fronti più complessi, con alleanze e attori difficili da identificare, con interessi che sfuggono al controllo e che hanno un potere enorme. Curiosamente la tentazione é proprio quella di ritenersi super partes illudendosi che si possa essere spettatori, mentre la felice definizione di Papa Fancesco aiuta a comprendere che ogni pezzo in realtà ci riguarda proprio perché mondiale! Ed anche che non si può accettare di perdere tempo, di non fare tutto il possibile, di passare per disfattisti o illusi. L’intelligenza di Benedetto XV anticipava i tempi e si collegava anche alla migliore volontà umanista e spirituale delle menti più attente di fronte ai nazionalismi ed alla deformata idea di modernità che li animava, come quella che portò alla creazione dell’esperanto o alla proposta dell’abolizione della guerra.
Egli dovette confrontarsi in maniera nuova a questi problemi fin dall’inizio del suo pontificato. “L’immane spettacolo di questa guerra, Ci ha riempito l’animo di orrore e di amarezza, constatando che tanta parte dell’Europa, devastata dal ferro e dal fuoco, rosseggia del sangue dei cristiani”, aveva scritto fin dalla sua prima Esortazione apostolica (Ubi primum, 8 settembre 1914). All’imperatore austriaco che gli chiese di benedire l’esercito rispose “Io benedico la Pace”. (Cfr. G. Semeria, I miei quattro papi, Milano s.d., pp. 240 e ss). Per la prima volta egli non fece mai alcun riferimento alle categorie di guerra giusta o lecita, di armi e atti consentiti o di azioni legittime. Egli condannò il conflitto in modo chiaro e definitivo. Il papa cercava una via alternativa alla forza violenta, alla vittoria che schiacciava l’avversario. Egli guardava piuttosto a soluzioni capaci di trovare una mediazione tra le posizioni dei belligeranti e, facendo ciò, poneva in grande rilievo il ruolo di guida morale della Chiesa. Bisogna notare che le parole del Papa sulla guerra, definita “orribile carneficina, sanguinoso conflitto” e ancora “follia universale” e “inutile strage”, suscitarono profonde preoccupazioni anche tra i comandi per la loro portata reale, che peraltro coinvolgeva e poteva portare ad un ripensamento nel mondo cattolico e quindi in una parte piuttosto ampia degli uomini al fronte. I processi sommari e le decimazioni furono un aspetto non secondario della guerra, in cui molti videro anche risvolti politici e che riguardò tutti gli eserciti impegnati al fronte; inoltre l’idea di base, cioè la fermezza e la disciplina come forza morale e sostegno principale degli eserciti, venne proposta anche per il resto della nazione in nome dell’eccezionalità della situazione e del bene comune da difendere. Papa Benedetto appariva un debole, traditore, sospettato quindi di compiacenza verso il nemico. La libertà evangelica deve mettere in conto anche questo.
Le sue parole di condanna posero fine all’alleanza antica con i re e proposero l’alleanza tra chiesa e i popoli, individuandone anche delle condizioni chiare. Disarmo, arbitraggio, sicurezza collettiva, “per non contenerci più sulle generali” perché fossero “capisaldi di una pace giusta e duratura”, scriveva.
A noi oggi, aiutati da testimonianze così intelligenti e coraggiose, non resta che il compito di affrancarci da realismi che ottundono e indeboliscono per aiutare la coraggiosa scelta di Papa Francesco: se vuoi la pace costruisce la pace, sii artigiano di pace. “Non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace”. Il grido della pace si levi alto perché giunga al cuore di tutti e tutti depongano le armi e si lascino guidare dall’anelito di pace.

03/11/2016
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