S. Messa di suffragio nel 15° anniversario dell’uccisione dei Carabinieri Mauro Mitilini, Andrea Moneta, Otello Stefanini

Bologna, Parrocchia di Santa Caterina da Bologna al Pilastro

(Is 25, 6-9; Sal 22; Gv 14,1-6)

Oggi Bologna celebra la memoria di un vile agguato, avvenuto 15 anni fa, proprio qui al “Pilastro”. Le giovani vite di tre Carabinieri sono state recise da un assurdo disegno di violenza e di morte.

Bologna, che nei secoli ha consolidato la sua vocazione alla libertà, nel diritto, nella giustizia e nell’accogliente ospitalità, ancora una volta subiva la violenza delle forze oscure del male, sempre presenti nel tessuto sociale e che troppo spesso riemergono in varie forme quando vengono ignorate e non contrastate nelle loro radici più profonde.

L’omaggio della città a Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini comincia, oggi, con questa Messa di suffragio, che esprime le risorse della fede in Cristo, vero Dio e vero uomo, morto (anche Lui ucciso) e risorto per la nostra salvezza.

Siamo qui riuniti, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, per chiedere al Signore l’«eterno riposo» per questi giovani benefattori della nostra Patria e perché «splenda ad essi la luce perpetua», quella luce che nel tempo del Natale si è resa visibile per consolidare qui in terra le radici della speranza.

Questo rito eucaristico, antico e sempre nuovo, contiene le risposte ultime ai tanti interrogativi suscitati da questa immane tragedia e che rischiano di rimanere senza risposta, quando l’uomo si chiude nei labirinti dei suoi teoremi autoreferenziali, senza aprirsi al mistero della vita e della morte, che Gesù stesso ci ha rivelato: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11, 25).

Il profeta Isaia ci ha condotti alla soglia di questo mistero e ci ha detto che sul monte di Dio (la Chiesa) viene allestito un banchetto per tutti i popoli e che attraverso di esso verrà strappato il “velo” che copre il nostro volto di fronte agli enigmi della vita e della storia (Cf. Is 25, 7).

In questo contesto il Profeta annuncia la distruzione della «città del caos» (Is 24, 10), costruita sull’orgoglio, sull’ingiustizia, sulla violenza, per lasciare spazio alla «Gerusalemme celeste, la città del Dio vivente» (Cf. Eb 12, 22), la città della pace, dove il «diritto e la giustizia» (Is 9, 6) vengono stabiliti per sempre.

La furia omicida di ogni Caino di questo mondo può sopprimere il corpo ma non l’anima, che ne è la «forma» vitale. Essa «non perisce al momento della separazione dal corpo e di nuovo si unirà ad esso, al momento della risurrezione finale» (Cf. CCC, 365-366).

Per questo, con la morte «la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparate un’abitazione eterna nel cielo» (Prefazio dei defunti), dove il Signore «eliminerà la morte per sempre… e asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25, 8).

L’Eucaristia che stiamo celebrando è la garanzia di questa promessa: è il dono che il Signore Gesù ha fatto di sé per la nostra liberazione dal male e dalla morte. Egli mette a nostra disposizione il suo “Corpo dato” e il suo “Sangue sparso”, come segno sacramentale del suo amore misericordioso e come “caparra” della nostra futura risurrezione.

Con la Messa, in forza del Battesimo, siamo immersi nella Pasqua, cioè nel “passaggio” di Cristo dalla morte alla vita che, per noi, diventa un tirocinio verso una misura più alta del vivere quotidiano. Partecipando a questo mistero attingiamo la forza per sconfiggere i nostri egoismi e recuperiamo la disponibilità al cambiamento di mentalità. Scopriamo, inoltre, che le nostre sofferenze non sono vane, perché vengono a completare “quello che manca ai patimenti di Cristo” (Cf. Col 1, 24), in vista di un rinnovamento integrale delle nostre condizioni di vita: “Se uno è in Cristo è una creatura nuova” (2 Cor 5, 17).

Con questa liturgia eucaristica, istituita da Cristo nell’ultima Cena, noi riportiamo tra gli uomini quel Dio che a molti sembra latitante, mentre in realtà Egli ha scelto di restare con noi in ogni momento, anche nelle ore più tragiche, per sanare le nostre ferite e guarire anche i cuori più induriti dalla furia omicida, sottraendoli al “potere delle tenebre” (Cf. Col 1, 13).

In tale prospettiva, la memoria del sacrificio di questi Carabinieri, celebrata nel nome di Cristo, ci spinge a raccogliere i segni di ravvedimento che la grazia del Signore non manca di suscitare tra coloro che hanno reciso queste giovani vite.  L’anelito al perdono è un sentimento che merita rispetto, quando nasce da un sincero pentimento e accetta l’espiazione della pena come riparazione del male compiuto.

Ma, nel mistero cristiano, trova spazio anche lo spessore di un «amore più grande», che oltrepassa i confini della giustizia umana, per fare appello a quella divina, dove il dolore innocente, simile a quello di Cristo Crocifisso, si apre sull’orizzonte della gloria di Dio e della gioia senza fine, nella Casa del Padre.

È quanto abbiamo contemplato nella festa di S. Stefano, il primo martire della Chiesa. Gli atti del suo assassinio lo descrivono come un uomo «pieno di Spirito Santo», lapidato dai suoi interlocutori perché incapaci di resistere alla sapienza e alla forza delle sue parole. Mentre piegava le ginocchia, colpito dalle pietre dell’odio, emise un forte grido: «Signore, non imputare loro questo peccato» (Cf. At 7, 55-60). Proprio come Cristo in Croce che, riferendosi ai suoi crocifissori, disse: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34).

S. Stefano trovò la forza del perdono perché, «fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra» (At 7, 55). Ma egli vide, perché credette alle parole di Gesù: «Io vado a prepararvi un posto… e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io» (Cf. Gv 14, 1-6).

Il perdono cristiano, comunque, non si espone al rischio della banalizzazione e non nasce dalla cultura diffusa del “buonismo” o del “perdonismo”. La misericordia di Dio non entra mai in conflitto con le esigenze della giustizia e, soprattutto, non copre l’atteggiamento ambiguo di chi oggi, come ai tempi di S. Stefano, custodisce i mantelli di chi lancia le pietre contro le vittime innocenti (Cf. At 7, 58).

Troppi, in questo tempo di travaglio, fanno da supporto diretto o indiretto a culture nichiliste e fondamentaliste, che relegano le coscienze nelle nicchie di un gretto individualismo o sostituiscono la forza della retta ragione con l’arroganza dell’ideologia e del fanatismo. In tal modo si produce frammentazione, conflittualità e si alimentano fenomeni di rigetto, che generano violenza e ostacolano un’ordinata convivenza civile.

Proprio questo contesto suscita in noi sentimenti di gratitudine verso i Carabinieri e tutte le forze dell’ordine, per il loro servizio, spesso ingrato e contrastato, e talvolta consumato fino all’estremo sacrificio. Siamo riconoscenti alle famiglie di Andrea, Mauro e Otello, per aver vissuto il loro dolore con dignità, pazienza e tanta fede nella Provvidenza Divina. Il loro essere qui, ogni anno, per ricordare nella preghiera il sacrificio dei loro cari, esprime la volontà di mantenere alta la qualità della loro memoria.

La parrocchia di S. Caterina da Bologna, a nome di tutti, veglia sul luogo bagnato dal sangue di questi servitori dello Stato e raccoglie ogni giorno sull’altare di questa chiesa il dolore delle persone offese e il rimorso implorante di chi riconosce il proprio errore, perché il Sacrificio di Cristo li possa trasformare in sorgente di speranza per le nuove generazioni, chiamate a rendere testimonianza alla verità e all’amore di fronte alle grandi sfide del XXI secolo.

 

 

 

04/01/2006
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