Reno Centese

25 anni dalla canonizzazione di Elia Facchini

Il cardinale ha ricordato la difficile situazione della Chiesa in Cina

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 Il cardinale Zuppi ha ricordato con una concelebrazione, il martire Sant’Elia Facchini, a 25 anni dalla canonizzazione..

La cerimonia religiosa si è svolta a Reno Centese,

Fu un atto fortemente voluto da san Giovanni Paolo II, circondato purtroppo da amari malintesi con il governo cinese. Il rito fu celebrato il 1 ottobre, giorno della festa nazionale cinese. Il papa intendeva aprire quel mese di ottobre del Grande Giubileo, per di più nel ricordo di Santa Teresina patrona delle missioni, onorando la nobiltà e la forza interiore di persone, 87 cinesi (tra i quali ragazzi e ragazze molto giovani) e 33 missionari stranieri, tra quali il nostro Elia, le cui vicende storiche non avevano nulla a che spartire con l’attuale forma di governo del paese.

«La memoria della sua canonizzazione – ha detto don Marco Ceccarelli, parroco di Reno Centese – ci parla in maniera chiara e ci dice che, al di là del martirio, la santità è a portata di tutti, qualunque siano il contesto o la persona. La santità, in Elia, ci ripete che basta dire “SÌ” a quell’amore di Dio che dal Vangelo bussa alla porta della nostra vita: noi mettiamo quello che possiamo, il Signore lo trasforma in ciò che serve».

«Una luce non si mette sotto il moggio – ha detto il Cardinale, all’omelia – perché la luce serve a illuminare, non a essere nascosta». «Incontrare Gesù o non incontrarlo non è la stessa cosa. Chi lo incontra, ama. E chi ama, crea relazioni. E chi crea relazioni, non vive solo di ossessioni».

Il Cardinale ha ricordato con commozione la difficile situazione della Chiesa in Cina dove, nonostante le difficoltà, tanti cristiani continuano a vivere il Vangelo con fedeltà e coraggio. Ha poi concluso ricordando le parole di san Giovanni Paolo II, pronunciate 25 anni fa, al momento della canonizzazione di sant’Elia: «con questa solenne proclamazione di santità, la Chiesa intende riconoscere che quei Martiri sono un esempio di coraggio e di coerenza per tutti noi e fanno onore al nobile popolo cinese». Ricordando la presenza dei missionari, tra i quali sant’Elia, il papa ricordò come lasciando la loro terra, cercarono di introdursi nella realtà cinese, assumendone con amore le caratteristiche, nel desiderio di annunciare Cristo e di servire quel popolo. Le loro tombe sono là, quasi a significare la loro definitiva appartenenza alla Cina, che essi, pur con i loro limiti umani, hanno sinceramente amato, spendendo per essa le loro energie».

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