solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo

Bologna, Cattedrale

Oggi facciamo solenne e gioiosa memoria di san Pietro, che come titolare fin dalle origini di questa cattedrale, è da considerarsi il più antico patrono di Bologna; un patrono che non è mai stato dimenticato ed è stato onorato nelle più rilevanti attività della nostra vita civile, se persino il sigillo della nostra Università associa da sempre il suo nome a quella della città: “Legum Bononia mater, Petrus ubique pater” (“Bologna è la maestra delle leggi, ma il padre universale è Pietro”).

Pietro – ci dice con felice sintesi il grande vescovo e celebre omileta san Pietro Crisologo, gloria della nostra regione – “è il custode della fede, la roccia della Chiesa, il portinaio del Regno dei cieli. E’ il pescatore che, chiamato all’apostolato, attira a sé con l’amo della santità le turbe sommerse dai flutti degli errori, e nella rete del suo insegnamento raccoglie e serba alla fede una moltitudine immensa di uomini” (Sermo 107,3).

La singolare avventura umana di questo generoso e impulsivo Galileo – che noi sentiamo particolarmente simpatico e vicino a noi, anche per l’immediatezza del suo dire e dei suoi comportamenti, oltre che per la sua stessa fragilità – è connotata e determinata da due sguardi del Signore Gesù, due sguardi che gli toccano il cuore: il primo lo raggiunge sulle rive del Giordano, agli inizi della loro reciproca conoscenza (cf Gv 1, 40-42); il secondo a Gerusalemme, nel cortile del sommo sacerdote, nella notte tragica del tradimento e della passione ( cf Lc 22,60-62).

Gesù sapeva fissare i suoi interlocutori in maniera indimenticabile. L’intera narrazione evangelica ci dà notizia del fascino che avevano gli occhi del Nazareno: occhi penetranti, capaci di arrivare fino al profondo degli animi; occhi umanissimi e arcani, che rilucevano a seconda delle circostanze di amabilità e di sdegno, di forza e di tenerezza, di compassione e di letizia.

Pietro li ha ben conosciuti quegli occhi e li evocava spesso, come apprendiamo dal racconto di Marco, che della predicazione dell’Apostolo è verosimilmente l’eco fedele. Ma soprattutto egli non poteva scordare che da quegli occhi la sua esistenza era stata irrevocabilmente segnata. Ci aiuti lui allora a percepire sempre su di noi, sui nostri pensieri, sui nostri atti, l’attenzione scrutatrice e affettuosa del nostro Salvatore e Signore.

Ascoltiamo la testimonianza del quarto vangelo: “Uno dei due, che avevano udito le parole di Giovanni e avevano seguito Gesù, era Andrea”Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: ÎAbbiamo trovato il Messia”‘, e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: ÎTu sei Simore, il figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa, che significa <Pietra>’ ” (cf Gv 1, 40-42).

E’ facile immaginare lo sconcerto di quell’uomo semplice e concreto, che si vede cambiare il nome da uno sconosciuto appena incontrato. C’erano stati nella storia ebraica altri mutamenti di nome, come ad esempio era avvenuto ad Abramo e a Giacobbe (cf Gen 17,3; 35,10-11): in quei casi era Dio stesso che aveva rivelato con un nome nuovo l’assegnazione di un nuovo destino. Chissà se Pietro si è reso conto che proprio la medesima eccezionale esperienza dei grandi patriarchi in quel momento veniva riservata anche a lui?

“Fissando lo sguardo su di lui”. L’originale greco dice, in modo anche più espressivo: “Guardandogli dentro”.

Che cosa avrà visto mai Gesù con quello sguardo radioscopico, in grado di scandagliare le più riposte fibre dei cuori? Certo ha visto il passato di quel pescatore di Galilea, perché ciascuno di noi conserva dentro di sé tutto ciò che ha fatto e gli è avvenuto; ha visto il suo passato con i suoi slanci religiosi e i suoi errori, con le sue inquietudini e i suoi desideri di bene, con il groviglio dei suoi sentimenti e con la sua intatta dirittura morale. E ha visto il suo presente di ricercatore ansioso del Regno di Dio, venuto dal suo lago remoto ad ascoltare il messaggio aspro e inquietante di Giovanni il Battezzatore.

Ma Gesù con la sua intelligenza profetica ha soprattutto visto lo straordinario futuro di Pietro: ha in anticipo contemplato le schiere dei suoi discepoli che si sarebbero appoggiate su quest’uomo nativamente insicuro come su una roccia incrollabile, e ne avrebbero attinto l’energia divina di perseverare contro ogni insidia malefica nell’adesione alla verità che davvero illumina e salva.

Come ad Abramo e a Giacobbe, anche allo sbalordito figlio di Giovanni era dunque confidata una sorte e una missione che andava ben oltre gli anni del suo personale pellegrinaggio terreno. Fino al ritorno del Signore, quando egli verrà a porre gli ultimi sigilli alla vicenda umana, una “moltitudine di popoli” (cf Gen 17,3) avrebbe guardato a Pietro, sempre vivo nei suoi successori, come al riferimento sicuro cui ci si può affidare senza il rischio di uscire dalla volontà del Padre e di alterare il suo disegno salvifico.

Il secondo sguardo decisivo di Cristo su Pietro ci è documentato dal vangelo di Luca: uno sguardo muto, stavolta, ma più eloquente di molte parole.

“Mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: ÎPrima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte’. E, uscito fuori, pianse amaramente” (Lc 22,60-62).

“Guardò dentro a Pietro”: questa è alla lettera l’espressione che anche qui viene usata. Gesù guarda dentro all’anima del suo discepolo che stava sbagliando, lo sconvolge fino alle lacrime e lo salva con la medicina amara di un pentimento sincero.

Era giusto e bello che chi era stato chiamato a essere il testimone più autorevole e il primo custode di un annuncio di misericordia per tutta l’umanità peccatrice, fosse personalmente anche lui il destinatario privilegiato di questo stesso annuncio e il capolavoro più alto di questa stessa misericordia.

C’è differenza tra i due sguardi di Cristo su Pietro. Il primo, che lo costituisce “roccia” necessaria alla sopravvivenza stessa della Chiesa, è suo retaggio esclusivo. Il secondo invece conviene a tutti, e tutti siamo invitati a farne consolante esperienza.

Ci viene allora spontanea l’implorazione: “Guarda anche noi, Signore Gesù, affinché anche noi riconosciamo i nostri errori, laviamo con le lacrime del pentimento la nostra colpa, meritiamo il perdono dei peccati” (S.AMBROGIO, Exameron V,89). Guardaci, perché diventi più facile in noi quella autentica conversione che è la mèta essenziale di questo Anno Santo.

E anzi lo stesso Principe degli apostoli fraternamente ci aiuti non solo con il suo esempio, ma anche con la sua intercessione: “Preghi per noi Pietro, il quale efficacemente seppe piangere per sé, e faccia rivolgere verso di Dio il volto pietoso di Cristo” (ib. 90).

02/07/2000
condividi su