Santa Messa Crismale

E’ una gioia celebrare con voi, per me doppiamente una prima volta, la Messa Crismale, ringraziamento per questo olio che ci ha unto, che continua a sgorgare per consacrare, guarire, rafforzare la nostra debolezza. L’olio dei catecumeni, coloro che in modi molto diversi cercano Dio, che ci interrogano per rispondere all’inquietudine del loro cuore, ricerca che non finisce mai per tutti. L’olio per l’Unzione degli infermi, che ci unisce ai fratelli più piccoli di Gesù, alla schiera delle persone sofferenti, alle tante vittime della violenza, ai perseguitati, ai calpestati, a chi ha un cuore ferito. Il crisma, l’olio dell’unzione regale nella Confermazione e nelle Ordinazioni sacre, per il quale oggi, con gratitudine ed umiltà, rinnoviamo il nostro “sì” al Signore. “Lo voglio”: è la nostra intima gioia, certo umiliata dalla nostra personale debolezza, ma oggi ancora più grande e consapevole. Qualche volta sentiamo l’amarezza, della distanza tra l’amore desiderato e quello vissuto. La misericordia di Gesù ci libera da questa e il suo olio ci rafforza invisibilmente. A volte siamo noi che ci isoliamo, per abitudine, per sufficienza, per banale orgoglio, per stanchezza. Altre volte sono i pesi del nostro servizio, circa il quale dobbiamo sempre ricordarci che il Signore è un padre buono e non chiede mai quello che non possiamo fare, mentre sono i farisei gli esigenti che mettono un carico insopportabile che loro non vogliono sollevare nemmeno con un dito.
Non siamo mai soli. Il nostro ministero è sempre accompagnato da questa Madre, che è la chiesa, che genera e rigenera la comunione. Amiamola. Nella comunione sono oggi con noi i fratelli che la vivono piena in cielo e che abbiamo accompagnato durante questo anno. Li voglio ricordare, ringraziando Dio del loro servizio e della loro testimonianza. Per primo il caro Cardinale Giacomo Biffi, che tanto ha lasciato della sua fede e della sua intelligenza. Don Francesco Cuppini, don Racilio Nascetti, don Marino Ghini, don Giovanni Albarello, Mons. Niso Albertazzi; don Marco Aldrovandi; Can. Dario Zanini; Mons. Pietro Calmieri, don Marcello Guarniero, don Attilio Tinarelli; Can. Pietro Mozzanti; Can. Marcello Poletti; don Antonio Polacchini; don Bruno Cortelli, don Antonio Ammassari; Mons. Salvatore Baviera; don Alberto Gritti, don Giorgio Bovini; don Marco Martoni e poi P. Piero Todesco, don Adriano Domeniconi C.R.L, Antonio Capitanio S.C.J., e i diaconi Vincenzo Cavina, Mario Fantuzzi. Oggi sentiamo con noi il caro Cardinale Caffarra, che tanto prega per la nostra chiesa di Bologna e esercita la sua paternità piena di affetto per essa; i nostri sacerdoti fidei donum in Diocesi di Iringa Don Enrico Faggioli Don Davide Zangarini e don Athos Righi in Giordania. Nella stessa comunione, di un cuore solo e un’anima sola, abbracciamo i nostri fratelli più anziani ammalati, quelli con cui condivido la stessa casa, purtroppo troppo poco la stessa mensa, alla casa del clero o che sono ospitati, ed è un bellissimo esempio di fraternità sacerdotale, in non poche parrocchie.
Conservo nel mio cuore le parole di don Marco, che abbiamo letto proprio ieri nel suo funerale. Le pronunciò solo due mesi or sono in occasione del funerale di un adolescente. Egli chiese a Dio “non di capire ma di imparare a spendere meglio il resto della mia vita in ciò che veramente conta; a non perder tempo ed energie in falsi problemi, ad esser più vicino a chi sperimenta il mistero della croce; a non lasciarmi schiacciare dalla fretta che ci fa perdere le cose più importanti”. E ricordo la semplice e bellissima immagine evocata sempre ieri nel saluto finale da suo fratello Luca: “Quando sei stato ordinato proprio n questa casa, per umiltà eri prostrato con la faccia a terra adesso sei di nuovo qui, nello stesso modo ma con il volto rivolto verso il cielo”. Sì, è proprio vero: chi si umilia sarà esaltato, chi si abbassa viene portato in alto, solo chi si fa servo diventa re, chi si fa piccolo diventa grande, chi si piega sull’altro riesce a capire il proprio oggi e a vedere in questo il suo domani. Nella celebrazione di questo caro confratello ho pensato proprio come siamo tutti affidati dal Signore a questa madre che è la chiesa. Non esitiamo a prenderla con noi. Non sottraiamoci all’amore di questa madre, che ci fa sentire figli, che ci ama come siamo e ci chiede con dolce fermezza di cambiare perché ci vuole diversi, migliori, pieni del suo amore perché è la via per una vita beata. Questa madre ci libera dalla tentazione di farci distaccati maestri, rassegnati amministratori; ci permette di avere Dio per padre perché non potremo mai trattarla con la freddezza del funzionario o servendosene come uno schiavo. Non vi nascondo l’unica sofferenza che ho provato in queste settimane, nelle quali ho sentito un grande affetto e del quale vi ringrazio di pieno cuore, è quando l’amore viene accolto con diffidenza, frutto dell’asprezza, del difendersi, di un tratto ideologico che interpreta tutto e non si lascia toccare da niente, che esamina come se dovessimo difenderci dalla nostra stessa madre.
E’ in questa comunione che sinodalmente vorrei camminassimo con la gioia dell’Evangelii Gaudium. E la prossimità tra noi e con tutti è per me il primo contenuto, perché solo questa permette ogni progetto e supera le nostre misure, genera incontri, altrimenti impossibili, per aiutarci a liberarci dall’inevitabile stanchezza, dalla sottile rassegnazione per cui niente vale la pena, tutto è stato vissuto e diventa una sbiadita e tiepida ripetizione. La conversione pastorale che ci è chiesta nasce dalla gioia che abbiamo nel cuore e dalla misericordia per l’umanità che incontriamo. La forza del vangelo non è qualcosa del passato. Possiamo guardare al futuro non con l’angoscia dei numeri, con la ristrettezza delle cose da fare o dei programmi da rispettare, ma con la gioia degli operai che vedono una messa che già biondeggia. E’ questa passione la sobria ebrietas che indicava Papa Benedetto, che ci fa ritrovare il dono che siamo ognuno di noi. Il protagonismo individualista, invece, sottrae tante forze a questa madre, così come il ridurla ad un condominio. Quella piccola comunità vive dentro una grande città e si misura con questa. Se smette di esaurirsi nell’infinita discussione su chi è il più grande, se diventa davvero grande come chi sceglie la misericordia, se compie le opere che solo la carità può creare, avremo tanto da dire agli uomini, ai giovani, agli anziani, ai ragazzi di queste città. Il Vangelo ci chiede di aiutare a essere più solidali, a liberare dalla paura, ad affrancare dalla solitudine e dal vivere per se stessi. Sentiamo nostre, con l’olio del buon samaritano che è la misericordia, “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”. Non una chiesa di pochi, chiesa-minoranza con pochi preti ma clericale, che gestisce un gruppo ristretto di fedeli che difendono una verità nascosta però alla gente e che li f sentire puri perché non contaminati. Siamo una chiesa di popolo che non ha paura di essere se stessa in mezzo alla piazza, per le strade, che va incontro a tutti senza temere la prossimità e l’imprevisto degli incontri. C’è in tanti la voglia di incontrare qualcosa di vero, di bello, di pulito, di gratuito, di misericordioso. C’è tanta voglia di migliorare situazioni insostenibili. C’è tanto bisogno di uscire dalla solitudine che diventa una prigione terribile che spegne la vita e la condanna alla depressione o al protagonismo. Noi siamo questa madre, siamo la loro madre. Allora: realismo e speranza, umiltà e visione. Dobbiamo rimetterci a leggere –non è forse la contemplazione di cui parla Papa Francesco? – da veri esperti di umanità come siamo, la realtà dei nostri paesi, quartieri e delle città. Non abbiamo paura di investire nella carità e di aprire nell’accoglienza la casa al nostro fratello.
Spirito del Signore, anima con la tua passione la vita dei tuoi presbiteri e diaconi e di tutto il popolo che tu hai scelto. Nella debolezza insegnaci a affidarci alla tua forza, a seminare con larghezza i semi del tuo amore e a riconoscerli nascosti nei cuori di tanti. Ristoraci nella stanchezza, proteggici nella tentazione di salvare la nostra vita, liberaci dalla tristezza che ci indebolisce. Fa che dal nostro cuore si sprigioni audacia di tenerezza. Dalle nostre mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezziamo. Fa risplendere di gioia i nostri volti, rendici capaci di stringere tutte le mani e di tenerle aperte verso chi cerca misericordia. Tutti possano vedere nella nostra vita, come a Nazareth, l’oggi della tua presenza. Amen.

24/03/2016
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