Pubblichiamo la Lettera dell’Arcivescovo ai presbiteri e ai diaconi dell’Arcidiocesi.
Bologna, Festa di tutti i Santi
Carissimo,
abbiamo vissuto giorni importanti per la nostra Chiesa, che certamente segneranno il cammino futuro. La Dedicazione della nostra Cattedrale, la fine del Cammino Sinodale e la nomina dei nuovi Vicari Generali e del Consiglio Episcopale sono una coincidenza provvidenziale che vorrei condividere con voi. Desidero, infatti, che anzitutto per me stesso e per tutti noi, rappresenti un‘occasione per un rinnovamento spirituale, per affrontare le sfide che abbiamo di fronte. Ringrazio di tutto cuore don Stefano Ottani, don Giovanni Silvagni e don Massimo Ruggiano per la dedizione con cui hanno servito le nostre comunità, per il consiglio che non mi hanno mai fatto mancare in questi anni. Niente va perduto e, se è vero che tutti noi raccogliamo dove altri hanno seminato, li ringrazio per la passione con cui hanno aiutato l’unico maestro e il vero seminatore che non smette di cercare con speranza la terra buona dove il seme può dare frutto.
Papa Leone l’altro giorno – lo ha ricordato don Erio nel suo intervento conclusivo del cammino sinodale – a chi gli chiedeva come può un processo ispirarci, aveva risposto: “Poche volte nella mia vita mi sono sentito ispirato da un processo. Mi sento ispirato dalle persone che vivono con entusiasmo. Credo che sia fondamentale in tutto questo che tutti noi viviamo un’autentica conversione e che scopriamo nel nostro cuore un’autentica spiritualità che inizia con l’ascolto della Parola di Dio. Quando vivremo con questo entusiasmo, con questa convinzione, vedremo che effettivamente molte più persone vorranno unirsi a noi ed essere costruttrici di pace e di comunione”. Incontro e entusiasmo. Conosco il malessere che tanti di noi portano nel cuore, che appesantisce il nostro servizio, che a volte nutre radici di amarezza o scetticismo, il senso di disincanto e a volte di malevolenza che non ci fa certo vivere la gioia di essere cristiani e preti oggi, in questo tempo difficile, ma anche tempo di speranza e pazienza.
A volte mi sembra che non siamo consapevoli della forza che abbiamo e che già viviamo. Il Giubileo ci ha riservato frutti sorprendenti, come il bellissimo Giubileo dei Giovani. Incontriamo tanta solitudine, la fragilità di persone ferite e che feriscono, segnate da tante domande che travolgono il delicatissimo equilibrio di sentimenti che trovano tante interpretazioni ma non amore e casa di amore e di pace. Viviamo un tempo angosciante di guerra, di violenza diffusa e del ritorno alla forza come unico modo per risolvere i conflitti o trovare un ordine nel caos. Avvertiamo un senso di disorientamento o di risposte inadeguate o tardive. Incontriamo tanti “senza tetto spirituali”, come ha detto qualcuno, che chiedono quindi case di preghiera, di silenzio, di mistero, sempre unito a tanta relazione e amicizia.
Il documento finale del Sinodo, lievito di fraternità, inventario di quello che è giunto dalla Diocesi e dalle comunità in questi anni, va esaminato stabilendo alcune priorità, peraltro molto diverse da quelle che sono finite sui giornali. Cercheremo risposte e orientamenti, anche molto concreti, ma sempre nella prospettiva missionaria, certo non di un ripiegamento o di discussioni interne. A riguardo vorrei riprendere un pensiero di papa Paolo VI: “L’ordine del cristianesimo non è statico. È un ordine di sviluppo, una promozione al meglio, un equilibrio nel movimento. Fondato sull’assoluto, sfrutta le contingenze della storia: è la sua prova di vitalità. Suscita il bisogno di rinnovamento spirituale nel cuore degli uomini; offre vie pacifiche al loro rinnovamento sociale. Il cristianesimo non è una religione puritana, astensionista, conservatrice, isolata dalle realtà che travagliano l’uomo. Esso è fatto per l’umanità. È la religione dell’umanità. È la luce del mondo, il fermento dello spirito, combattivo quando occorra. Ha il genio della riforma e del nuovo, ma anche quello della tradizione e della fedeltà”. Egli continuava: “Il mondo immagina le leggi ecclesiastiche come dei divieti, dei tabù, come degli ostacoli all’amore vero, la condanna della carne. La legge cristiana non è una legge che condanna o che limita la vita, ma una legge che rende la vita più abbondante e l’uomo veramente e più lungamente felice. È una legge d‘amore che accresce e preserva l’amore vero evitandogli delusioni e deviazioni” (Conversazioni con Jean Guitton).
Siamo in un momento di grande cambiamento della Chiesa. Verifichiamo in maniera fisica, concreta la fine della cristianità (che forse abbiamo tardato troppo a comprendere, cullandoci con aspettative per niente realistiche e evangeliche, affannati nella logiche delle cose da fare e senza trasformare le difficoltà in opportunità ) e quello che c’è chiesto è annunciare il Vangelo di Gesù, essere costruttori di comunità dando forma a queste sempre mettendo al centro la Parola sine glossa, spezzando il Pane Eucaristico, ricostruendo legami che la solitudine, l’esaltazione dell’io e il mondo digitale rendono così esili. La fine della cristianità ci restituisce l‘annuncio di Cristo e forse ci aiuta ad essere più poveramente noi stessi ma sempre con fermezza e responsabilità, aiutando la paternità e diventando noi padri, facendo crescere la fraternità tra noi, per svelare a tanti che quel Dio ignoto che cercano ha sempre un nome, Gesù Cristo, il nome che dà senso e bellezza a tutti e a tutto.
Nell’assemblea conclusiva del Cammino Sinodale ho detto: “Mi sembra che questi anni ci hanno protetto dai rischi indicati da papa Francesco del formalismo, curare la facciata senza cercare la sostanza, di strumenti e strutture, dell’intellettualismo, “parlarci addosso” superficiale e mondano, dell’immobilismo, che non prende sul serio il tempo che abitiamo. Solo la nostra fede nel Cristo Gesù, morto e risorto per noi e la missione per una messa che è abbondante, la spinta che nasce dalla commozione evangelica di Gesù per la folla stanca e sfinita, ci ha ispirato e orientato sin dai primi passi, nel 2021. Se dimentichiamo questo facilmente ci riduciamo alle polarizzazioni di sempre, a volte stupefacenti per la presunzione e la supponenza delle proprie convinzioni.
Il dialogo non è complicare le cose semplici e l’ascolto non è omologarci al pensiero mondano, ma vivere quello che con tanta profondità ci ha indicato Papa Leone: “la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero” e per questo ha suggerito “che il cammino delle Chiese in Italia includa, in coerente simbiosi con la centralità di Gesù, la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale. Senza una riflessione viva sull’umano – nella sua corporeità, nella sua vulnerabilità, nella sua sete d’infinito e capacità di legame – l’etica si riduce a codice e la fede rischia di diventare disincarnata”. Per questo raccomandava “di coltivare la cultura del dialogo. È bello che tutte le realtà ecclesiali – parrocchie, associazioni e movimenti – siano spazi di ascolto intergenerazionale, di confronto con mondi diversi, di cura delle parole e delle relazioni. Perché solo dove c’è ascolto può nascere comunione, e solo dove c’è comunione la verità diventa credibile”. Credibili e più credenti. Certo: se pensiamo come il fratello maggiore che il padre sta svendendo tutto e non abbiamo interesse ad accogliere qualcuno che sentiamo ormai come estraneo – dimenticando che è nostro suo fratello – finiamo per accusare il padre di poca giustizia e verità”.
Infine vorrei però condividere la mia gioia per questa nostra casa. Ho compiuto da poco settanta anni e, se il Signore vorrà, camminerò come Vescovo per il terzo e ultimo lustro. Questa consapevolezza non mi angoscia, mi spinge però ad un esame di coscienza e alla determinazione di concludere alcuni dei percorsi che ci hanno guidato e dare compiutezza anche formale al rinnovamento delle nostre comunità.
Sento che, nonostante tutti i nostri limiti, la Chiesa è una casa libera da interessi individuali che non smette di interrogarsi sul vero interesse di ciascuno, degli uomini di ogni terra e di ogni tempo. È una casa piena di Dio e per questo piena di noi e accogliente per tutti, per aiutare tanti a vedere Gesù, a spezzare il pane del cammino. È la bellezza di questa casa che chiama con tenerezza e forza ciascuno di noi a prendere sul serio la sua vocazione, a farsi carico della missione, a non diventare tiepido, a trovare l’amore dell’inizio, a liberarsi dallo spirito di paura e di timidezza. Se al centro c’è Lui questa nostra casa, (mia e nostra nell’unico possesso che è quello dell’amore e del servizio) sperimentiamo nonostante le difficoltà l’incontro sempre nuovo e creativo con il fuoco dello Spirito che rende tutti missionari e che lega tra noi nella comunione. Guai a sottrarsi da questa, a ridurlo a piccola convenienza: indebolisce questa casa che Gesù libera dal mercato dell’interesse dei ruoli, della considerazione personale, dell’esibizione di sé, del protagonismo per cui valgono solo le cose e le idee che vengono da me o che mi riguardano.
Lasciamo liberare anche la casa del nostro cuore dalla tristezza e dall’orgoglio, per riconoscere i tanti segni di amore che già viviamo, non perché abbiamo tutte le risposte, ma abbiamo la risposta. È una casa di solo servizio perché casa di preghiera, cioè di ascolto e di intimità con la Parola di Dio e quindi piena del gemito del mondo che soffre e geme e che ci rende vicini e attenti alle attese più nascoste e profonde delle persone, capaci di capirle non con la freddezza di un tecnico, ma con la tenerezza e la comprensione di una madre che ascolta e mette in pratica la parola.
Per questa casa dedichiamo la nostra vita e con gioia riconosciamo che Dio si dedica a noi, per comunicare a tanti la sua presenza in questa terra, perché tanti possano dire: “Eccomi”, facendoci carico di responsabilità concrete e condivise e non per cercare ognuno il proprio interesse ma tutti l’unico interesse di Dio, che poi è quello di ciascuno. Così questa casa sarà piena di quella semplicità e passione che permette di decidere nella fraternità, senza affaticarsi nella burocrazia, senza delegare ai suoi pastori la fatica e la responsabilità, senza appropriarsi di qualche pezzo, parlando con franchezza e mitezza a tutti, non come una azienda che rende conto ai suoi azionisti, ma come una comunità che gratuitamente restituisce e spende con cura e dedizione quanto ha ricevuto. Ecco la bellezza di questa casa che ci è affidata, che splende anche nelle ombre e nei limiti della nostra vita, da custodire con zelo, non offendere con l’assenza, con il giudizio, con l’imporsi di sé o facendo mancare il dono che ognuno rappresenta.
Vi ringrazio di cuore per quello che fate. Il rinnovo dei Vicari Generali e del Consiglio Episcopale sia occasione per una maggiore comunione tra noi. È la nostra forza. Nessuno se ne escluda. Se ci sono problemi parliamone, sempre con tanta carità e franchezza evangelica tra di noi. Circondiamo questi nostri fratelli che iniziano il loro servizio di attenzione, vicinanza, passione evangelica e soprattutto preghiera, in una matura collaborazione capace di affrontare e risolvere i problemi. Se viviamo la comunione e saremo fedeli nella preghiera, troveremo i modi per aiutare e rafforzare la nostra Chiesa.
Per me continuano le Visite pastorali, che sono un’occasione unica di incontrare voi e le vostre comunità, per sperimentare la gioia di essere cristiani e Vescovo di questa bellissima Chiesa di Bologna. Se posso esprimere un desiderio: che almeno una volta l’anno possiamo incontrarci con ciascuno di voi, non per risolvere qualche problema (per questo venite quando volete), ma solo per sperimentare la gioia della comunione. Non nascondo che alcune assenze mi addolorano. Chiedo perdono, ovviamente, se qualcuno si sente ferito da miei atteggiamenti o parole, ma sono sicuro che la comunione è più forte di qualsiasi incomprensione e sa sempre ricreare l’indispensabile amore tra i fratelli, pur con i limiti delle nostre persone, per andare lietamente nella grande messe di questo mondo così sofferente, agitato, violento, impaurito.
Il Giubileo ci riempia di speranza, perché questa non ci delude. I tanti nostri santi, compresi i confratelli che in questi dieci anni ci hanno lasciato e che porto con me nella preghiera, ci aiutino a comunicare santità, ci ispirino con la loro passione per la Chiesa, suscitino nuovo desiderio di metterci a servizio e chiamino tanti nel servizio presbiterale e diaconale. Non cambiamo la Chiesa senza i preti e anche per questo noi per primi cambiamo per un ministero capace di presiedere nella Comunione, discernere i collaboratori e attrarre tanti nella gioia di essere santi.
Tutti i santi della Chiesa bolognese ci aiutino.
Matteo M. Card. Zuppi,
Arcivescovo di Bologna

