S. Messa Crismale

1. «Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione». Celebrando oggi il dies natalis del nostro sacerdozio, la Parola di Dio ci conduce a considerare la sua origine. Il nostro sacerdozio è opera in ciascuno di noi dello Spirito Santo. Egli ci rende partecipi – come ci insegna la preghiera della Chiesa – della consacrazione stessa con cui ha unto il Figlio unigenito [cfr. Colletta].

Chiamati come siamo a rendere presente nel mondo l’opera redentiva di Cristo; chiamati come siamo ad estendere di generazione in generazione la misericordia di Dio, siamo fortificati dal dono dello Spirito.

Nel dies natalis del nostro sacerdozio apriamo gli occhi del cuore a contemplare l’opera di Dio in noi. Siano nel nostro cuore sentimenti di gratitudine piena di stupore e di lode al Signore «che ci ha resi ministri  adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita» [2Cor 3,6].

«Canterò per sempre l’amore del Signore», abbiamo risposto col Salmo alla Parola di Dio. Eleviamo il nostro sguardo al dono che ci è stato fatto; confessiamo anche le nostre miserie, ma solamente dentro al riconoscimento della fedeltà di Dio: «la mia fedeltà e la mia grazia saranno con lui e nel mio nome si innalzerà la sua potenza». Sì, la nostra potenza si innalza nel nome di Cristo, dal momento che da noi stessi non «siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio» [2Cor 3,5].

Forse non siamo sempre vigilanti contro il rischio di posare i nostri occhi prevalentemente su noi stessi, sui nostri problemi, sulle nostre difficoltà, contristando così lo Spirito, che orienta la nostra persona ad entrare nella dinamica del dono di Cristo all’uomo.

2. Il fatto che il nostro sacerdozio sia generato in noi dalla unzione dello Spirito Santo, ci fa scoprire il senso ultimo della nostra esistenza umana e sacerdotale.

Consustanziale al Padre e al Figlio, lo Spirito Santo è «nell’assoluto mistero di Dio uno e trino, la Persona-amore, il dono increato, che è fonte eterna di ogni elargizione proveniente da Dio nell’ordine della creazione, il principio diretto e, in un certo senso, il soggetto dell’autocomunicazione di Dio nell’ordine della grazia» [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Dominum et vivificantem 50].

Miei cari fratelli, che profondità acquista il nostro ministero sacerdotale in questa luce! Siamo inabitati dalla Persona-amore, dalla Persona-dono. Tutta la nostra esistenza è l’esistenza di una persona che si realizza nel dono di sé. Prima di affidare a Pietro il ministero apostolico, Gesù ha chiesto solo se  lo amava.

Non possiamo tuttavia dimenticare che tutto questo esige una vera e propria espropriazione di se stessi. La Parola divina parlando di Cristo usa una  parola che lascia muti e sconvolti: exinanivit – ?x?ν?σεν. Ha privato se stesso della sua gloria divina. Non c’è un altro modo per un sacerdote di realizzare se stesso: espropriarsi per essere dono fatto ad ogni uomo che incontra nel suo sacerdozio.

Questa vita non è opera principalmente della nostra volontà. è opera in noi di Cristo che mediante l’Eucarestia ci conforma a Sé. La divina persona dello Spirito Santo, la Persona-dono, ha orientato Cristo a donare se stesso sulla Croce. Desidera riprodurre in ciascuno di noi l’autodonazione di Cristo.

I segni espressivi di questa trasformazione del proprio io sacerdotale sono due. Corrispondono alle due fondamentali promesse che al momento dell’ordinazione abbiamo fatto davanti al nostro Vescovo e al popolo santo di Dio, e che fra poco  rinnoveremo: la promessa dell’obbedienza e la promessa della verginità perpetua.

L’una e l’altra sono come il concavo ed il convesso della stessa figura esistenziale: l’esercizio della propria libertà trova la sua origine ultima nella sponsalità della Chiesa “che sta sottomessa a Cristo” [cfr. Ef 5,24a]; ciò è possibile perché il cuore è legato esclusivamente e definitivamente a Cristo. Il carisma  della verginità e l’obbedienza della  volontà si sostengono a vicenda.

Miei cari fratelli, non c’è altra  vera autorealizzazione che quella che viviamo in Cristo, sulla Croce, con Lui: nel dono totale di noi stessi. Il S. Padre ci ha detto nell’Es. Ap. Sacramentum caritatis: «Ã¨ necessario … che i sacerdoti abbiano coscienza che tutto il loro ministero non deve mai mettere in primo piano loro stessi o le loro opinioni, ma Gesù Cristo» [23,2].

La via che ci porta alla gioia anche nelle tribolazioni è la via della carità pastorale. Lo Spirito Santo nel quale siamo stati unti la diffonda nei nostri cuori.

05/04/2007
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