S. Messa nel 64° anniversario dell’uccisione del Servo di Dio Giuseppe Fanin

Zenerigolo, Chiesa Parrocchiale

Ringrazio il Vicario pastorale Mons. Amilcare Zuffi, e i Sacerdoti  del Vicariato di Persiceto-Castelfranco, per avermi invitato a presiedere questa celebrazione eucaristica di suffragio, nel 64° anniversario dell’uccisione del Servo di Dio Giuseppe Fanin, avvenuta nella tarda serata del 4 novembre 1948. Aveva solo 24 anni. Il brutale assassinio di questo giovane cattolico ha segnato profondamente la mia vita di ragazzo dodicenne, Aspirante dell’Azione Cattolica, e residente a San Matteo della Decima, al confine con la Tassinara di Lorenzatico, dove “Pippo” abitava.

Noi, in questa XXXI domenica del Tempo Ordinario, siamo qui per fare memoria di quel tragico evento che, attraverso il mistero eucaristico – memoriale della passione, morte e risurrezione di Cristo – continua a porsi, nella Chiesa e nella società, come segno emblematico del valore redentivo della sofferenza vissuta nella fede e testimoniata nella carità fino al sacrificio totale di sé.

Tutti conosciamo i fatti, ormai circostanziati da un’abbondante letteratura, e confluiti nella «Positio» sulla vita santa e le virtù eroiche del Servo di Dio Giuseppe Fanin, presentata alla Congregazione per le Cause dei Santi, perché dia il suo suggello ad una persuasione comune: con questo delitto è stata recisa la vita di un santo che ha anticipato i traguardi del Concilio Vaticano II. Il suo martirio, infatti, ha messo in evidenza il prototipo di un laico dinamico e risoluto, che si è sforzato di inserire la parola di Cristo come lievito nella vita sociale, senza compromessi e con grande «parresia», cioè con il coraggio di testimoniare la propria fede.

I testi biblici che abbiamo ascoltato ci portano proprio su questa lunghezza d’onda. Il libro del Deuteronomio e il Vangelo di Marco mettono a fuoco il primo e più grande comandamento: «Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tuta l’anima e con tutte le forze… Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Dt 6, 5; Mc 12, 31). É la logica della vera santità e della genuina laicità: «Dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare» (Cf. Mt 22, 21).

É anche la logica della Dottrina Sociale della Chiesa, che Giuseppe aveva assimilato fin dalla fanciullezza, dal suo parroco don Enrico Donati, anche lui trucidato tre anni prima,  il 13 maggio 1945. Questo pastore buono, che, sul modello di Cristo ha dato la vita per il suo gregge, aveva trasformato la Parrocchia di Lorenzatico in una vera fucina di laici preparati e motivati, capaci di coniugare in armonia vita ecclesiale e impegno sociale.

Il modello di riferimento – come ci ha detto la lettera agli Ebrei – era Cristo, vero Dio e vero uomo, «il sommo sacerdote, santo, innocente, senza macchia», in grado di aiutare a realizzare la sintesi tra la fede e la vita, perché Cristo «é sempre vivo e intercede a nostro favore». Egli «possiede un sacerdozio che non tramonta, in quanto ha offerto se stesso – una volta per tutte – nel sacrificio della Croce» (Cf. Eb 7, 24-27), sfociato nella gloria della risurrezione: un mistero messo a nostra disposizione specialmente nella Messa domenicale.

Ma Cristo, ha voluto che il suo unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa: col sacerdozio ministeriale dei Presbiteri, mediante il sacramento dell’Ordine e il sacerdozio regale di tutti i fedeli, mediante il Battesimo confermato nella Cresima, con il sigillo dello Spirito Santo, attraverso l’imposizione delle mani e l’unzione regale del crisma. Così rinnovati a immagine di Cristo, i credenti possono partecipare in pienezza al banchetto eucaristico e divenire testimoni della verità e dell’amore di Gesù, nella Chiesa e nel mondo (Cf. Prefazio della Cresima).

Quando, il 4 ottobre 1931, l’Arcivescovo di Modena Giuseppe Antonio Ferdinando Bussolari – nativo di Lorenzatico – amministrò in parrocchia la Cresima, in occasione della consacrazione della Chiesa ampliata e rinnovata, disse anche al piccolo Fanin: «Giuseppe ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono». Lui ha risposto «Amen», che significa «è così, ci credo e mi impegno a crescere nella fede, nella speranza e nella carità».

Per molti, invece, la Cresima è diventata l’appuntamento dell’addio alla vita cristiana. Le cose che contano sono altre – si dice – e la religione tuttalpiù diventa un fatto personale, intimo, senza rilievo per la vita concreta. In realtà, la ricerca del danaro, del potere e dei piaceri, come ultimo scopo  della vita, ha di fatto cacciato Dio dalla storia e noi – dopo il fallimento delle grandi ideologie nichiliste – siamo caduti nell’«individualismo utilitarista» e in una profonda «crisi di fede».

La figura di Giuseppe Fanin invece – come ha detto il nostro Cardinale Arcivescovo Carlo Caffarra – “ci ricorda il modo giusto per un cristiano di essere dentro alla società: egli non si lascia portare qua e là dalle mode culturali del tempo, ma al contrario possiede una robusta capacità di interpretare e giudicare ciò che accade, alla luce del Vangelo” (Cf. Bollettino dell’Arcidiocesi di Bologna, novembre 2008, p. 472).

Con la solenne apertura della Causa di Beatificazione del Servo di Dio Giuseppe Fanin, avvenuta in Cattedrale il 1° novembre 1988, la Chiesa di Bologna ha cominciato a guardare questa figura giovanile con occhi nuovi: non interessa più lo squallido ruolo svolto dai suoi persecutori – affidati al giudizio misericordioso di Dio – ma il valore ecclesiale e sociale della sua testimonianza che, nonostante i profondi mutamenti culturali e le sfide del XXI secolo, rimane viva e attuale.

Alla Chiesa interessa mostrare ai giovani questa figura esemplare, perché sbocciata dalla pastorale ordinaria di una piccola parrocchia, dove ciò che conta non è la rilevanza sociale o il “peso” ecclesiale da porre sulla bilancia dell’arcipelago cattolico, ma la persuasione che la maturazione di ogni buon frutto ecclesiale e civile ha le sue radici in un itinerario di autentica iniziazione cristiana. Ciò è confermato dalla testimonianza di Santa Clelia – anche Lei persicetana – che 75 anni prima – toccata dalla grazia dei traguardi sacramentali – decise di farsi santa.

I giovani, specialmente quelli orientati all’impegno sociale e politico, non hanno bisogno di eroi ideologicamente costruiti, ma di maestri che, con la loro testimonianza, li aiutino a maturare i frutti dello Spirito, in particolare la capacità di distinguere il bene dal male e il dominio di sé.

Le nuove generazioni hanno bisogno di verificare che la chiamata alla santità di tutti i battezzati (Lumen gentium, nn. 39-42) non è un’utopia, ma una concreta possibilità per elevare la “qualità totale” della nostra vita. Perciò, i giovani hanno bisogno della testimonianza (martirio) di uomini e donne ben formati umanamente e spiritualmente, capaci di interpretare le nostre sane tradizioni con ciò che di vero, di bello e di buono giunge a noi da altre culture e dal progresso della ricerca scintifica e tecnologica.

Su questo orizzonte dobbiamo riflettere anche su una circostanza rimasta troppo nell’ombra, ma riproposta alla nostra attenzione dal Cardinale Giacomo Biffi, in occasione della chiusura della fase diocesana della Causa di Beatificazione del Servo di Dio, avvenuta in Cattedrale il 4 novembre 2003, festa dei protomartiri bolognesi Vitale e Agricola, nel 55° anniversario dell’aggressione mortale a Giuseppe Fanin. Contestualmente è stato dato inizio, con la S.Messa, alle celebrazioni del 17° centenario del martirio dei Santi Vitale e Agricola.

Il fatto che il sacrificio di Giuseppe Fanin sia stato consumato proprio il 4 novembre, nel giorno che – da sempre – la Chiesa di Bologna dedica all’esaltazione dei suoi primi martiri ha valore di «segno». “Tale coincidenza – ha detto il Cardinale Biffi nell’omelia – ci induce a contemplare una Chiesa che anche ai nostri giorni è capace di suscitare nei suoi figli migliori la stessa totale e aperta adesione a Cristo che ammiriamo negli antichi testimoni della fede (Bollettino dell’Arcidiocesi di Bologna, novembre 2003, pp. 328-330).

Questa provvidenziale circostanza diventa per noi uno stimolo per verificare e rianimare la nostra fede. Oggi, poi, siamo ulteriormente spronati dall’Anno della fede appena iniziato anche nella Chiesa bolognese, con la discesa straordinaria della Madonna di San Luca. Non dobbiamo lasciarci spaventare dalla secolarizzazione in atto, perché Gesù ha detto: «Io ho vinto il mondo» (Gv 16, 33).

Proprio nell’ottica del grande comandamento dell’Amore (Cf Mc 12,28-34), da sempre la Chiesa, nella sua azione pastorale, applica il principio “divino–umano” che costituisce l’“essenza” del cattolicesimo, cioè la sua “struttura originaria” (Cf. L. Scheffzyk, Il mondo della fede cattolica, verità e forma, Vita e Pensiero, Milano 2007), che si configura come “struttura comunicativa”, in quanto riceve il suo impulso dalle missioni trinitarie. Il Dio biblico, infatti, è insieme “Agàpe” e “Lògos”: Carità e Verità, Amore e Parola. Ma la verità è “lògos” che crea “dià‑logos” e quindi quella comunicazione che diventa comunione, base indispensabile della nuova evangelizzazione (Cf. Caritas in veritate, nn. 3-4).

Benedetto XVI ha ricordato ai Vescovi della Chiesa Cattolica che, oggi, la “priorità che sta al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi Dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo in Gesù Cristo crocifisso e risorto” (Lettera ai Vescovi del 10 marzo 2009; Discorso dopo la benedizione delle fiaccole a Fatima il 12 maggio 2010, L’Osservatore Romano, 13 marzo 2009; 14-15 maggio 2010). Quel volto che Giuseppe Fanin ha imparato a contemplare in un serio tirocinio ecclesiale, non chiuso in se stesso, ma aperto all’animazione cristiana delle realtà temporali.

In pratica, Giuseppe Fanin aveva visto nel cristianesimo non un limite alla propria libertà, ma una grande opportunità per viverla in pienezza come intuì Marshall McLuhan che in una lettera alla madre, prima della conversione (1935), scrisse: “La religione cattolica è la sola a benedire e a impiegare tutte quelle facoltà dell’uomo atte a produrre il gioco e la filosofia, la poesia e la musica, l’allegria e l’amicizia con un fondamento molto umano e incarnato… la Chiesa Cattolica non disprezza né mortifica ingiustamente quegli attributi e quelle facoltà che Cristo si degna di assumere” (Cf. Il Foglio, 17 novembre 2009).
È su questo orizzonte che l’agire del credente trova una base solida, perché – come ha scritto Chesterton  – la Chiesa Cattolica è l’unica in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo. Una Chiesa capace di riscattare l’uomo dalle insidie dell’attualità, che lo schiaccia sul presente, col rischio di perdere la memoria e la capacità progettuale propria di chi possiede il senso della storia. Una Chiesa, dunque, che può pescare con cura tra i secoli e chiamare un’epoca in soccorso di un’altra. Per questo si pone di fronte al mondo e alla storia come l’approdo sicuro, dove “tutte le verità si danno appuntamento” (Cf. G. K. Chesterton, La Chiesa cattolica, Lindau, Torino 2010). Questo aveva capito e vissuto il Servo di Dio Giuseppe Fanin.

 

 

14/11/2012
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