presentazione della “storia della chiesa di bologna”

Bologna

La pubblicazione di questa “Storia della Chiesa di Bologna” – sostanziosa per gli studi che raccoglie, splendida nella sua vesta editoriale – è un “avvenimento” già sotto il profilo specificamente culturale: un avvenimento che ci rallegra tutti – petroniani e non petroniani, credenti e non credenti – quanti ancora sappiamo godere per le belle imprese dello spirito, dell’intelligenza, del gusto.
Come pastore di questa diocesi avverto anche altre e più profonde ragioni di compiacimento, che tenterò di spiegare come mi riesce.

Apprestandosi a entrare nel Terzo Millennio, la nostra comunità cristiana si rende conto di dover affrontare prevedibilmente situazioni inedite e problematiche: di convivenza con uomini di estrazione etnica molto diversa e di eterogenea civiltà; di confronto con mentalità assai lontane dalla nostra; di dialogo con tutti.
Credo di poter dire che la convivenza, il confronto, il dialogo saranno tanto più concludenti e fruttuosi quanto più noi ci presenteremo a quegli appuntamenti come interlocutori veri, con la nostra faccia, la nostra anima, le nostre convinzioni.

Molti sono arrivati e molti continuano ad arrivare da ogni angolo della terra: di fronte a un fenomeno di questa rilevanza, qualcuno – mosso da una visione forse soggettivamente generosa ma certo oggettivamente non illuminata – potrebbe ritenere che la nostra Chiesa debba attenuare o almeno nascondere le sue caratteristiche, fino a stemperarsi nell’anonimato indistinto di un’umanità senza certezze e senza valori.
Il contrario è vero: per contribuire positivamente al sorgere di un mondo nuovo e di un’epoca nuova, è importante che Bologna offra ai sopravvenuti il suo volto chiaro e riconoscibile e lo offra come imprescindibile punto di riferimento nel guazzabuglio che è fatale nei tempi di transizione.

In particolare, per coloro che vengono qui già illuminati dalla fede in Cristo dobbiamo saper favorire con amabilità e pazienza l’inserimento pieno nella nostra realtà ecclesiale; così essi non si sentiranno più stranieri e anzi potranno – quale che sia la loro nazionalità di origine e il colore della loro pelle – arricchire la nostra vita religiosa con gli apporti delle loro sensibilità e delle loro più valide tradizioni.

Quanto a coloro che invece arrivano a noi ancora privi del dono della vera fede, non va dimenticato che il compito primo e irrinunciabile – diremmo: il compito statutario – di una Chiesa degna ancora di questo nome è quello di annunciare a tutti il Signore Gesù, unico e necessario Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre. Noi siamo dunque chiamati a evangelizzare senza violenze, senza ricatti, senza furbizie; ma anche senza titubanze e senza ambiguità: “Guai a me, se non annunzio il Vangelo!” (1Cor 9,16). Abbiamo questo dovere anche verso le genti geograficamente lontane; a maggior ragione l’abbiamo verso coloro che si sono fatti e si faranno vicini.

Ma per essere davvero in grado sia di accogliere sia di evangelizzare efficacemente, ciò che è elementarmente richiesto alla nostra Chiesa è di avere un senso acuto e robusto della propria identità. Ebbene nessuna Chiesa può avere un senso acuto e robusto della propria identità, se ignora le vicende che l’hanno segnata; se dimentica gli uomini che l’hanno plasmata con i loro esempi e con i loro insegnamenti; se trascura la multiforme eredità del messaggio di Cristo quale è stato culturalmente e socialmente reso operante e vivo, lungo i secoli, in mezzo a questo popolo.

Proprio la comunione intensificata e sempre più cosciente con le sue radici consentirà a quest’albero ultramillenario di resistere giovanilmente alle intemperie che l’attendono e di sperimentare ancora le benedette stagioni dei fiori e dei frutti.
In questa prospettiva, appare davvero un dono provvidenziale il poter oggi disporre di uno strumento così valido per indagare e riflettere sul nostro passato, qual è l’opera che è posta oggi tra le nostre mani. Perciò è grande la mia riconoscenza – la riconoscenza della nostra Chiesa e, credo di tutta Bologna – per quanti si sono variamente adoperati perchè il prestigioso traguardo fosse raggiunto: i direttori che hanno guidato e coordinato le numerose collaborazioni, gli illustri studiosi che hanno accolto l’invito a entrare in questa avventura, la tenace segreteria attuativa che non ha dato requie a nessuno, l’Amministrazione Provinciale e quanti altri sono intervenuti con il loro indispensabile sostegno economico.

A proposito di “storia della Chiesa”, la mia antica (e ormai quasi defunta) professione di teologo mi induce nella tentazione di richiamare qualche principio generale, che già mi è capitato di enunciare una decina d’anni fa in altra sede.
Quando ha come oggetto la Chiesa, benchè esteriormente non si percepisca differenza alcuna rispetto ad altri campi, la ricerca storica assume un’indole e uno statuto che la rende un caso unico e imparagonabile: un’indole e uno statuto che sono appunto “teologici”.

Che cosa è, nella sua verità profonda, la Chiesa di cui si analizzano le vicende inseguendone la migliore comprensione? La Chiesa – nella sua presentazione meno inadeguata – è la realtà arcana ma incontestabile del “Christus totus”. Ed è il capolavoro dello Spirito Santo, il quale naturalmente si serve di tutti gli apporti umani; se ne serve lasciandoli nella loro “umanità” ma coinvolgendoli nella sua attività primaria e causale, e piegandoli infallibilmente a entrare nell’eterno progetto del Padre.

Questo comporta nello “storico della Chiesa” che sia propriamente tale – dal momento che il suo oggetto è un “mistero”: il mistero del “Christus totus”, sia pure in quanto si inserisce, vive e si manifesta entro il tessuto degli accadimenti terreni – la necessaria presenza di un principio conoscitivo adeguato. Essendo frutto dello Spirito (“pneuma”), può essere conosciuto solo da chi ha la luce dello Spirito; perchÈ “l’uomo lasciato alle sole sue forze (‘psychicòs’) non comprende le cose dello Spirito” (cf 1Cor 2,14). “L’uomo mosso dallo Spirito (‘pneumaticòs’) giudica ogni cosa” (cf 1 Cor 2,1).

Certo la fede non supplisce in alcun modo il corredo scientifico indispensabile per questa come per tutte le discipline storiche. La fede non dà a chi ne è sprovvisto la capacità di leggere correttamente un manoscritto o di inquadrare con esattezza un evento: la fede, insomma, non basta a costituire lo “storico della Chiesa”. Ma senza gli occhi della fede non si può percepire la Chiesa nella sua verità nÈ il motivo ultimo dei suoi atteggiamenti nÈ il senso autentico delle sue evoluzioni.
Nè si può pensare che gli studi di uno storico della Chiesa non credente siano inutili e necessariamente forvianti. Al contrario: possono risultare molto preziosi, anche se inadeguati a una conoscenza piena. Senza dire che è molto arduo individuare in questa vita chi davvero crede e chi davvero non crede.

La storia della Chiesa può essere paragonata al lavoro di un grande scultore che ha voluto utilizzare un materiale povero e difettoso: supponiamo che riesca a estrarre una statua mirabile da un tronco d’albero deturpato da nodi, bitorzoli, irregolarità varie delle sue fibre. Chi indugiasse solo sulle povertà e i difetti degli uomini, senza cogliere il progetto divino e la mano creatrice, sarebbe come un critico d’arte che davanti a quella statua si preoccupasse solo di censire i nodi, i bitorzoli, le irregolarità della materia prima.
Mi sia consentito un ultimo pensiero. La garanzia della validità sostanziale di questi due volumi sta nel fatto che essi nascono da un appassionato amore per la Chiesa di Bologna: amore che ciascuno degli autori sente e manifesta a suo modo, ma che è stato il comune elemento ispiratore di queste pagine.

La Chiesa è il prodigio dell’amore del Padre, e in se stessa è l’umanità in quanto non oppone resistenza ma si lascia raggiungere da questo amore e vi corrisponde. Perciò da un’intelligenza senza amore non può essere esaurientemente conosciuta, nemmeno nella sua storia.
Poichè le realtà soprannaturali possono essere veramente percepite e comprese soltanto in virtù di una connaturalità, che è data dall’alto, senza amore per la Chiesa non si è in sintonìa con colui che l’ha vagheggiata e voluta dai secoli eterni; e senza questa sintonìa, almeno desiderata e implorata, non ci può essere autentica comprensione nè della natura nè delle vicissitudini della Sposa di Cristo.

12/09/1997
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