solennità della Pentecoste

Bologna, Cattedrale

Era il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua. Era il cinquantesimo giorno dopo quella Pasqua eccezionale, anzi unica nella storia d’Israele e dell’umanità intera, nella quale la salvezza di Dio è entrata pienamente e definitivamente nella nostra storia, col sacrificio redentore di Gesù e con la sua splendente vittoria sulla morte.

Il gruppo degli apostoli e dei discepoli più fedeli stava da diversi giorni radunato attorno a Maria, la madre dolce e coraggiosa del loro Maestro: “assidui e concordi nella preghiera” (cf At 1,14), dice il libro degli Atti.

Erano tutti in attesa. Intuivano che qualcosa di grande e decisivo sarebbe dovuto presto accadere. Erano in attesa che dall’alto venisse posto l’ultimo sigillo alla straordinaria vicenda di dolore e di gloria che si era svolta sotto i loro occhi. Erano in attesa che, secondo la promessa del Signore, la forza dello Spirito scendesse su di loro e li costituisse testimoni di Cristo da Gerusalemme fino agli estremi confini della terra (cf At 1,8).

E Dio non manca agli appuntamenti. Alle nove del mattino arriva un vento impetuoso, come un rombo di tuono e quasi una danza di fiamme sopra di loro. La scenografia era press’a poco quella di un violento temporale, ma nella realtà più profonda si trattava di una singolare e sconvolgente effusione dello Spirito Santo: il “Consolatore”, preannunciato da Gesù durante l’ultima cena, era finalmente sceso a cambiare gli animi e a rinnovare la terra.

La folla degli astanti sperimenta solo l’esteriorità dell’avvenimento, restandone turbata e impaurita: “rimase sbigottita (cf At 2,6), ci ha detto la narrazione. Assiste all’insolito fenomeno, ma non ne afferra il significato e il valore: “erano stupefatti e fuori di sé” (cf At 2,7), erano “stupiti e perplessi” (cf At 2,12). Alcuni colgono addirittura l’occasione di fare del sarcasmo e dicono: sarà un’ubriacatura generale (cf At 2,139. Càpita a molti di irridere ciò che non capiscono, soprattutto quando si tratta delle arcane e ineffabili cose di Dio.

Gli apostoli invece capiscono. Capiscono perché aprono la mente a una luce superiore, che rivela loro il disegno del Padre. Al fuoco dello Spirito i loro cuori si accendono e le loro labbra si schiudono. Cosi un umile pescatore qual è Pietro diventa eloquente, e tutti i Dodici cominciano ad annunciare efficacemente la verità del Vangelo a tutte le genti, come era stato loro ordinato dal Risorto (cf Mt 28, 1 9-20).

Anche noi, che nella Chiesa siamo andati alla scuola degli apostoli, siamo in grado di capire la Pentecoste, di penetrarne la natura nascosta, di appurare quale sia la sua origine e quale sia la primaria risultanza.

La sua origine – vale a dire: la sua sorgente perenne è il Signore Gesù crocifisso, risorto e asceso al cielo. Egli è assiso alla destra del Padre e dalla destra del Padre non cessa mai di riversare sul mondo lo Spirito Santo, che sovrabbondantemente colma di sé la realtà umana del Figlio di Dio fino a traboccare e a effondersi su di noi.

Quella salvezza, che egli ha ottenuto col suo sacrificio cruento, adesso mediante il dono dello Spirito è offerta irrevocabilmente alla miseria della stirpe di Adamo; e in tal modo ogni uomo è riscattato da tutti i suoi mali, è rinnovato in ogni sua fibra, è predisposto a entrare a far parte della divina famiglia.

La Pentecoste è dunque la festa della nostra felice connessione col Figlio unigenito del Padre, crocifisso e risorto. È una connessione che progressivamente ci assimila a lui nella conoscenza di fede, nella nuova capacità di amare Dio e i fratelli, nella vita di grazia.

La Pentecoste è la bellissima notizia che il Signore Gesù – centro e senso dell’universo e della storia – si è fatto vicino a ciascuno di noi; e anzi ci ha presi, ci ha stretti a sé e cosi ci scampa da ogni sventura irrimediabile e da ogni pericolo.

A lui, al grande Festeggiato del Duemila, alziamo allora i nostri occhi, affascinati dalla sua sovrumana bellezza; a lui eleviamo i nostri cuori, gonfi di riconoscenza e di affetto per l’immensa fortuna di cui egli ha voluto gratificarci.

Il frutto principale e, possiamo dire, onnicomprensivo dell’effusione dello Spirito è la Chiesa, che nella Pentecoste celebra il suo giorno natalizio e la sua prima manifestazione al mondo: la Chiesa, cioè la Sposa e il Corpo di Cristo di cui noi siamo gioiosi e fieri di essere le membra vive.

La santa Chiesa Cattolica, che nasce dall’evento pentecostale, è la realtà più bella e preziosa che la fantasiosa sapienza del Padre trae quotidianamente dalla nostra umanità, che per se stessa è sempre miserabile e peccatrice. Se ripercorriamo, con l’intelligenza potenziata dallo Spirito, i venti secoli della sua storia, noi la vediamo adorna di una ricchezza spirituale senza confronti: irradiatrice di verità e di sapienza, ispiratrice di carità generosa, suscitatrice instancabile di bellezza, è una realtà davvero unica tra tutte le istituzioni e le culture che nel frattempo sono sorte, si sono affermate spesso con prepotenza e sono perite.

La Chiesa è un capolavoro che Dio continua a creare, utilizzando i poveri e deludenti materiali che noi gli mettiamo a disposizione. È un’opera d’arte che scaturisce dalla genialità dello Spirito: perciò non può essere valutata giustamente e apprezzata, se non da quanti dallo Spirito si lasciano illuminare.

Invece l’uomo lasciato alle sole sue forze conoscitive è l’uomo che si chiude al prodigio della Pentecoste – “non comprende le cose dello Spirito (ci dice san Paolo); esse sono follìa per lui e non è capace di intenderle” (cf 1 Cor 2,14). Perciò non può presumere di capire e di giudicare nella sua sostanza la Chiesa, che è appunto il risultato più alto della elargizione pentecostale.

Due grazie allora conviene particolarmente chiedere nella festa di oggi: crescere ogni giorno più in una conoscenza appassionata di Gesù, unico Salvatore e Signore di tutti, senza perdersi dietro alle lusinghe di improbabili religiosità alternative; ringraziare il “Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione” (cf 2 Cor 1,3) per il dono che ha fatto al mondo e a ciascuno di noi della Chiesa Cattolica, la Sposa amata di Cristo, che egli non si stanca di abbellire e di santificare con il suo affetto di Redentore e di Sposo.

18/06/2000
condividi su