solennità di Maria santissima madre di Dio 36° giornata mondiale della pace

Bologna, Cattedrale

Ancora una volta, su invito del Successore di Pietro, cominciamo l’anno nuovo nel nome della pace. In effetti, tra i molti auguri che in questi giorni fioriscono sulle nostre labbra, quello della pace appare il più necessario e il più urgente. La pace è anèlito davvero diffuso in questo tempo inquieto, è aspirazione universalmente condivisa da parte di un’umanità oggi insidiata da mille ricatti e mille violenze, ferita e terrorizzata dagli eccessi di un fanatismo inaudito, sconvolta da nuove e sempre rinascenti ferocie.

Non che la parola “pace” manchi nei discorsi degli uomini: al contrario, nei consessi più autorevoli e nelle nostre piazze è tra le più risonanti. Tutti nominano la pace, tutti l’auspicano, tutti verbalmente la difendono.
Stasera, di là da un tale multiloquio, mette conto di mettersi in ascolto per una volta di ciò che su questo argomento ci dice il Vangelo.
Nell’ultima cena, prima di andare a sacrificarsi per riconciliare i figli di Adamo con il loro Creatore e per radunarli tra loro nella concordia di una sola famiglia, il Signore Gesù ha detto agli apostoli e a tutti noi: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace.

Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv 14,27).
“Vi lascio la pace”. La pace – già annunziata dal cielo alla terra al momento della sua nascita a Betlemme – è perciò la sua eredità. “Non come la dà il mondo”. Il Signore non introduce a caso questa precisazione nel suo dire. Quella mondana non va dunque confusa con la pace di Cristo, anche se la proposta di pace del mondo non è sempre deplorevole e non è tutta da rifiutare: esige però da parte del cristiano un libero discernimento e una valutazione non condizionata dalle ideologie più conclamate né intimidita dal chiasso delle mode culturali.

Per esempio, da millenni il mondo politico ritiene che la pace non può che essere il risultato della forza esteriore.
C’è a questo riguardo un passo famoso di Tucidide, il grande storico greco, che così riferisce la esplicita dichiarazione inflitta dagli Ateniesi agli abitanti dell’isola di Melo che essi avevano militarmente soggiogato e acquietato: “Tra gli dei e tra gli uomini – dicevano senza tanti complimenti i vincitori ai vinti – è il più forte che per legge di natura deve esercitare il potere. Non siamo stati noi a stabilire questa legge e non siamo neppure i primi a utilizzarla. Noi l’abbiamo ricevuta e noi l’applichiamo; a nostra volta la lasceremo a quelli che verranno, poiché è una legge destinata a durare per sempre. Sappiamo bene del resto che anche voi, come ogni altro, fareste lo stesso se arrivaste ad avere la medesima nostra capacità di dominare” (Storie V,105).

Come si vede, viene enunciata qui con un realismo agghiacciante la “legge del più forte”, che da sempre imperversa nella vicenda umana. Questa legge, anche quando riesce a imporre con la costrizione qualche periodo di calma e di ordine, immette nella storia inesauribili germi di guerre future, perché suscita negli sconfitti la bramosìa di rivincita e l’ansia di riuscire a rispondere al più presto con la prepotenza alla prepotenza subìta.

Il cristiano, alla luce dell’insegnamento di Gesù, non si rassegna ad accettare che sia la forza a essere la fonte precipua dell’ordine e il sostegno della pace.
Giovanni XXIII, due mesi prima di morire, nell’enciclica Pacem in terris ha chiarito che cosa su questo tema si debba pensare secondo il Vangelo.

E Giovanni Paolo II, nel messaggio odierno che vuole appunto commemorare il quarantesimo anniversario di quel documento, ne ripropone la dottrina con nuovo vigore. In particolare ripete, riaffermandole, quali siano, secondo l’enciclica, le quattro condizioni fondamentali per annunziare rettamente e inverare nella storia la pace di Cristo: il rispetto della verità, la tensione verso la giustizia, l’amore fraterno che rifugge dai mezzi violenti, la libertà che esclude ogni soffocante imposizione.

“La verità – egli scrive – sarà fondamento della pace, se ogni individuo con onestà prenderà coscienza, oltre che dei propri diritti, anche dei propri doveri verso gli altri. La giustizia edificherà la pace, se ciascuno concretamente rispetterà i diritti altrui e si sforzerà di adempiere pienamente i propri doveri verso gli altri. L’ amore sarà fermento di pace, se la gente sentirà i bisogni degli altri come propri e condividerà con gli altri ciò che possiede, a cominciare dai valori dello spirito. La libertà infine alimenterà la pace e la farà fruttificare se, nella scelta dei mezzi per raggiungerla, gli individui seguiranno la ragione e si assumeranno con coraggio le responsabilità delle proprie azioni” (n. 3).

 

“Vi do la mia pace, non come la dà il mondo”. Il mondo offre una seconda strada alla pace che è del tutto opposta all’esaltazione della forza, ed è il “pacifismo”.
La riprovazione della “legge del più forte” ci trova assolutamente d’accordo coi pacifisti. E non è un caso che i movimenti pacifisti nascano di solito entro l’area della cultura cristiana. Ma anche il pacifismo esige di essere vagliato alla luce della verità evangelica e oggettivamente giudicato.

Non è per esempio affidabile come paladino di pace, chi nell’atto stesso che manifesta per la pace pronuncia parole violente, parole di odio, parole di incitamento ad aggredire, talvolta addirittura parole di morte. Non è affidabile come difensore dei diritti delle persone contro tutte le prepotenze, chi non esita a mettere a soqquadro e distruggere macchine, vetrine, arredi urbani, proprio nel momento che si presenta come il profeta di una società più equa e più fraterna.

Soprattutto non è affidabile come operatore di una pace che nasca dalla giustizia, se tra le varie aberrazioni sociali e le varie tirannie politiche attualmente esistenti introduce arbitrarie distinzioni, condannandone alcune e assolvendone almeno implicitamente altre, a seconda dei propri gusti, dei propri orientamenti ideologici, delle proprie affinità elettive.

 

Come si vede, la pace non ha vita facile in un mondo così alterato dall’egoismo, dalla menzogna, dal peccato. Ma il discepolo di Gesù resta sereno e non perde mai la speranza. “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore, perché io vi do la mia pace, anche se nel mondo una pace vera e un vero amore per la pace farete un po’ fatica a trovarli” (cfr. Gv 14,27), così ci dice il nostro Salvatore e Maestro.

Chi ama sul serio la pace di Cristo, chi tra mille ostacoli e mille opposizioni le rende testimonianza, chi nella preghiera chiede ogni giorno al Signore che la vera pace regni, costui non solo gode già di una realtà interiore splendida di grazia e pacificata, ma anche efficacemente contribuisce almeno un poco a rendere la terra più misericordiosa e più umana.

Anche se egli non farà notizia e non gli intitoleranno delle strade, per lui – quale che sia la sua appartenenza etnica e culturale – si avvererà il detto evangelico: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9).

01/03/2003
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