riflessione nel corso della processione delle palme

Bologna, Basilica di San Petronio

Tre domande abbiamo ascoltato nelle varie pagine di vangelo che hanno illuminato e arricchito il nostro raduno di questa sera.
“Perchè fate questo?” (Mc 11,3), dicono gli abitanti di Betania ai discepoli che si accingono a organizzare per la prima volta una manifestazione di trionfo – pacifico e mansueto – al Figlio di Davide che entra nella sua città.
“Maestro dove abiti? (Gv 1,37), chiedono a Gesù Andrea e Giovanni sulle rive del Giordano.
“Perchè tutto questo spreco?” (Mc 14,4), si indigna uno dei commensali, vedendo il gesto eccessivo di Maria sorella di Lazzaro (eccessivo come è sempre l’amore). Dal quarto Vangelo veniamo a sapere che quel commensale si chiamava Giuda.
Sono, come si vede, interrogativi formulati in contesti molto differenti e ispirati a sentimenti tra loro imparagonabili; ma tutti possono suggerirci qualche preziosa riflessione.
“Perchè fate questo?”. Bologna vi ha visti sfilare coi vostri rami di ulivo e si è stupita per questo spettacolo. “Perchè fanno questo ?”, si saranno certamente domandati tra sè gli occasionali passanti e quanti dai tavolini dei bar sgranavano gli occhi sul vostro corteo.

Migliaia di giovani che insieme camminano per le strade cantando la loro fede e pregando, invece della scena più frequente di qualche decina di esagitati, che scandiscono frasi minacciose e ritornelli infantili: voi avete offerto stasera una novità sorprendente, che dovrebbe far pensare.

Voi oggi siete stati i protagonisti di un avvenimento davvero eccezionale, che domani avrà senza dubbio un’ampia risonanza nei giornali dei Cherubini e nelle televisioni del Regno dei Cieli. I giornali e le televisioni delle terra sono troppo impegnati a dar notizia dei maestri e dei propagandisti del niente – insinuanti o vocianti che siano – per accorgersi di voi”.
Voi siete per molti quasi un enigma inatteso: “Perchè fate questo?”. Voi lo sapete perchè, e ne godete, e non vi importa niente degli abitanti di Betania che si meravigliano di ciò che fate o addirittura lo ignorano.

La vostra è una festa, perchè avete scoperto – in mezzo a un’umanità disorientata e scettica – di avere un destino di gioia, di avere un Re che non vi strumentalizza, anzi si dona totalmente a voi, di avere un Salvatore che vi rialza dopo ogni caduta e conta su di voi per l’edificazione del suo Regno.
“Maestro dove abiti?”. Questa parola di Andrea e di Giovanni è anche la vostra, perchÈ vi rendete conto che ogni esultanza ecclesiale, se vuol essere autentica e duratura, deve scaturire da una comunione sincera e fattiva col Signore Gesù. È bello e importante fargli festa con i rami di ulivo; ma è ancora più bello e importante avere con lui una intimità che non si esaurisce in un giorno o in una manifestazione.

Il vostro camminare di stasera è senza dubbio motivato anche dall’allegrezza di un popolo che muove incontro a un Signore buono e a un Capo che non delude; ma più ancora è segno e figura di una ricerca instancabile: la ricerca risoluta di colui che solo è “la via, la verità e la vita” (Cf Gv 14,6). “Maestro dove abiti ?”.
Noi per fortuna abbiamo già scoperto chi sia l’unico Salvatore del mondo e già ci siamo lasciati incantare dal suo fascino che non ha eguali. Diversamente oggi non saremmo qui.
Ma questa scelta irrevocabile di aderire a lui – scelta continuamente insidiata dalle nostre ricorrenti stanchezze e dalle nostre volubilità – va ogni giorno ravvivata e riconfermata dentro di noi.

“Maestro dove abiti?”. Giovanni Paolo II, nel suo messaggio alla gioventù, ci indica la ricchezza di una risposta totalizzante. Gesù sta dove gli uomini soffrono e sperano, e attendono di essere aiutati e incoraggiati da noi. Gesù abita accanto a noi nei fratelli, di cui condividiamo l’esistenza quotidiana. Gesù abita tra quanti implicitamente lo invocano senza averlo conosciuto, e aspettano da noi che con la nostra testimonianza glielo facciamo conoscere.
Gesù è la “parola del Padre”, che ci si rivela particolarmente attraverso la lettura attenta del libro di Dio. E vive in mezzo a noi nell’Eucaristia. Specialmente quest’anno siamo tutti invitati a riscoprire vitalmente la realtà della sua persona e del suo sacrificio nella celebrazione della Messa – e non solo nella Messa festiva – e nella presenza misteriosa che colma e anima di sÈ ogni chiesa cattolica.
“Perchè questo spreco?”. Questa terza domanda ci porta a Betania, la sera del Sabato prima dell’ingresso in Gerusalemme. Era stato preparato un convito in onore di Gesù; ma era un convito senza allegria. C’era nell’aria – impalpabile e inafferrabile – l’odore dell’odio e del tradimento.

Maria, la sorella di Lazzaro, per dissipare questa atmosfera decide di compiere un insolito e clamoroso gesto di affetto.
Prese “un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato… di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’olio profumato sul capo” del Signore (Cf Mc 14,3).
“Tutta la casa si riempì del profumo” (Gv 12,3): e così tutti – anche chi non era nella sala, anche chi si trovava in cucina – si accorgono della pazzia di Maria. L’amore vero non bada alle opinioni malevoli di nessuno, ma non può farsi conoscere da tutti.
Tutta la casa di Dio, tutta la Chiesa è avvolta dal profumo di Maria sino alla fine del mondo. Tutta la Chiesa ha imparato dalla sorella di Lazzaro che senza un amore diretto, personale, vivo per il Signore Gesù e per la sua gloria, niente ha valore, niente conta, niente è autentico nel cristianesimo: nemmeno l’attenzione ai problemi umani, nemmeno l’attivismo benefico, nemmeno la partecipazione ai travagli del nostro tempo.

Ma c’è sempre qualcuno che non capisce. C’era allora e c’è oggi; c’era a Betania e c’è nella cristianità del nostro tempo. Non capisce che si possa dare qualcosa dei propri beni per rendere onore al Signore; non capisce che si possa dedicare un pò del proprio tempo a contemplare il Signore nella preghiera; non capisce che si possa consacrare tutta la vita unicamente a Cristo. Non capisce insomma le esigenze, la logica, il linguaggio dell’amore.
“Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darlo ai poveri” (Mc 14,5). È il ragionamento del “piuttosto”, e lo ascoltiamo spesso anche ai nostri giorni.
“Piuttosto che andare in Chiesa, è meglio fare del bene agli altri”. “Piuttosto che costruire un altare è meglio costruire delle case”. “Piuttosto che sciupare il tempo nelle preghiere, è meglio lavorare a qualcosa di pratico”.

Perchè “piuttosto”? Perchè non si può fare tutto? E perchè non si dice mai: “Piuttosto che spendere i soldi ad andare a sciare o al mare, o piuttosto che comprare il motorino è meglio soccorrere i bisognosi? Perchè non si capisce che proprio un immediato e appassionato amore per il Signore Gesù è sempre stato l’impulso più efficace a ogni opera di solidarietà verso i fratelli, come ci insegnano tutti i grandi santi della carità?
Non mettiamoci alla scuola di Giuda; mettiamoci alla scuola di Maria di Betania che, con gli occhi resi acuti dall’innocenza del suo cuore e dall’intensità del suo affetto, penetra nei giorni futuri e vede Gesù umiliato, schiacciato, crocifisso, come lo contempleremo noi nei prossimi giorni. È lui il “povero” da soccorrere con un po’ d’amore.

“Erano infuriati contro di lei” (Mc14,5), ci ha detto il Vangelo. Ma Gesù, difendendola, ci imparte una lezione da non dimenticare: “Lasciatela stare; perchè le date fastidio? … In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il Vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto” (Cf Mc 14,6.9)

22/03/1997
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