solennità dell’epifania

Bologna, Cattedrale

La celebrazione dell’Epifania porta a compimento l’annuncio di redenzione e di rinnovamento che è risonato a Betlemme e ci aiuta a capire l’ingresso dell’eterno unigenito Figlio di Dio nella nostra storia, in tutta la sua ricchezza e in tutta la sua potenza salvifica. Senza l’Epifania non si può comprendere adeguatamente il Natale.

Il Creatore dell’universo è arrivato quaggiù, per così dire, nascostamente: nell’oscurità e nel silenzio, rivelandosi a una piccola cerchia di uomini senza prestigio, senza fama, senza risonanza. In tal modo ci ha fatto conoscere le sue preferenze: le preferenze di Dio sono per i piccoli, i semplici, gli umili.

Però non vuole che nessuno interpreti male questa sua predilezione e finisca magari col ritenere che la sua venuta tra noi sia un fatto quasi privato, da tener nascosto e da riservare soltanto ad alcuni. Il contrario è vero: la sua iniziativa ha una portata universale, la sua verità è destinata a illuminare l’umanità intera, la sua grazia è offerta a tutti i figli di Adamo. Perciò la “buona notizia” dell’avvento di salvezza del Signore va proclamata davanti a tutti; la parola di speranza va seminata “in ogni occasione opportuna e non opportuna” (cf 2 Tm 4,29), come dice san Paolo senza troppo sottilizzare; il Vangelo va predicato a ogni creatura (cf Mc 16,15), secondo l’esplicito ordine del Signore.

Questo è il senso di ciò che è stato proposto alla nostra attenzione in questo giorno di festa. Il fulgore di una insolita stella attraversa i cieli e rompe l’oscurità che incombe sul mondo. Ai pochi pastori – convocati dall’angelo a rendere omaggio al discendente di Davide che nascendo avvera le attese messianiche d’Israele – succedono i chiassosi e pittoreschi cortei dei Magi, che giungono da paesi estranei e lontani: uno spettacolo che meraviglia e agita la città di Gerusalemme. L’evento, come si vede, diventa pubblico, interpella sacerdoti e teologi, suscita perfino l’interesse del re di Giudea.

Soprattutto si fa evidente così che il Salvatore nato a Betlemme (cf Lc 2,11) non è inviato soltanto ai figli di Abramo: poiché egli è l’unico necessario Salvatore di tutti, tutti i popoli, raffigurati dai misteriosi personaggi che vengono dall’Oriente, sono chiamati a riconoscerlo e ad adorarlo. Come canta un antico inno ecclesiale: “Portantes typum gentium, primi obtulerunt munera”; vale a dire: i primi che offrono doni al Signore del cielo e della terra, li offrono come figura, rappresentanza, anticipazione di tutte le genti.

L’Epifania ci regala dunque la piena intelligibilità del Natale di Cristo e ci dà la più autentica ragione della sua gioia: il Natale possiede una intrinseca incontenibile carica di letizia perché è la bellissima sorpresa di Dio, che finalmente decide di intervenire efficacemente nella nostra vicenda e di manifestarsi al mondo intero; e correlativamente è la vocazione del mondo intero ad accogliere la luce di Dio e ad entrare finalmente nel suo disegno.

Le letture che abbiamo ascoltato in questa liturgia intendono proprio farci riflettere su quanto s’è detto fin qui. Cristo – esse ci dicono – è l’attrazione consapevole o inconscia di tutti gli uomini, quale che sia la loro stirpe, la loro lingua, la loro cultura. Egli infatti, ed egli solo, è la risposta esauriente agli oscuri enigmi che turbano irrimediabilmente il cuore umano; e cioè gli enigmi circa l’origine e lo scopo dell’esistenza, il senso del dolore e della morte, l’incognita di un giudizio trascendente e temibile che pure sentiamo necessario a porre rimedio alle molte inevitabili ingiustizie di questa terra.

Nella prima lettura la venuta di Cristo è preannunciata come un fulgore salvifico che vince le tenebre del mondo e disperde “la fitta nebbia che avvolge le nazioni” (cf Is 60,2). Anzi, quasi profetizzando l’episodio della stella e dei Magi raccontato dal vangelo di Matteo e cogliendolo appunto nel suo significato universalistico, qui si dice: “I popoli cammineranno alla sua luce, i re allo splendore del suo sorgere” (cf Is 60,3).

Nella seconda lettura san Paolo ci confida quale sia stata la rivelazione che gli ha consentito di superare il suo dramma spirituale più acuto, quello della separazione degli ebrei dai non ebrei agli occhi dell’unico Creatore di tutti.

Nella manifestazione – nella “epifania” – dell’unico autentico piano pensato dal Padre per noi, ogni frattura scompare. Non c’è più contrapposizione, non c’è più differenza: tutti in Cristo Gesù “sono chiamati a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, a partecipare alla stessa promessa” (cf Ef 3,6).

La narrazione evangelica infine ci descrive l’iniziale realizzarsi di quanto era detto negli scritti di Isaia e la prima attuazione del disegno eterno: mossi da una forza arcana, guidati dal raggio di un astro misterioso, un gruppo di pagani va in cerca del Dio che si è avvicinato e ha preso la sua dimora tra noi. Andando quasi a tentoni nella notte, questi stupefacenti e mirabili pellegrini dell’Assoluto alla fine lo trovano.

E così essi dall’inquietudine e dal disagio interiore sono arrivati alla tranquilla allegrezza dello spirito: “Provarono una grandissima gioia” (cf Mt 2,10), ci ha detto il Vangelo. Senza dubbio una tormentosa insoddisfazione esistenziale li aveva spinti a lasciare la loro casa e la loro patria, e a mettersi in cammino tra l’incomprensione e lo sbalordimento generale; adesso, dopo aver visto “il bambino con Maria sua madre” e averlo adorato (cf Mt 2,11), fanno ritorno esultanti ai loro paesi (cf Mt 2,12).

La loro avventura – che è paradigmatica per ogni mente e ogni cuore – ci fa tornare alla memoria un famoso pensiero di Pascal, il quale distingue gli uomini in tre possibili categorie: “quelli che servono il Signore dopo che l’hanno trovato; quelli che, non avendolo ancora trovato, si impegnano almeno a cercarlo; quelli che vivono senza averlo trovato e senza nemmeno cercarlo”. “I primi – nota acutamente il grande pensatore francese – sono ragionevoli e felici; gli ultimi sono folli e infelici; quelli in mezzo non sono ancora felici, ma sono almeno ragionevoli” (Pensées, 364 <Edizione Pléiade>).

I Magi, primizia di tutte le razze e di tutte le culture, col loro singolare viaggio (che può essere considerato il primo pellegrinaggio giubilare) sono passati dalla terza alla prima di queste tre condizioni.

Nel giorno dedicato al loro ricordo, preghino essi il Signore per noi; e con il loro esempio e la loro intercessione aiutino tutti a ripetere nel corso di quest’Anno Santo la loro benedetta esperienza. Più ancora, ottengano dalla misericordia del Signore Gesù, il grande Festeggiato del Duemila, che nessun uomo si rassegni alla dissennata tristezza di chi non percepisce nemmeno più il vuoto e l’assurdità di una vita senza la nostalgia, il desiderio, l’appassionata ricerca di Dio.

06/01/2000
condividi su