solennità della immacolata concezione della vergine Maria

Bologna, basilica di San Petronio

“Nato da donna” (Gal 4,4). Questa parola semplice e breve – nascosta e quasi annidata in quel grande inno alla libertà cristiana che è la lettera ai Galati – se riferita a qualunque creatura umana è così ovvia e superflua da riuscire una mera banalità: da dove mai dovrebbe nascere un uomo?

Ma san Paolo la dice a proposito del Figlio proprio di Dio, di colui che (per usare il vocabolario di san Giovanni) è l’ “Unigenito del Padre” (Gv 1,14), a lui coeterno e consostanziale. Tutto allora cambia; e l’espressione, tanto consueta da essere inutile, si trasfigura e si sublima.

“Nato da donna” diventa la fulminea rivelazione del segreto trascendente e inatteso che la divina sapienza ha collocato al centro della storia e al cuore dell’universo: diventa la rivelazione – la prima nelle pagine del Nuovo Testamento – della realtà dell’Incarnazione.

Se il Verbo eterno – che è “luce da luce, Dio da Dio, Dio vero da Dio vero”, come diremo nel Credo – è “nato da donna”, allora la femminilità (ogni femminilità) si colloca al vertice dell’autentica e assoluta gerarchia dei valori. La parola che ci era apparsa così semplice e breve – “nato da donna” – brilla adesso davanti a noi come la dichiarazione, il proclama, il “manifesto” di quello che potremmo definire il “femminismo di Dio”: un femminismo che si sostanzia non di loquacità ma di fatti; un femminismo che non ha il luccichìo delle ideologie ma lo splendore della verità; un femminismo che è prova e donazione d’amore.

Ci spieghiamo allora come mai proprio all’interno della società che è stata raggiunta e permeata da questo sorprendente annuncio – all’interno cioè della società cristiana – si sia lentamente ma decisamente affermato il riscatto della donna; e come mai proprio entro la cristianità sia stata progressivamente riconosciuta nelle costumanze e nelle leggi la sua inalienabile dignità.

E ci spieghiamo altresì perché ancora oggi, al di fuori della cultura e della civiltà cristianamente ispirate, ci siano estese aree di umanità, dove nelle costumanze e nelle leggi tale dignità permanga avvilita; e la donna appaia, più che altro, funzionale all’egoismo maschile.

Più ancora si capisce come sia naturale e logico che quella nostra sorella, destinata a così eccelsa missione, debba essere nei divini voleri la più pura, la più perfetta, la più alta delle creature. Anzi, “più che creatura”, come arditamente la definisce in un eccesso di ammirazione il sommo poeta cristiano. Sicché non è neppure lontamente ipotizzabile che in lei il peccato potesse, pur se lievemente, prevalere; nemmeno quella forma analogica di peccato – il “peccato originale” – che affligge tutti i discendenti di Adamo fin dal loro primo istante di vita.

Questa è la certezza limpida e pienamente ragionevole, che la Chiesa propone ogni 8 dicembre alla nostra rinnovata attenzione; questo è il senso della festa dell’Immacolata Concezione, così cara ai cuori credenti; questa è la fonte della gioia di questo giorno.

L’iniziale palpito di vita di colei che sarebbe divenuta la Madre di Dio è stato infatti il primo segno di vittoria sul nostro antico nemico. Nel mondo vecchio di colpa e intristito dal male viene immesso, per così dire, il primo lievito di rinnovamento: il lievito della salvezza di Cristo che lo fermenterà interamente.

Certo, l’immacolata concezione di Maria non è stato un avvenimento che abbia suscitato clamore: nessuno si è accorto che qualcosa di singolare e di inedito si era insediato sulla nostra terra polverosa. I prodigi dell’amore di Dio si svolgono abitualmente nel silenzio e nell’umiltà; come ha detto Gesù, essi sono “nascosti ai dotti e agli intelligenti” e sono “rivelati ai piccoli” (cfr. Mt 11,25).

Tra questi “piccoli” anche noi vogliamo collocarci e ammirare questo principio di vita innocente da cui ha preso avvìo la nostra rinascita.

Quando all’orizzonte rosseggia l’aurora, diciamo: la notte è finita, tra poco ci riscalderà il sole. Quando, sciolta la neve, cominciano a sbocciare i fiori di campo, diciamo: l’inverno sta per passare. La Madonna nel suo concepimento incontaminato è stata l’annuncio del Sole di giustizia, della “luce vera che illumina ogni uomo” (cfr. Gv 1,9); è stata il fiore, che era profezia e presagio dei frutti saporosi della nostra redenzione.

Maria è, in una parola, la nostra speranza.

Ha trascorso fiduciosa e senza scoraggiamenti i lunghi anni di attesa nella casa di Nazaret, quando la modestia e l’austerità della quotidianità domestica parevano smentire la promessa di una condizione regale, che le era stata fatta dall’angelo. Non si è avvilita e non ha dubitato neppure quella sera del Venerdì Santo, che le ha fatto sperimentare nel modo più tragico un trionfo della morte che ad occhi umani sembrava davvero una catastrofe senza rimedio.

Maria è vissuta di speranza in tutti i suoi giorni, appunto per essere sorgente e sostegno per noi di ogni speranza vera e non delusiva.

E oggi soprattutto di speranza gli uomini hanno un assillante bisogno. Chi guarda con occhi disincantati le vicende e i problemi di questi anni, non può indulgere a previsioni ottimistiche e spensierate.

Sono molti i motivi di preoccupazione che ci vengono offerti dall’epoca nostra. Ma uno ci pare il più subdolo e al tempo stesso il più pungente: c’è, anche tra i discepoli di Gesù, una micidiale confusione di idee, che si ammanta e si traveste di larghezza di spirito e di apertura mentale. Ci si dimentica troppo facilmente che, se l’errante va sempre compreso e amato, gli errori e le deviazioni morali non possono mai ricevere la benevolenza che spetta soltanto alla verità e alla giustizia.

Sta scritto nel libro di Dio, ma non sono molti oggi a ricordarlo:

“Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene,

che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre,

che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro!” (Is 5,20).

Chi ci salverà da questo guazzabuglio e da questo smarrimento mortale? Il semplice popolo di Dio ha trovato lungo i secoli una risposta persuasiva e rasserenante: la speranza – quando tutto diventa ambiguo e rimescolato, quando la passione per la verità si illanguidisce, quando si moltiplicano le insidie alle certezze della fede – va riposta nel nostro amore filiale alla Madre di Gesù e nella sua protezione.

C’è un’antica preghiera liturgica che esprime bene tale convincimento dei popolo fedele: “Gaude, Maria Virgo: tu cunctas haereses sola interemisti” (Enchiridion euchologicum 1945: “Rallegrati, Vergine Maria: tu sola hai sbaragliato tutte le eresie”). Bei tempi, quando nella cattolicità si chiamavano ancora le cose con il loro nome!

Salutiamo allora la nostra Regina, contemplandola oggi nell’ora benedetta della sua concezione senza macchia – nell’ora cioè in cui ella si accinge a percorrere quella strada irta e difficile dell’esistenza umana che è a tutti comune. Salutiamola con le parole che ci sono familiari e care: “Vita, dolcezza, speranza nostra, salve!”.

08/12/2000
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