Santo Stefano, patrono dei diaconi

Bologna, Cattedrale

Questo Natale così essenziale ci aiuta a cercare quello che conta. Forse ci toglie un po’ di protagonismo (e non cerchiamo di recuperarlo altrimenti!) ma ci aiuta a capire l’unico protagonista, Gesù. Viviamo in una crisi profonda, vera e che unisce tutti, il mondo intero.

Siamo confrontati con tutta la casa comune eppure dobbiamo dire che c’è poco interesse verso quello che succede fuori dal nostro piccolo! Ci esercitiamo solo per confronto, come se non ci riguardasse la sofferenza di altri paesi e soprattutto di quelli più poveri! E’ una pandemia, ma si rivela come il nostro amore è ancora troppo locale e poco universale, che poi sarebbe a dire cattolico!

Ci appassioniamo tantissimo di quello che ci riguarda e non degli altri che stanno sulla nostra stessa barca! Vediamo il prossimo in funzione nostra e non noi in funzione del prossimo, tanto, così, da scoprirlo. Se tutto in funzione nostra lo consumiamo ma non diventa prossimo! Certo, la crisi ci confonde, ci turba, Che cosa facciamo: pensiamo a noi oppure viviamo la sfida di essere cristiani, di affrontare la crisi con la nostra unica forza che è quella dell’amore?

Papa Francesco ha detto: “Siamo spaventati dalla crisi non solo perché abbiamo dimenticato di valutarla come il Vangelo ci invita a farlo, ma perché abbiamo scordato che il Vangelo è il primo a metterci in crisi”. Il tempo della crisi è un tempo dello Spirito, allora, anche davanti all’esperienza del buio, della debolezza, della fragilità, delle contraddizioni, dello smarrimento, non ci sentiremo più schiacciati, ma conserveremo costantemente un’intima fiducia che le cose stanno per assumere una nuova forma, scaturita esclusivamente dall’esperienza di una Grazia nascosta nel buio”.

Nella crisi non si tratta di cose da fare in più! E’ sempre questione di cuore, non di opere. Queste vengono se c’è il cuore, altrimenti ci sforzeremmo e penseremmo che si tratta, come mi disse un prete, di sforzare ulteriormente la nostra macchina già al massimo, di provare ad aumentare ancora i cavalli (un tempo si sarebbe detto abbassare la testata, cosa che non conosco proprio nei dettagli il significato oppure migliorarle come le Abarth).

Poi i cavalli sono quelli, non di più! In realtà non si tratta di aggiungere degli impegni, ma di come li viviamo. Dobbiamo seminare e questo si inizia a farlo solo se abbiamo la convinzione che darà frutto, altrimenti non usciamo per seminare, restiamo a casa a discutere sulla situazione!

Ma che cristiani siamo se abbiamo paura delle prove e non rendiamo queste opportunità? Forse siamo stati talmente risparmiati che abbiamo dimenticato che l’uomo nel benessere è un animale che non comprende o forse dobbiamo ancora imparare a contare i nostri giorni e non siamo giunti alla pienezza del cuore. O forse abbiamo semplicemente respirato la mentalità del mondo e siamo diventati anche noi vittimisti, pessimisti e narcisisti senza accorgercene, certo, con eleganza, ma il risultato è lo stesso.

Se ci confrontiamo con il mediocre ci sentiamo grandi. Invece dobbiamo guardare il bisogno che c’è e confrontarci con questo e cercare l’alto. Ieri, nel natale del Signore tra gli uomini abbiamo contemplato la vita di Dio che dona se stesso e si fa umile da onnipotente. Noi, che siamo umili, invece ci facciamo onnipotenti con il nostro ruolo, difendendo la considerazione e condizionando tanto a questa. Non dimentichiamo, perché è molto liberante, che tutto è sempre solo grazia! 

Noi non dobbiamo andare a cercare le prove. Quante ce ne sono! Non dobbiamo scappare in esse e servire con il nostro ministero, anzitutto quello dato dal battesimo e dal vangelo! Ci siamo accorti di questa pandemia perché ci ha coinvolto direttamente. E tutte le altre? Bisogna riconoscere quelle che abbiamo di fronte e interrogarci su come noi e le nostre comunità possono rispondere ad esse. La crisi è un’opportunità!

Testimoniare il Vangelo, essere luce, consolare, avvicinare, accogliere, seminare, dare valore non alle mie cose ma a quelle degli altri, cercare le capacità di ognuno, rendere ricca di doni questa casa, a spendere quello che siamo per il prossimo, non solo a fare ma ad aiutare gli altri a fare.

Ci sono, mi sembra, tante persone che darebbero volentieri una mano se solo trova gente contenta di farlo e contenta che ce la dia, non sospettosi che debbono prima capire le reali intenzioni. E’ carità anche questa! Non dobbiamo avere paura di cercare tanti compagni di strada, di coinvolgere persone anche con storie diverse: se siamo serenamente, semplicemente noi stessi, senza paternalismi e supponenza, ma con tanta fraternità, esigenti e umani, esempi viventi e non professori, convinti, appassionati tanti troveranno in noi quello che cercavano e ritroveranno la gioiosa via del Vangelo. 

Allora, non si tratta di avere coraggio ma di vivere l’amore. Stefano non è un impavido, ma un innamorato di Gesù e per questo amore è più forte delle pressioni contro di lui. Non cerca di andare d’accordo con tutti, di accomodare ogni cosa pur di non avere problemi, ma difende serenamente e con semplicità il suo amore, il sogno di Gesù, la sua fede.

Eppure lo scandalo di Pietro resta sempre con ogni discepolo: perché perdere se debbo vincere? Che vittoria è mai una sconfitta? Non ci sentiamo importanti! Se gli altri non comprendono il problema è loro oppure diventiamo sciapi, come tutti, omologandoci. Più che testimoniare vogliamo vincere e pensiamo di verificarlo subito. La domanda è come parlare a tanti del Vangelo, che è la luce che illumina le tenebre di moltissime persone!

A noi non è chiesto altro che testimoniare Gesù, l’amore per Lui, la sua Parola che ci ha cambiato il cuore, tanto che, come per Stefano, la ripetiamo fino alla fine. Non è una storia di altri tempi. L’altro giorno sono andato nel reparto Covid dove è morto don Tarcisio e le infermiere mi hanno raccontato commosse quello che Tarcisio le diceva, come le parlava della sua malattia e di Gesù, come pregava. Ecco, cosa significa essere cristiani nella prova!

Non è rintanarsi in qualche riserva indiana, sentirci sicuri così, che poi finisce pervasa dal male stesso come accade in ogni riserva, a volte prese a libro paga di qualche opportunista! Essere cristiani non significa cavalcare le enfasi di apocalissi inventate che non fanno vedere quelle vere, i veri cavalieri che colpiscono e seminano morte.

Non vogliamo essere manichei che pensano sradicare la zizzania e perdere così il grano perché non si affidano alla Provvidenza di Dio che sa cooperare tutto al bene. Possiamo seminare tanto Vangelo perché tocchi il cuore delle persone. Le scuole del vangelo, i gruppi della parola non sono un modello unico, ma un libero seminare e raccogliere tanti frutti. 

E poi dobbiamo affrontare la sfida della carità. Questa non dorme perché è una madre che va oltre la burocrazia. Tutto nasce dalla compassione non da svolgere un ruolo o prestare servizio. La carità è sempre gratuita, libera quindi dalla logica dei rimborsi: non accetterà mai del do ut des. Per amare tutti bisogna amare prima e più di noi stessi i poveri. Solo così amiamo tutti.

La situazione è difficile. E allora? “In questo tempo difficile, anziché lamentarci di quello che la pandemia ci impedisce di fare, facciamo qualcosa per chi ha di meno: non l’ennesimo regalo per noi e per i nostri amici, ma per un bisognoso a cui nessuno pensa! E un altro consiglio: perché Gesù nasca in noi, prepariamo il cuore: andiamo a pregare”. Carità e preghiera. 

Chi ha ucciso Stefano lo faceva proprio per affermare il piccolo contro l’universale, le abitudini contro i cambiamenti. Lo uccidono perché “non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava”.  Un amore in più conquista i cuori, anche se sembra non serva a nulla. Aiutiamo Giuseppe e Maria, questa bellissima madre che vuole avere tanti figli, che non perde tempo perché sa che non ce n’è.

La Chiesa é madre ma ha bisogno di un padre. Ci ha descritti così: Padre nella tenerezza, dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza, perché il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi ma direi anche negli altri. Il maligno ci fa vedere la pagliuzza, lo spirito un fratello una sorella da amare! Padre nell’obbedienza perché Giuseppe ascolta e mette in pratica. Ecco, così deve essere il servizio del diacono che proclama quello che vive, sottomesso al Vangelo.

Unito a questo è anche il Padre dal coraggio creativo, perché sono a volte proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere. Non facciamo mancare il nostro coraggio creativo, sempre nella comunione e nella fraternità. Nessuno ha la risposta: solo nella comunione, nel sistema di ministeri, sapremo trovarla e indicarla. La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. E’ quella del martire, cioè del testimone. Respiriamo con i due polmoni del diacono: l’impegno della carità e l’annuncio coraggioso della parola. Non dobbiamo cercare quelle distinzioni da laboratorio finte, ma ricordarci che non c’è l’una senza l’altra.

Tertulliano ce lo ricorda: “E’ un seme il sangue dei cristiani”. Il cristiano è gioioso anche nelle difficoltà. Il seminatore in realtà diventa seme. Con gioia, per dare una vita più bella. 

Santo Stefano diacono ci doni di essere testimoni del Vangelo di amore per tutti perché tutti siano fratelli. 

26/12/2020
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