Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5)

CARDINALE MATTEO MARIA ZUPPI Arcivescovo di Bologna
Nota Pastorale anno 2025-2026

Sua madre disse ai servitori: 

«Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5)

 

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I – Ripartiamo dalle Nozze di Cana

  1. Gesù, con la madre e in suoi discepoli partecipano ad una festa di matrimonio. È uno dei tanti invitati. Quasi certamente gli sposi erano persone conosciute e Gesù condivide con loro quel momento di gioia. Ci va con i suoi primi amici. Ormai ha iniziato a vivere con quel piccolo gruppo di discepoli: è la sua famiglia. Anche Maria è alla festa. Questa scena evangelica che l’evangelista Giovanni pone all’inizio del ministero stesso di Gesù, vorrei che aprisse anche questa Nota pastorale. È nella concretezza della nostra vita – in questo caso una festa di nozze – che Gesù manifesta la sua gloria.
  2. Il miracolo del vino buono inizia con Maria. Ella è lì, invitata, ma è presente come una madre premurosa. Possiamo vedere in lei la Chiesa, che è una madre buona che sa amare con un amore premuroso, attenta più che a se stessa a quegli sposi, perché tutto vada bene. Sono come suoi figli. Sta nascendo un problema. Lei se ne accorge e subito si reca dal Figlio. Per lei “figli” non sono ancora tutti. Certo lo sono anzitutto Gesù e poi quelli che il Signore le indicherà, come Giovanni, il discepolo che Gesù amava e che affidò a lei e alle sue cure.
  3. Ma suoi figli sono tutti. Tutti coloro che il Signore incontra e ama, che lo diventano perché oggetto del suo amore, della sua attenzione che è senza confini, etichette, categorie: tutti. Sua è la folla, senza distinzioni o filtri previ, diretti o indiretti. La folla, così com’è e soprattutto come Gesù la sa vedere, riconoscendo che è stanca e affaticata perché come pecore senza pastore, che rischia di restare senza nutrimento perché il luogo è deserto o rischia di non farcela lungo il cammino. L’amore previene le difficoltà. Nei Vangeli, la folla appare come la compagnia abituale di Gesù e dei discepoli ed è proprio contemplando la folla che Gesù prova compassione e questa spiega la nostra chiamata. Guardare con gli occhi di Gesù ci fa trovare e ritrovare il senso della nostra vocazione. Non dimentichiamo che Gesù non giudica e non condanna con fastidio perché sono “senza pastore”, non cerca la verità della loro condizione come i farisei che giudicano, ma non hanno “compassione”, cioè non amano. Lui è la verità e il suo amore è la verità, la sua relazione con la folla, la scelta di non guardare, ma “fare”, amare, riunire.
  4. La compassione richiede preghiera, ascolto, ma anche studio per capire i segni dei tempi e poterli rendere segni di speranza. Senza la compassione per il mondo (quello che Papa Francesco descrisse come un ospedale da campo e che non lo vede così chi guarda tenendosi a distanza o pensando semplicemente che sono dati e che non lo riguardano, senza vivere come proprie le sofferenze del prossimo[1]), non capiamo perché andare verso gli altri, spesso finiamo per maturare fastidio o paura. È facile farne un privilegio oppure un lavoro e non un servizio, dimenticando i sentimenti di Gesù. Siamo chiamati e mandati alla numerosissima messe con pochi lavoratori che aiutano Gesù. La messe è tanta, come tanti sono coloro che soffrono, che hanno bisogno di visite, di pane materiale e spirituale (Gesù si occupa di tutti e due!), di guarigione, insomma di qualcuno che si prenda cura, che si faccia carico e semini il Vangelo di amore senza misure, numeri chiusi, senza scegliere o escludere previamente le persone.
  5. C’è Maria, anzitutto. Potremmo dire la Chiesa. Sì, la Chiesa che è una madre buona e compassionevole. Lei si accorge del problema e si reca da Figlio per intercedere. Lo fa in maniera gratuita. Nessuno le aveva chiesto niente. È lei che capisce ed è lei che avanza la richiesta. Se n’è accorta perché ama, perché ha interesse per quei giovani sposi. Prega il Figlio. La preghiera è chiedere non perché sappiamo la risposta, ma perché sappiamo che Gesù troverà la risposta, anche quando noi non la comprendiamo o addirittura ci sembra impossibile. Niente è impossibile a Dio e anche, per questo, niente è impossibile a chi crede. Maria non si lamenta, non accusa nessuno, non cerca la verità attribuendo le responsabilità, perché la verità è Gesù stesso. Manca il vino e bisogna trovarlo, semplicemente questo. Non può accettare che quei figli non abbiano gioia, non si rassegna e non aspetta.
  6. Parla a Gesù, ma coinvolge subito anche i servi. Maria vuole aiutare Gesù e intuisce che ha bisogno di servi. Lo fa nel presente, come nel presente aveva parlato l’Angelo. La rassegnazione rimanda, pensa di avere sempre tempo. La compassione chiede l’oggi, ha fretta, urge come la carità. Maria non osserva e resta in silenzio a pensare male, con malcelata soddisfazione di vedere gli sbagli degli altri per sentirsi migliori. “Non ti chiedere chi sei, ma per chi sei”, ripeteva spesso Papa Francesco[2]! Preoccupati di quello che manca agli altri e tutti troveremo tutto, cioè la gioia che non finisce! Siamo fatti per la gioia e possiamo verificare che proprio questa è la volontà di Dio.
  7. Maria, come la Chiesa, invita i suoi figli ad ascoltare Gesù, ossia a essere come quei servi che ascoltano ed obbediscono a Gesù. Sì, la comunità cristiana è la “serva” della Parola di Gesù. Non siamo infatti un gruppo di autoaiuto, un consultorio che prende in esame le nostre richieste e gira intorno a noi, non siamo degli eletti che guardano da lontano e giudicano come i farisei, ma siamo la famiglia dei figli e quindi fratelli. E ci dovremmo aiutare più di chiunque altro, perché fratelli. È proprio questa dimensione di fraternità e di amicizia, di volersi bene che dà concretezza alla Parola, che ci aiuta a ascoltarla e viverla. La Parola suscita sempre la comunità e non c’è comunità senza mettere al centro Gesù e la sua Parola. Quando questo avviene la capiamo, ne sentiamo la forza, sentiamo la nostra vita amata, guardiamo con amore il mondo intorno, si accendono i colori e l’amore rende tutto un dono, come per san Francesco che cantò, quando era cieco e poco prima della sua morte, la bellezza del creato e delle creature, la lode al Signore e ai suoi doni, che sente suoi proprio perché non li possiede e che diventano nostri se amiamo.
  8. I credenti sono come quei “servi” che “fanno” ciò che il Maestro dice loro: lo ascoltano e mettono in pratica la sua Parola. La fanno entrare nella concretezza della vita personale e nella storia. Solo così la Parola non viene ridotta a un codice o a qualcosa di ineffabile, un auspicio generico, diffuso, emozionale, quindi non esigente, rassicurante, che non si umilia nella concretezza della vita e quindi resta sempre attraente per questo. Maria è stata la prima a dire: “Avvenga a me secondo la tua parola” (Lc 1,38), a “fare” secondo quanto ha ascoltato, rendendo carne la Parola, rivestendo il Verbo della sua umanità, diventando così l’Arca dell’alleanza. La Parola la capiamo solo se la accogliamo nella terra del nostro cuore, perché è questa la terra buona che può dare il suo frutto. Ecco perché la fede viene dall’ascolto!
  9. Mettere in pratica non vuol dire perciò non sbagliare mai, bensì cercare di fare quello che ci dice, con la passione dell’amore da cui proviene e nel quale ci vuole coinvolgere. Uniamo la Parola di Gesù alla nostra vita concreta, all’oggi della nostra storia, altrimenti diventa una legge, un’interpretazione, una esortazione, mentre è un incontro di amore che produce amore. La Parola è compassione che scioglie tanti dubbi e resistenze del cuore e ci aiuta a provare sentimenti di attenzione verso coloro che incontriamo, a vederli, a capirli perché li guardiamo con amabilità, benevolenza e simpatia. Maria, la comunità, non sente nessuno estraneo e rende tutti figli e fratelli, perché coinvolge Gesù, la nostra verità, il maestro per cui vale la pena fare sempre quello che ci dirà.
  10. La Chiesa, come Maria, si fida della Parola di Gesù. Sa che non delude e ci chiede di ascoltarla, di “fare” la Parola, ossia di ascoltarla anzitutto, di farla parlare, non di parlarci sopra; di farci interrogare da essa, di farla penetrare nell’interiorità, nel profondo del cuore; non facendole dire quello che vogliamo noi ma ascoltando quella che vuole lei; non pensandola per gli altri, ma anzitutto per me e per noi; farla scendere nel cuore perché diventi vita, cioè scelte, comportamenti, pratiche. La Chiesa ha bisogno di noi, di tutti noi e in tutte le stagioni della nostra vita. Appunto, come Maria che si è rivolta ai servi per dare gioia a quelle festa, per dare il vino buono per tutti. Forse, come quei servi, anche noi non riconosciamo subito Gesù e la forza della sua Parola, ma lo capirono obbedendo e vedendone i frutti. Imitiamo quei servi a Cana.
  11. A Cana avviene il primo dei miracoli. Era una cittadina insignificante, ma fu l’inizio di un mondo nuovo. Così Gesù “manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11). Nessun luogo è troppo piccolo o periferico per non compiere le cose grandi di chi ascolta e mette in pratica la Parola. Mettiamoci a servizio della Parola e Gesù trasformerà la vita nostra e degli altri, rendendola piena, bella, senza fine.  Ecco cosa ci è chiesto. “Qualsiasi cosa vi dica, fatela!” (Gv 2,5). L’ascolto della Parola richiede l’obbedienza, ossia prendere sul serio quel che abbiamo ascoltato e metterlo in pratica, alla lettera, anche se non capiamo bene, perché lo capiremo domani. Attraverso di noi tanti potranno vedere i frutti della Parola, assaggiare il vino più buono
  12. I servi all’inizio fecero qualcosa che probabilmente appariva inutile e magari pensarono che fosse una fatica inutile. Che senso aveva portare una quantità di acqua spropositata in quelle sette giare quando invece serviva il vino?Ma obbedirono. Quante volte noi tiriamo al risparmio! Quante discussioni inutili che ci impediscono di rispondere alla domanda più vera di quelle persone e di ogni persona! Le folle di questo mondo hanno bisogno di quel vino buono che porta gioia e pienezza, che è far sentire di essere infinitamente amati da Dio. È questo il vino buono in un mondo materialista, senza cuore, stordito di emozioni ma senza sentimenti, pieno di contatti ma privo e spaventato di legami veri, di persone sole anche se connesse continuamente, individualista ma che non trova l’io perché non lo unisce al prossimo.
  13. Vogliamo aiutare la Chiesa nel servizio della pacee della gioia che oggi mancano così tanto? Vogliamo tessere amicizia con tutti, invece di restare distanti, tiepidi, diffidenti o a volte apertamente ostili? Noi non possiamo esserlo! Diventiamo amici, costruttori di fraternità e impariamo da Gesù a volerci bene facendo come Lui ci chiede e aiutandoci assieme a fare quello che ci chiede. La Chiesa è una comunità di servi che si sostengono a vicenda. Come Maria, lasciamo che “avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Non dimentichiamo mai che Gesù si è fatto Lui nostro servo.
  14. Ascoltiamo la santa madre Chiesa che, accortasi di quello che manca agli altri, ci chiede non di lamentarci di quello che manca a noi, ma di provvedere alla felicità di tutti. La Chiesa, come Maria, è madre e a noi è chiesto di rispettarla, di amarla e di aiutarla con tutto noi stessi, con le nostre capacità e con il nostro servizio, senza compromessi e convenienze, gratuitamente come è l’amore, perché la Parola di Dio sia comunicata e porti frutti abbondanti. Solo se abbiamo la Chiesa per Madre riconosceremo Dio come Padre. Non offendiamo mai la nostra Madre Chiesa! Aiutiamola a comunicare il Vangelo a tutti perché il vino buono dell’amore possa rendere la vita di tutti più fraterna e festosa e vedremo anche noi la gloria di Dio, tutta umana e tutta del cielo. I primi quattro discepoli già stavano con Lui, avevano iniziato a seguirlo, eppure credettero, vedendo a Cana la fine che diventa un nuovo inizio, la tristezza e la rassegnazione trasformate in gioia e speranza. La sua “gloria” si manifesta – e quindi la possiamo vedere – nella gioia che libera dalla tristezza, nell’amore non per qualche privilegiato ma per tutti, nel matrimonio vero che si celebrava a Cana, quello tra Dio e la nostra umanità, cioè il desiderio, così pieno di limiti, di essere felici.
  15. Una solitudine sconfitta? È gloria di Dio! Fratelli e sorelle che stanno insieme? È gloria di Dio! In una visita che libera dalla solitudine e dall’isolamento della malattia o di una condizione di fragilità, dal senso fatalista e distruttivo della fine, è sempre gloria di Dio, la stessa che vedremo pienamente nella casa del cielo. Nella compagnia ad un anziano che ha fame di amore e sete di amicizia, nell’accogliere uno straniero che smette di esserlo dal momento in cui lo adotti, gli dai fiducia e scopri che cerca solo qualcuno che si prende cura di lui, quando con il tuo amore qualcuno gusterà la presenza di Gesù che trasforma con il suo la nostra vita ecco lì giungerà l’ora di Gesù, potremo riconoscere la sua gloria nell’amore che trasforma la vita e la rende piena.
  16. Oggi manca tanto amore; manca rispetto; manca la protezione della vita; manca compagnia vera e fedele; manca futuro e la passione per cercarlo; manca la pace nei cuori, tra le persone, tra le nazioni; c’è troppa aggressività nella bocca, nei cuori, nelle menti e nelle mani. Pensiamo ad esempio alla solitudine, che non è solo l’isolamento atroce e inaccettabile di tanti anziani, sempre di più diffuso e accettato, ma anche quando una persona si chiude, non sa più parlare amichevolmente, non ascolta, coltiva dipendenze e fissazioni.
  17. Tutto può cambiare e può essere trasformato dalla forza della Parola, se la ascoltiamo e la “facciamo”, cioè le diamo il nostro corpo e la nostra storia. La gloria del Signore, cioè la forza del suo amore, il suo splendore, la sua bellezza, la sua pienezza, non si pesano, non si misurano, perché sono uno spirito profondo. La gloria è una luce che rende tutto luminoso, come quando l’amore raggiunge qualcuno e cambia la sua vita. C’è tanto bisogno di fare incontrare questa presenza, per rispondere alla domanda di tanti, che in modi diversi chiedono. “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21). Papa Francesco, cui va il nostro ringraziamento per il suo servizio alla Chiesa, ha avvicinato tanti alle sue parole e quindi alla Parola dalla quale nascevano. Questa attesa, questi legami, questa ricerca chiedono di trovare cristiani attenti e sensibili e comunità accoglienti. È un tesoro che non dobbiamo disperdere, perdendo la passione per l’incontro, la libertà di ascoltare e parlare, raffreddandoci nella mediocrità, pensando di avere problemi tali da non potere fare nulla. La Beata Vergine di San Luca, Madre della speranza e Stella del mattino, ci aiuti e ci protegga per essere comunità e comunità accoglienti e piene di amore.

 

II – Nuove tappe del nostro cammino

Le tre “P”: Parola, Pane, Poveri

  1. Quando Papa Francesco venne a Bologna per incontrare la nostra Chiesa e le nostre città e per celebrare con noi proprio la prima Domenica della Parola, ci indicò un programma che vorrei fosse il nostro per i prossimi tre anni: Parola, Pane, Poveri. “Vorrei lasciarvi, a conclusione di questa giornata, tre punti di riferimento, tre “P”. La prima è la Parola, che è la bussola per camminare umili, per non perdere la strada di Dio e cadere nella mondanità. La seconda è il Pane, il Pane eucaristico, perché dall’Eucaristia tutto comincia. È nell’Eucaristia che si incontra la Chiesa: non nelle chiacchiere e nelle cronache, ma qui, nel Corpo di Cristo condiviso da gente peccatrice e bisognosa, che però si sente amata e allora desidera amare. Da qui si parte e ci si ritrova ogni volta, questo è l’inizio irrinunciabile del nostro essere Chiesa. Lo proclama “ad alta voce” il Congresso Eucaristico: la Chiesa si raduna così, nasce e vive attorno all’Eucaristia, con Gesù presente e vivo da adorare, ricevere e donare ogni giorno. Infine, la terza P: i poveri. Ancora oggi purtroppo tante persone mancano del necessario. Ma ci sono anche tanti poveri di affetto, persone sole, e poveri di Dio. In tutti loro troviamo Gesù, perché Gesù nel mondo ha seguito la via della povertà, dell’annientamento, come dice san Paolo: «Gesù svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,7) Dall’Eucaristia ai poveri, andiamo a incontrare Gesù. Abbiamo presente la scritta che il Card. Lercaro amava vedere incisa sull’altare: «Se condividiamo il pane del cielo, come non condivideremo quello terrestre?». Ci farà bene ricordarlo sempre. La Parola, il Pane, i poveri: chiediamo la grazia di non dimenticare mai questi alimenti-base, che sostengono il nostro cammino.

 

Il Decimo Congresso Eucaristico Diocesano

  1. Nel 2027 celebreremo i cento anni dal primo Congresso Eucaristico: sappiamo quanto ha segnato il cammino della nostra Chiesa e delle nostre comunità, tanto che le Decennali rappresentano uno dei momenti più sentiti e formativi, celebrativi e occasione di scelte e di rinnovamento. Le tre P sono intimamente connesse l’una all’altra e generano la comunità cristiana. Una ha bisogna dell’altra e la sostiene. Ricomprendere questa unità intorno alla quale vivono le nostre comunità aiuta noi tutti a vivere il periodo di trasformazione della nostra Chiesa nella prospettiva missionaria, indicata da Papa Francesco e che Papa Leone ha fatto sua. Nel suo primo discorso ai cardinali ha chiesto di rinnovare “la nostra piena adesione, in tale cammino, alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II. Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, di cui voglio sottolineare alcune istanze fondamentali: il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio (cfr n. 11); la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana (cfr n. 9); la crescita nella collegialità e nella sinodalità (cfr n. 33); l’attenzione al sensus fidei (cfr nn. 119-120), specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare (cfr n. 123); la cura amorevole degli ultimi, degli scartati (cfr n. 53); il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà (cfr n. 84; GS, 1-2)”. Si tratta di principi del Vangelo che da sempre animano e ispirano la vita e l’opera della Famiglia di Dio, di valori attraverso i quali il volto misericordioso del Padre si è rivelato e continua a rivelarsi nel Figlio fatto uomo, speranza ultima di chiunque cerchi con animo sincero la verità, la giustizia, la pace e la fraternità (cfr Benedetto XVI, Spe salvi, 2; Francesco, Spes non confundit, 3)”[3].

 

Papa Leone XIV

  1. Papa Leone ha concluso quel discorso riprendendo le parole di San Paolo VI quando nel 1963 iniziò il suo Ministero petrino: «Passi su tutto il mondo come una grande fiamma di fede e di amore che accenda tutti gli uomini di buona volontà, ne rischiari le vie della collaborazione reciproca, e attiri sull’umanità, ancora e sempre, l’abbondanza delle divine compiacenze, la forza stessa di Dio, senza l’aiuto del Quale, nulla è valido, nulla è santo». Come non accompagnare Papa Leone in questa grande visione, che è la prospettiva indispensabile per affrontare con speranza e responsabilità le sfide che la Chiesa tutta e ogni nostra comunità si trovano davanti? E non dimentichiamo che la scelta stessa del nome Leone è per aiutarci a comprendere i cambiamenti che stiamo vivendo, segno dei tempi da trasformare in segni di speranza, quelli conseguenti alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale, che “comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”[4].
  2. Ce lo ha ricordato proprio Papa Leone nel suo discorso alla Chiesa italiana: “L’intelligenza artificiale, le biotecnologie, l’economia dei dati e i social media stanno trasformando profondamente la nostra percezione e la nostra esperienza della vita. In questo scenario, la dignità dell’umano rischia di venire appiattita o dimenticata, sostituita da funzioni, automatismi, simulazioni. Ma la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero”[5]. Proprio per questo ci ha chiesto di includere “la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale”, cioè comprendere le situazioni concrete delle persone nella loro corporeità e vulnerabilità, nella condizione reale in cui vivono, nella sete d’infinito e capacità di legame, nelle relazioni indispensabili da cercare con tutti perché altrimenti “l’etica si riduce a codice e la fede rischia di diventare disincarnata”.
  3. Papa Leone ha chiesto di coltivare la cultura del dialogo, di ascolto, di confronto con mondi diversi, di cura delle parole e delle relazioni. “Perché solo dove c’è ascolto può nascere comunione, e solo dove c’è comunione la verità diventa credibile”. Intorno alla Parola nasce e rinasce sempre la Comunità cristiana ed è proprio il confronto con la Parola di Dio che permette di essere luoghi di incontro e di dialogo.  Nell’incontro con i Vescovi della CEI Papa Leone ha come aggiunto una quarta P che, per l’urgenza della situazione drammatica che stiamo vivendo, per l’invito esplicito rivoltoci dal Papa, desidero proporre nel nostro cammino di questo anno. Si tratta della Pace. E la parola di Gesù è Pace, come quella che annuncia ai discepoli turbati dalla forza del male e dall’evidenza della croce, terribile e definitiva. “Pace a voi”, sono state anche le prima parole di papa Leone, chiedendo una pace disramata e disarmante, come quella che ci dona e ci chiede Gesù. Solo con un cuore mite, libero dal male, possiamo aiutare il nostro fratello a disramare il suo.

 

La pace sia con voi

  1. La relazione con Cristo ci chiama a sviluppare un’attenzione pastorale sul tema della pace. Il Signore, infatti, ci invia al mondo a portare il suo stesso dono: “La pace sia con voi!”, e a diventarne artigiani nei luoghi della vita quotidiana. Penso alle parrocchie, ai quartieri, alle aree interne del Paese, alle periferie urbane ed esistenziali. Lì dove le relazioni umane e sociali si fanno difficili e il conflitto prende forma, magari in modo sottile, deve farsi visibile una Chiesa capace di riconciliazione. L’apostolo Paolo ci esorta così: «Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm12,18); è un invito che affida a ciascuno una porzione concreta di responsabilità. Auspico, allora, che ogni Diocesi possa promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro. Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa.
  2. Pensando alle situazioni di violenza suggerisco incontri di preghiera per la pace sulle situazioni che si presentano, certamente di aderire a quelle proposte dal Santo Padre o dalla CEI. Circa la non violenza suggerisco incontri con testimoni di pace o di perdono: tutto ciò affranca dal male, disarma la vendetta, ripara le relazioni, disinquina i cuori e le mani dall’istinto di Caino. Quante storie di ordinaria santità indicano la forza evangelica e umana che hanno cuori disarmati e più forti del male!

 

Un cammino nel deserto

  1. Le difficoltà che ci troviamo ad affrontare non ci debbono spaventare. La desertificazione spirituale, le relazioni superficiali ed emozionali, spesso virtuali e così poco personali, la solitudine che segna la condizione dei più fragili sono le sfide, ma anche le opportunità per ricostruire legami pieni di significato, di vita, di attenzione. “Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità”[6]. E uno dei motivi che il Giubileo indicava era la tentazione di volere tutto e subito, in un mondo dove la fretta è diventata una costante. “Non si ha più il tempo per incontrarsi e spesso anche nelle famiglie diventa difficile trovarsi insieme e parlare con calma. La pazienza è stata messa in fuga dalla fretta, recando un grave danno alle persone. Subentrano infatti l’insofferenza, il nervosismo, a volte la violenza gratuita, che generano insoddisfazione e chiusura. Nell’epoca di internet, inoltre, dove lo spazio e il tempo sono soppiantati dal “qui ed ora”, la pazienza non è di casa”[7].
  2. Il giubileo della Speranza ci ha richiamato a guardare con fiducia il nostro futuro, non perché inconsapevoli ma riscoprendo la vera forza della nostra vita. E ci ha aiutato anche a vivere con pazienza, come dei seminatori di amore che con la loro vita, le loro parole, la generosità, il servizio disinquinano l’aria e gettano nei cuori semi che certamente daranno frutti. Anche se noi non li vediamo non vuol dire che non cin sono e non ci saranno! La scristianizzazione ci sfida a essere più evangelici e a donare la verità che è Cristo con rinnovato slancio e con un significato umano ancora più profondo. “È una grande opportunità guardate al domani con serenità e non abbiate timore di scelte coraggiose! Nessuno potrà impedirvi di stare vicino alla gente, di condividere la vita, di camminare con gli ultimi, di servire i poveri. Nessuno potrà impedirvi di annunciare il Vangelo, ed è il Vangelo che siamo inviati a portare, perché è di questo che tutti, noi per primi, abbiamo bisogno per vivere bene ed essere felici”[8], ci ha detto Papa Leone.
  3. Certo, se misuriamo le nostre forze con l’abbondanza della messe, non possiamo non dirci preoccupati. Misuriamo la difficoltà a credere, valutiamo comportamenti e scelte che appaiono così distanti dagli insegnamenti evangelici e ci interroghiamo su cosa abbiamo seminato e come il consumismo e il conseguente materialismi pratico hanno trasformato i cuori, enfatizzando l’io, confondendo l’arte del vivere che è volere bene riducendolo a possesso, a benessere personale senza pensarsi per gli altri e perdendo la dimensione di dono che è propria dell’amore. Papa Benedetto disse con chiarezza e lungimiranza: È proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne”. Nessun lamento o condanna ma opportunità per scoprire e riscoprire la gioia di credere e quanto questa è vitale. Aggiungeva: “Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita”. Implicita o negativa, ma sete di Dio. E Dio non è formalista, giudice, ma è un Padre che riconosce la richiesta dei figli e risponde a questa. Altrimenti restiamo tutti come il fratello maggiore della parabola, infallibile e giusto nel condannare, credendo così di difendere la verità tradita dal padre e che invece offendeva l’uno e l’altra. “E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada”[9].

 

Una Chiesa unita

  1. Ancora Papa Leone:Questo, fratelli e sorelle, vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato”. Cosa dobbiamo essere in un mondo segnato da tanta discordia, con tante ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, “da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri”? “Noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità. Noi vogliamo dire al mondo, con umiltà e con gioia: guardate a Cristo! Avvicinatevi a Lui! Accogliete la sua Parola che illumina e consola! Ascoltate la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia: nell’unico Cristo noi siamo uno”. Tante persone in questi anni si sono interrogate di nuovo, hanno ripreso ad ascoltare discorsi religiosi, si sono sentiti capiti nelle loro domande profonde, nelle ferite a volte nascoste e inconfessate. Come continuare a stabilire un rapporto con tanti di oloro e farli incontrare con la nostra casa e con l’abbraccio del padre? Questo ci è chiesto, con la pazienza e l’intelligenza di accompagnare in itinerari di maturazione personale e comunitaria. Senza questo spirito missionario rischiammo di chiuderci nel nostro piccolo gruppo o di sentirci superiori al mondo. “Siamo chiamati a offrire a tutti l’amore di Dio, perché si realizzi quell’unità che non annulla le differenze, ma valorizza la storia personale di ciascuno e la cultura sociale e religiosa di ogni popolo”[10].
  2. Ha ragione Papa Leone: “Questa è l’ora dell’amore! La carità di Dio che ci rende fratelli tra di noi è il cuore del Vangelo e, con il mio predecessore Leone XIII, oggi possiamo chiederci: se questo criterio «prevalesse nel mondo, non cesserebbe subito ogni dissidio e non tornerebbe forse la pace?» (Rerum novarum, 21)”. “Costruiamo una Chiesa fondata sull’amore di Dio e segno di unità, una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia, e che diventa lievito di concordia per l’umanità. Insieme, come unico popolo, come fratelli tutti, camminiamo incontro a Dio e amiamoci a vicenda tra di noi”[11]. Ecco la prospettiva che abbiamo davanti. Per cercare di vivere questo invito vorremo dedicare ognuno dei prossimi tre anni a una delle tre P indicate da Papa Francesco.
  3. “La Parola di Dio scava in profondità, «discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). Ma è pure attuale: la parabola ci richiama anche ai rapporti, non sempre facili, tra padri e figli. Oggi, alla velocità con cui si cambia tra una generazione e l’altra, si avverte più forte il bisogno di autonomia dal passato, talvolta fino alla ribellione. Ma, dopo le chiusure e i lunghi silenzi da una parte o dall’altra, è bene recuperare l’incontro, anche se abitato ancora da conflitti, che possono diventare stimolo di un nuovo equilibrio. Come in famiglia, così nella Chiesa e nella società: non rinunciare mai all’incontro, al dialogo, a cercare vie nuove per camminare insieme. Nel cammino della Chiesa giunge spesso la domanda: dove andare, come andare avanti?”[12].

 

Sinodalità e missione

  1. Costruiamo tutti, in tanta solitudine e individualismo, la comunità cristiana. Non si tratta di fare tutti le stesse cose, ma tutti insieme, aiutando ciascuno nel suo servizio, permettere che le nostre comunità siano case di relazione con Gesù e tra di noi, luoghi di amicizia e di accoglienza per tutti. Certamente sentiamo la necessità di ridefinire con chiarezza cosa è la Parrocchia, le responsabilità, il camminare insieme (ecco cosa significa davvero la sinodalità!). Dobbiamo imparare a collaborare con altre parrocchie e con altre comunità, ma questo ci impegna ad esserlo, a ascoltare e mettere in pratica la parola, ha vincere tanta solitudine e le abitudini che ci rendono distanti dagli altri, poco amici. Quello che serve ovunque sono comunità concrete, dove imparare ad amarsi e ad amare, anche diverse ma che abbiano al centro Gesù e siano unite alle altre con il legame della comunione ecclesiale. È lo sforzo che abbiamo vissuto in questi anni di cammino sinodale. In questi anni ci siamo confrontati – e per certi versi l’abbiamo già usata come dimensione ordinaria per arrivare a decisioni condivise. La sinodalità significa un rinnovamento ecclesiale e spirituale: pensarsi insieme, vivere preoccupati di tenere in alto la luce che ci è stata accesa e affidata. Senza questa dimensione sinodale la comunità diventa un condominio dove ognuno vive per conto suo e non la comunità dei fratelli e delle sorelle, chiamati ad amarsi l’un l’altro e pronti ad accogliere quelli che Gesù indica come i suoi fratelli più piccoli, ricordando che se facciamo o non facciamo qualcosa di buono verso di loro l‘abbiamo fatta o non fatta a Lui.
  2. C’è un rapporto molto stretto tra sinodalità e missione. Interpretare la sinodalità solo come una ricetta per il buon “funzionamento” della comunità rischia di ridurla a una regola senza anima o a una distribuzione di potere. Ricordiamoci sempre che il più grande è colui che serve e che il potere nella Chiesa di Gesù è servizio. Finalità ultima della “conversione sinodale” (perché dobbiamo imparare a pensarci insieme quindi a non fare da soli), nella fedeltà al mandato di Gesù ai suoi discepoli. L’identità missionaria del popolo di Dio non si può recuperare con uno sforzo volontaristico, ma dalla docilità allo Spirito che suscita creatività, fiducia e gusto di essere popolo di Dio con tutte le genti.
  3. Dobbiamo misurarci con il cambiamento delle parrocchie e la necessità di affrontare gli oggettivi cambiamenti non situandoli per restare come paralizzati o di sentirsi travolti di fronte a una quantità di difficoltà e di relazioni sempre più anonime. In questo cambiamento dobbiamo rinunciare alla tentazione di un controllo onnicomprensivo delle attività pastorali così come alla valorizzazione esclusiva di iniziative capaci di mobilitare “folle”. Vorremo valorizzare e replicare quelle esperienze comunitarie in cui, in questi ultimi anni, i fedeli hanno potuto prendere la parola, condividere i propri carismi, sognare un futuro di Chiesa differente, progettare strade per raggiungerlo. Esperienze di questo tipo sono state i tavoli sinodali (composti da dodici persone!). Osiamo sederci di nuovo attorno a tavoli come quelli, ma per ascoltare la parola di Dio, vivere e offrire la fraternità, pregare il Padre, mettendo a frutto i ministeri e i carismi che lo Spirito ha suscitato nella nostra Chiesa. Forse, quando ci alzeremo da quei tavoli per radunarci tutti insieme, sotto la presidenza del presbitero, per celebrare l’eucarestia domenicale, scopriremo di essere più comunità o una rete di comunità.
  4. La sinodalità non è una riduzione del ruolo del prete, ma una sua esaltazione, che trova una prospettiva nuova proprio nella sinodalità, che vuol dire una dimensione di comunione. La corresponsabilità non è un affatto una riduzione del potere del prete, ma la forma cristiana per promuovere la comunione. E come sappiamo, ad iniziare proprio dal servizio del presbitero, così come quello del vescovo, il più grande è colui che serve. E come ci ricorda Maria dobbiamo essere servi e pieni di gioia per portare gioia e trasformare l’acqua in vino, con la forza della Parola.

 

III – La Sacra Scrittura nella vita della nostra Chiesa

Riprendiamo in mano la Sacra Scrittura

  1. Dobbiamo porci davanti alla Bibbia come di fronte ad una Persona che ci parla del suo amore per noi. Ed è una Persona che ci conosce, mentre noi la conosciamo poco o la conosciamo solo inizialmente e insufficientemente. Gregorio Magno, ben consapevole della centralità della Sacra Scrittura, scriveva: “Le anime dei giusti… tengono fisso lo sguardo sulla sua Scrittura come fosse la sua bocca”. Sì, per conoscere il cuore di Dio dobbiamo frequentare la Bibbia, conoscerla, gustarla, contemplarla, amarla. A ragione san Girolamo diceva: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”[13]. Ecco perché è necessario riprendere in mano la Bibbia con maggiore attenzione e lasciarsi guidare verso il Signore.
  2. È urgente e possibile riprendere in mano le Sante Scritture per ridare vigore alla vita spirituale e pastorale. Un antico monaco del Sinai, Anastasio, diceva: “L’assiduità del tempo dedicato alla preghiera e alle Sacre Scritture, è la madre di tutte le virtù”[14]. L’assiduità alla preghiera e all’ascolto della Scrittura sono assieme la madre delle virtù, la via della santità, l’itinerario per la crescita spirituale di ciascuno di noi e dell’intera chiesa diocesana. Giovanni Paolo II afferma: “Non c’è dubbio che il primato della santità e della preghiera non è concepibile che a partire da un rinnovato ascolto della parola di Dio”[15].
  3. Cesario di Arles, un vescovo della Chiesa antica che ha speso molte energie perché i suoi fedeli si cibassero della Bibbia, in una sua omelia li esortava così: “Fratelli carissimi, fate grande attenzione al fatto che le Scritture divine sono come lettere inviateci dalla nostra patria. La nostra patria è il paradiso…Quando Adamo peccò, allora attraverso di lui siamo stati gettati in una sorta di esilio in questo mondo. Ma poiché il nostro re è pio e misericordioso più di quanto non si possa pensare o dire, ebbe la bontà di inviarci, tramite i patriarchi e i profeti, le Scritture divine come lettere d’invito, con cui chiamarci alla nostra eterna e prima patria. E poiché la fragilità umana, con il suo spirito di ribellione, disprezzava i suoi scritti, ha avuto la bontà di scendere lui personalmente e di liberarci dalla tirannide e dalla superbia del diavolo, e chiamarci alla vera umiltà con l’esempio della sua mansuetudine”[16].
  4. È quel che è scritto proprio all’inizio della Lettera agli Ebrei: “Dio che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2). E Gregorio Magno, uno dei più grandi maestri spirituali della Chiesa, raccomanda a Teodoro, medico dell’imperatore di Bisanzio, di non lasciarsi sopraffare dalle occupazioni che gli impediscono di leggere e meditare ogni giorno la Parola di Dio: “Mi riferiscono che stai facendo cose molto belle, importanti, ma mi dicono anche che non trovi tempo per leggere la Scrittura. Ascoltami: se l’imperatore ti scrivesse una lettera, avresti forse il coraggio di cestinarla prima di averla letta per intero? Ebbene, che cos’altro è la sacra Scrittura se non una lettera di Dio onnipotente alla sua creatura? …. Orbene, l’imperatore del cielo ti manda una sua lettera che riguarda la tua vita e tu, figlio illustrissimo, trascuri di leggere con trasporto questa sua lettera! Ti prego, medita ogni giorno le parole del tuo Creatore. Impara a conoscere nelle parole di Dio il cuore di Dio per anelare con più ardore alle realtà eterne, perché la tua anima si accenda di maggiori desideri per il gaudio del cielo”[17].
  5. Riaprire la Bibbia significa riprendere il dialogo con Dio. Possiamo far nostre le parole di sant’Ambrogio: “Quando l’uomo inizia a leggere le divine Scritture Dio torna a passeggiare con lui nel paradiso terrestre”[18]. Sì, la Bibbia ci fa entrare di nuovo in Paradiso e ci mette di nuovo in relazione con il Signore. Ecco perché una lettura seria della Bibbia comporta un coinvolgimento personale e non una semplice adesione intellettiva e teorica a verità astratte. L’ascolto della Bibbia è affascinante e pericoloso, come dicevo. In ogni caso non lascia mai come si è. Gregorio Magno lo faceva notare: “Chi ascolta comincia ad essere ciò che non era e smette di essere ciò che era… Chi si dedica a conoscere la parola di Dio, ma insegue le cose di questo mondo, beve e non si inebria. Se si inebriasse, di sicuro cambierebbe mentalità, non cercherebbe più le cose terrene, non amerebbe più le cose vane e passeggere che amava”. È il dramma che visse il giovane ricco quando, di fronte alla domanda di amore radicale di Gesù, si tirò indietro e se ne andò via triste”[19].
  6. Se la Bibbia rivela il cuore di Dio, è ovvio che solo chi si lascia toccare il cuore ne comprende il senso vero. Giovanni, il discepolo che Gesù amava, scrive: “chi non ama non può conoscere Dio, perché Dio è amore” (Gv 1,4-8). Così è anche con la Bibbia, che va letta e riletta, appunto come si fa con una lettera d’amore. Chi ama, infatti, desidera cogliere ogni tratto, ogni sfumatura, ogni tensione, ogni avvertimento, ogni suggestione della persona amata. La Sacra Scrittura va frequentata allo stesso modo in cui i discepoli frequentavano con Gesù, con la stessa familiarità, con la stessa assiduità, con la stessa fiducia, e “l’Onnipotente ci colma di delizie quando ci sazia del suo amore al banchetto della Sacra Scrittura”[20]. Soltanto l’amore ci premette di cogliere il senso della Parola di Dio, appunto perché l’amore ne è il principio e la fine. È stato l’amore che ha spinto Dio a parlare, e ha parlato per spingerci ad amare: “È a quest’unico scopo che Dio ci parla attraverso tutta la sacra Scrittura: per attirarci all’amore verso di lui e verso il prossimo”[21].
  7. La Bibbia che ci parla dell’amore di Dio ci spinge a cercarlo. Dietrich Bonhoeffer, il pastore evangelico tedesco ucciso dai nazisti, scriveva: “Chi ha ricevuto la parola di Dio deve cominciare a cercare Dio; non può fare diversamente. Quanto più la parola di Dio ci si mostra in maniera chiara e profonda, tanto più vivo diventa in noi il desiderio di conoscere in modo perfettamente chiaro la profondità insondabile di Dio stesso. Con il dono della sua parola Dio ci spinge a cercare una conoscenza sempre più ricca e un dono sempre più meraviglioso. Egli non vuole alcun falso appagamento. Quanto più riceviamo, tanto più dobbiamo cercarlo, e quanto più cerchiamo, tanto più riceveremo da lui”[22].
  8. La Bibbia non è per gli specialisti; non è un libro per i preti, per i religiosi o per i consacrati alla causa di Dio. Non è solo per i credenti; non è solo per l’Occidente; non è solo per quelli del mondo semita. È per tutti gli uomini e per tutte le donne di ogni tempo e di ogni condizione, di ogni cultura e di ogni razza, di ogni lingua e di ogni civiltà. “È la sorgente di ogni saggezza”[23], diceva il monaco Aelredo.

La Parola, presenza di Cristo

  1. Con grande saggezza il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Dei Verbum, scrive: “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli” (DV 21). E, nel testo sulla Santa Liturgia, afferma: “La liturgia della parola e la liturgia eucaristica sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto” (SC 56). Ruperto di Deutz sovrappone i gesti dello spezzare del pane eucaristico a quello dello spezzare la Parola di Dio: “Gesù prese il libro e lo aprì, cioè, ricevette da Dio tutta la Santa Scrittura per adempierla in sé stesso… Il Signore Gesù dunque prese il pane delle Scritture nelle sue mani quando, incarnato secondo le Scritture, subì la passione e risuscitò; allora egli prese il pane nelle sue mani e rese grazie quando, adempiendo le Scritture, offrì sé stesso al Padre in sacrificio di grazia e di verità”[24].
  2. Permane ancora purtroppo quella concezione riduttiva per cui quel che conta è l’Eucarestia, nella quale si riceve la grazia, mentre la Parola è come un di più: essa offre la dottrina, la verità, i principi morali, e così oltre. No, c’è una “presenza” di Cristo anche nella Bibbia. La Costituzione sulla Santa Liturgia afferma che “il Cristo è presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra Scrittura” (SC 7) e più avanti dice che attraverso la Bibbia “Dio parla al suo popolo, Cristo annunzia ancora il vangelo” (SC 33). La Parola di Dio, perciò, non trasmette solo una dottrina, non è semplicemente un contenitore di regole morali; essa anzitutto e soprattutto rende presente Dio che ci parla. Per questo dona un’energia di grazia, una potenza interiore, misteriosa ma realissima: la Parola è una forza che cambia, che guarisce, che trasforma, che salva. È significativo quanto scrive Cesario di Arles: “Vi domando, fratelli e sorelle, ditemi, che cosa vi pare aver maggior valore: la Parola di Dio o il corpo di Cristo? Se volete dare una risposta conforme al vero dovete indubbiamente dire questo: la parola di Dio non è meno del corpo di Cristo. E perciò con tutta la cura con cui badiamo che, quando ci viene offerto il corpo di Cristo, non ne cada nulla in terra dalle nostre mani, con altrettanta cura badiamo che la parola di Dio che ci viene offerta non vada perduta dal nostro cuore mentre pensiamo ad altro o parliamo d’altro, perché chi ascolterà con trascuratezza la parola di Dio non sarà meno colpevole di chi avrà permesso, con la sua trascuratezza, che il corpo di Cristo cadesse in terra”[25]. Che chiarezza queste parole! Esse ci suggeriscono in modo robusto che la Bibbia non è una parola su Dio, sulla sua natura, o sulla sua vita: è la parola di Dio; è Lui stesso che ci parla.
  3. Insomma, come il pane, per opera dello Spirito Santo, diviene corpo di Cristo, analogamente la Bibbia, se letta nella preghiera, come avviene nella santa Liturgia, rende presente il mistero di salvezza di Dio e mette in contatto con Lui. San Cipriano, vescovo di Cartagine, ha formulato una delle leggi fondamentali per la lettura della Bibbia: “Prega assiduamente, oppure leggi; ora parla con Dio, ora ascoltalo”[26]. E san Girolamo riprendendo questa indicazione dice: “Preghi? Sei tu che parli allo Sposo. Leggi? È lui che parla a te”[27]. Sant’Ambrogio esorta: “Perché non visitare ancora una volta Cristo, parlargli, ascoltarlo? Parliamo con lui quando preghiamo; lo ascoltiamo quando leggiamo gli scritti ispirati da Dio”[28]. Molte altre citazioni di Padri si potrebbero riportare, tutte comunque ribadiscono la fede dell’antica Chiesa circa la analoga dignità del Libro e del Calice: su ambedue, infatti, si invoca la discesa dello Spirito. Come il pane senza l’invocazione dello Spirito resta quel che è, analogamente la Santa Scrittura senza la presenza dello Spirito resta lettera senza vita.
  4. San Francesco, nella lettera a tutti i frati dell’Ordine, scriveva: “Ammonisco tutti i miei fratelli e in Cristo li conforto perché, ovunque troveranno le divine parole scritte, come possono, le venerino e, per quanto spetti ad essi, se non sono ben custodite o giacciono sconvenientemente, le raccolgano e le custodiscano onorando nella sua Parola il Signore che ha parlato. Molte cose, infatti, sono state santificate mediante le parole di Dio, e in virtù delle parole di Cristo si celebra il sacramento dell’altare”[29].

 

La forza della Parola

  1. La Parola di Dio è forte, come scrive Paolo: “il Vangelo è forza di Dio” (Rm 1,16). Ma è una “forza debole”. Nel senso che non ha altro che sé stessa. Non ha bisogno di ornamenti umani. Non ha bisogno di tecniche umane. Non ha bisogno di trucchi per attrarre. Il Vangelo è forte di sé stesso. Perché è Parola di Dio. Paolo, gloriandosi di essere stato chiamato a predicare più che a battezzare, può affermare: “Cristo, infatti, non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce, infatti, è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti. Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,17-25).
  2. La Bibbia è la nostra forza. Forse dobbiamo raccogliere con più decisione la provocazione dell’apostolo Paolo che si vanta di essere stato mandato a predicare più che a battezzare. L’esperienza delle nostre parrocchie è spesso come travolta dalla “distribuzione” dei Sacramenti. Quante energie spendiamo in questo campo! E facciamo bene! Anzi dobbiamo impegnarci ancor più in questo campo. Non è certo lodevole l’atteggiamento di voler rarefare i Sacramenti. Quel che forse manca, e poco vi riflettiamo, è che tralasciamo troppo l’impegno per la predicazione che per Paolo, invece, rappresentava il suo primo compito. Egli aveva chiaro che la fede nasceva dalla predicazione (Rm 10,17). Mi chiedo se sia davvero chiaro per noi. Forse si è attutita in noi la convinzione che la Parola di Dio è davvero efficace. E questo porta a non darle il giusto rilievo. Non è scontato credere alla “forza debole” della Parola di Dio. È facile anzi dubitare di essa e ritenerla povera e fiacca. Ecco perché tante volte è assente sia nella vita pastorale che in quella personale. E magari si privilegiano tanti altri mezzi per attrarre la gente in parrocchia, per farla restare vicino. In verità, se ci si dimentica del Vangelo, il nostro operare diventa vano. Al contrario, chi affida sé stesso e il suo operare alla Parola di Dio edifica sé stesso e la sua casa su una roccia salda.

 

Ascoltare con umiltà e obbedienza

  1. L’umiltà è la condizione per ascoltare Dio e la sua Parola. Il monaco Cassiano scriveva: “Se volete giungere alla vera scienza delle Scritture, affrettatevi innanzitutto ad acquisire un’incrollabile umiltà di cuore”[30]. È esemplare la vicenda dei due di Emmaus: dovettero accogliere uno “straniero” in mezzo a loro e ascoltarlo con attenzione per un intero giorno mentre “spiegava loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,27). È vero che all’inizio opposero qualche resistenza: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?” (Lc 24,18). Ma solo nell’ascolto continuato ed attento la loro tristezza si sciolse e la loro disperazione si cambiò in speranza e in gioia. L’intera tradizione spirituale conferma che l’umiltà è la condizione per accostarsi alle Scritture. Sant’Agostino dice esplicitamente che la sua conversione iniziò quando accettò di farsi piccolo di fronte alle Sante Scritture, quando abbandonò la sua superbia di studioso e letterato. Scrive: “Ed ecco vedo qualcosa di oscuro ai superbi ma allo stesso tempo non evidente ai bambini; un ingresso umile, un interno sublime e carico di misteri; e io non ero tale da sapervi entrare o da piegare il collo ai suoi passi. Non avevo allora i sentimenti di oggi, quando osservai quella scrittura: essa mi parve indegna, a paragone della dignità di Tullio. Il mio orgoglio rifuggiva dalla sua modestia e il mio sguardo non penetrava al suo interno. Essa era invece tale da crescere con i piccoli, ma io non volevo essere piccolo”[31]. Solo chi si fa piccolo di fronte alla Bibbia potrà accogliere la forza del suo messaggio e crescere, come accadeva al piccolo Gesù.
  2. Non è però scontato ascoltare la Parola di Dio. C’è anzi da dire che oggi non mancano ostacoli alla lettura della Bibbia. In realtà, ci sono molti ostacoli alla stessa lettura in generale. Il clima culturale nel quale siamo immersi non favorisce né la lettura né la meditazione. Anzi, è facile riscontrare anche in noi stessi la paura di fermarsi, di sostare, di pensare, di dare valore a ciò che non significa immediatamente produzione. Tutti ci lasciamo travolgere da un frenetico attivismo per riempire vuoti che ci paiono insopportabili. Ed ecco che si legge poco ovunque; si leggono pochi libri, poche riviste, pochi giornali. E non ci si rende conto che, se la mente non viene esercitata, si sclerotizza e facilmente diviene succube del qualunquismo e della rassegnazione, ambedue figlie dell’ignoranza. La lettura dei libri e dei giornali ci mette a contatto con pensieri, con storie, con situazioni, con problemi, con sentimenti che altrimenti ci resterebbero estranei. Leggere è dialogare con un altro da me. E la cultura, piccola o grande, è sempre uno sguardo che aiuta a vedere oltre sé stessi, che libera dalla miopia di chi si concentra solo su di sé. Il libro dei Proverbi, che raccoglie tanta sapienza della Bibbia, afferma: “La riflessione ti custodirà e l’intelligenza veglierà su di te” (Prv 2,11). L’archimandrita Sophronij, un monaco ortodosso, per tanti anni al Monte Athos e poi in Francia e in Inghilterra, aveva tutte le ragioni per affermare: “L’ambiente sociale in cui viviamo si oppone alla preghiera, perché organizza la sua vita avendo altri scopi, diametralmente opposti ad essa. Gli spiriti ostili non la sopportano. Ma solo la preghiera permette al mondo creato di rinascere dalla sua caduta”.
  3. Questo clima culturale è entrato anche nella vita delle comunità cristiane. Siamo tutti figli di questa generazione e di questa cultura. Anche nelle giornate del credente si riduce sempre più lo spazio della preghiera e della meditazione. Tutti corriamo senza mai fermarci, anche perché crescono gli impegni di ordine pastorale. E purtroppo vediamo crescere anche l’aridità interiore che genera una fredda burocratizzazione della vita ecclesiale. Le nostre parrocchie diventano spesso un cumulo di attività di ogni genere, senza che vi sia alcuna vera priorità: tutto è importante e quindi nulla davvero necessario, salvo la propria tranquillità o comunque le proprie ragioni che in genere difendiamo con maestria. È persino ovvio dire che tra le tante attività ci si mette anche il momento della preghiera. Ma quel che manca è la fonte, l’origine da cui tutto dovrebbe scaturire, che è appunto l’ascolto della Parola di Dio. Siamo pieni di pratiche e di devozioni, e il Vangelo rischia di essere secondario, di non far parte delle nostre reali preoccupazioni.
  4. Potremmo dire che ciascuno di noi (e le nostre parrocchie) rischiamo di cadere nella tentazione di Marta. Conosciamo bene la scena evangelica. Mentre Maria sta ai piedi di Gesù per ascoltare la sua voce, Marta è travolta dalle faccende. Si è giustamente riempita la vita, potremmo dire. E pensa anche di far bene. In verità, fugge da ciò che più conta. E la prova ne è l’irritazione che prova verso lo stesso Gesù. E si badi bene, non si tratta in questo caso della vecchia tensione tra vita attiva e vita contemplativa, per cui Marta ha scelto la precarietà della vita attiva, mentre Maria quella contemplativa. No, il problema è un altro: Maria ha scelto il primato assoluto della Parola di Dio nella sua vita. Potremmo dire che non importa se uno ha scelto la vita attiva o la vita contemplativa: in ambedue i casi deve essere evidente il primato dell’ascolto della Parola di Dio.

 

La Bibbia, libro della preghiera

  1. Vorrei che la Bibbia diventasse il libro della preghiera di ciascuno di noi. Ci uniamo così direttamente alla vita della prima immagine della comunità cristiana come appare negli Atti degli Apostoli.  Scrive Luca: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42). È la prima descrizione che abbiamo della Chiesa: i cristiani sono riuniti in preghiera ascoltando l’insegnamento degli apostoli, celebrando la frazione del pane e vivendo in comunione fraterna. Le Sante Scritture e la memoria di quel che Gesù aveva detto è fatto erano la sostanza della loro riflessione e della loro preghiera. Dobbiamo ripartire di qui. Ecco perché la Bibbia, come accadeva all’inizio della Chiesa, deve tornare ad essere il cuore della nostra preghiera.
  2. La lettura della Bibbia è come circondata dalla preghiera. Essa viene compresa pregando e pregando si entra pienamente nel dialogo con Dio. E la preghiera si sostanzia delle parole e delle frasi lette e meditate. Sant’Agostino, spiegando i Salmi, suggerisce: “Se il testo è preghiera, pregate; se è gemito, gemete; se è riconoscenza, siate nella gioia; se è un testo di speranza, sperate, se esprime il timore, temete. Perché le cose che sentite nel testo biblico sono lo specchio di voi stessi”[32]. E il pastore Bonhoeffer, con sapienza spirituale, parlava dei salmi come parola di Dio che diviene preghiera rivolta a Dio: “Il salterio è il libro di preghiera di Gesù Cristo nel senso più rigoroso. Egli ha pregato il salterio, e questo è divenuto la sua preghiera silenziosa sino alla fine dei tempi. Non è forse chiaro ora perché il salterio sia al tempo stesso preghiera a Dio, proprio per il fatto che qui ci viene incontro il Cristo orante? Gesù Cristo prega i salmi nella sua comunità. È anche la comunità a pregare, è anche il singolo, ma chi prega lo fa in quanto Cristo prega in lui; non preghiamo a nome nostro, ma in nome di Gesù Cristo”[33]. La preghiera è come far tornare a Dio la Parola che egli ci ha rivolto. Il tempo dell’orazione è quindi il momento del dialogo con Dio, un dialogo singolare, che si sviluppa in modi diversificati. Infatti, non si tratta semplicemente di rivolgersi al Signore per ottenere questa o quella grazia, cosa sempre possibile evidentemente, ma di un dialogo che assume tutte le caratteristiche di un colloquio a due pieno di fiducie e confidenza.
  3. È bella la testimonianza di un vescovo ortodosso, Anthony Bloom, il quale a proposito della preghiera come dialogo, scrive: “Per me pregare significa mettersi in rapporto. Io non ero credente; un bel giorno, scoprii Dio ed egli mi apparve improvvisamente come valore supremo e pienezza di vita, ma al tempo stesso come persona. Credo che la preghiera non possa dire assolutamente nulla a chi non ritiene di avere un tu al quale indirizzare la propria lode. Non si può insegnare a pregare a una persona che non avverte la presenza del Dio vivente”[34]. Insomma, aggiungeva il vescovo, bisogna trattare Dio come un vicino di casa, come una persona vicina, e stimare questa conoscenza allo stesso modo in cui si considera il rapporto con un fratello o un amico. Questa preghiera, legata alla Scrittura, assume le parole, i temi, i sentimenti che sostanziano il testo che si è meditato e si collega al senso spirituale che è stato percepito. Ciascuno, ovviamente, deve trovare il proprio cammino di preghiera, ossia il proprio modo di rivolgersi a Dio, con lo stupore, la lode, il silenzio, il ringraziamento, la richiesta. In ogni caso, con questa preghiera-colloquio, si realizza quanto è scritto nel profeta Isaia: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare…così sarà della parola uscita dalla mia bocca” (Is 55,10). La preghiera è far tornare a Dio la sua parola piena di frutto.

 

La Bibbia nella vita personale e comunitaria

  1. La Chiesa ha ampia esperienza di preghiera a partire dalla Sacra Scrittura. Anzitutto nella liturgia, che rimane sempre un punto imprescindibile da cui partire (Cfr. SC 12-13), è opportuno che si ricerchino attenzioni e criteri per esaltare la Parola di Dio e renderla un’occasione di preghiera comunitaria efficace. Impariamo dall’uso liturgico della Sacra Scrittura che ogni approccio sacramentale ha bisogno di creare il clima di preghiera che faccia emergere la consapevolezza di essere alla presenza del Signore Risorto. Una introduzione, pertanto rimane indispensabile. È necessario segnare il distacco dalle attività precedenti, un silenzio che introduca in un tempo qualitativamente differente.
  2. La dimensione comunitaria ha bisogno di qualche azione condivisa per potersi comporre all’inizio della preghiera. Se non è possibile che sia un canto, la recita di un salmo, di una preghiera, di una litania aiuta a unire le voci e di qui i sentimenti in unità. C’è una ministerialità che si esprime anche nei gruppi di preghiera nelle case. Se tutti sono invitati a partecipare attivamente alla preghiera, è vero che il padrone di casa ha un ruolo fondamentale. Deve far trovare un ambiente confortevole, dove tutti possano sedersi, dove una immagine sacra sia collocata e valorizzata, deve – secondo abitudini e convenienza – provvedere anche a qualche genere di ristoro successivo, che aiuti a stringere relazioni con chi forse non si conosce appieno. Avrà attenzione a non far sentire nessuno isolato, promuovendo la conversazione prima e dopo la preghiera, soprattutto con coloro che vede più isolati e meno inseriti. Capita invece che ci siano delle sorprese a questi inviti, perché le persone danno risposte inattese, e più spesso l’occasione è accolta dagli umili che non dai presuntuosi, snobbata dai praticanti che non dagli atei. Non importa se pochi o tanti, ma occorre che non temano di prendere la parola, non giudichino nessuno e non siano giudicati. Nessuno tema il silenzio, nel quale non succede niente di imbarazzante ma solo, nel nostro tacere, è finalmente lo Spirito ad agire nei nostri cuori.
  3. Ritengo importante che nelle parrocchie si favoriscano piccoli gruppi di riflessione sulla Bibbia. Sarà così più facile che la catechesi (penso ai corsi per l’iniziazione cristiana, per la preparazione ai sacramenti, per i giovani e per gli adulti, senza dimenticare gli anziani) possa essere fecondata dalla Sacra Scrittura. Il nostro Ufficio catechistico dovrà aiutare a trovare i contributi utili a riguardo. È ovvio che i gruppi di lettura della Parola debbono evitare con cura di diventare un’esperienza ripetitiva, faticosa. L’ho già detto, non dobbiamo parlare sopra la Parola di Dio, come fosse un’ispirazione per suscitare reazioni individuali. In realtà la Parola di Dio ci è rivolta per aiutarci a capire la nostra vita, dove dobbiamo cambiare, come crescere nell’amore, quali scelte è opportuno intraprendere. Vanno evitate le tentazioni di lasciarsi andare a interpretazioni che non coinvolgono personale, come pure quei vaniloqui generici su di sé o sui tempi odierni o sulla difficoltà di vivere la fede che però prescindono dal confronto personale. Fondamentalmente, il punto centrale è l’incontro vivo e personale dei presenti con il Cristo, il Maestro, che ha qualcosa da dire al loro cuore e che suscita una risposta sincera e personale. Papa Francesco al termine delle parole che rivolgeva a tutti nell’Angelus domenicale, vere e proprio lectio sulla parola annunciata nella liturgia, poneva domande molto dirette, personali, esigenti e allo stesso tempo liberanti. Se cerchiamo personalmente la risposta e ci aiutiamo a essere così cristiani, a vivere il Vangelo tutto e non una parte, a capire cosa ci annuncia oggi vivremo i sentimenti di Gesù, comprenderemo la gioia della comunità e il senso del nostro servizio al prossimo.

 

I Gruppi di ascolto della Parola

  1. Per incontrare il Signore Gesù Cristo noi abbiamo bisogno della Sacra Scrittura, soprattutto del Vangelo. È quello che hanno fatto gli Apostoli, quando hanno annunciato il Vangelo è per questo, nelle case che li ospitavano, hanno raccontato l’esperienza di cui erano stati testimoni: quella del Verbo della vita che si è fatto carne (Cfr. 1Gv 1,1-4). Anche oggi, se vogliamo ascoltare e incontrare il Signore Gesù, occorrerà che la sua presenza, la sua identità, i suoi sentimenti, le sue parole siano svelate a noi da coloro che hanno vissuto i giorni del Figlio dell’uomo: Pietro, Paolo, Matteo, Giovanni che parlano ancora a noi della loro esperienza e le loro memorie trascritte nei Vangeli, ci annunciano colui che ci ama e dà la vita per noi. È quanto mai opportuno ascoltare il Vangelo anche nella propria casa perché quelle parole hanno la forza di quel pastore che cerca il gregge disperso, di quel padre che chiama i figli, di quel padrone che cerca lavoranti ad ogni ora del giorno. Gesù insiste, perché desidera sinceramente il dialogo con tutti noi. È sempre prezioso creare l’occasione perché Dio parli al loro cuore.
  2. Ma anche nelle altre Scritture dell’Antico Testamento in certo modo è presente anche Gesù, il Messia promesso. Senza dimenticare che Gesù stesso si è nutrito delle Scritture del Primo Testamento. Nel Tabor lo vediamo in preghiera con il Padre con la presenza di Mosè ed Elia (Cfr. Lc 9,29-31). Gli scritti del Nuovo Testamento, poi, ci portano la freschezza di quelle comunità apostoliche, che hanno affrontato preoccupazioni e speranze nell’esperienza dello Spirito di Cristo Risorto, perché noi ci sentissimo incoraggiati, mentre godiamo lo stesso dono di vita che essi hanno sperimentato.
  3. Quando ci raccogliamo per ascoltare Dio che parla a noi nel suo Figlio e rispondiamo con la nostra fede, entriamo nell’azione dello Spirito Santo, che ha ispirato l’esperienza di fede degli apostoli e dei profeti, che ha accompagnato la trascrizione della Sacra Scrittura, che illumina la Chiesa quando li legge e che agisce nel cuore di ciascuno quando ascolta. Così la Parola, suscitando nel cuore umano un frutto di fede, speranza e carità, può tornare al Padre dal quale è uscita, carica della risposta del credente (Cfr. Is 55,11). Capiamo come la Parola aiuta ad essere insieme e ad essere sé stessi. Il punto di forza dei gruppi del Vangelo è proprio la dimensione comunitaria dell’esperienza. Nella fraternità egli garantisce la presenza (Mt 18,20). C’è uno che invita, che chiama i vicini per ascoltare assieme, sia periodicamente sia in alcune occasioni particolari. Non ci mettiamo noi sopra gli altri, ma solo la Parola, lampada per i nostri passi. Facciamo parlare lei e non noi, ma rendiamola concreta con la nostra umanità. La fraternità nella preghiera ha una speciale forza di intercessione, perché ci permette di portare gli uni i pesi degli altri (Cfr. Gal 6,2) e, nella concordia che riusciamo ad esprimere, di credere nella bontà di Dio Padre, pronto ad offrire le cose buone ai suoi figli (Cfr. Mt 18,19). Altro è esprimere una intercessione lontano da coloro che la chiedono, altro è condividere le lacrime, le attese, le paure del fratello e farlo sentire sostenuto nella sua preghiera, perché anche tu vuoi credere come lui e insieme ci si affida a Dio, perché sia fatta la sua volontà.
  4. È bene che la preghiera abbia una struttura, ancorché variabile e flessibile. Il tutto, compresi i silenzi e le condivisioni, conviene non superi l’ora. Naturalmente, a seconda delle varie circostanze, queste tappe possono essere ampliate o ridotte, ma tutte, ciascuna per la sua natura, hanno una funzione preziosa per equilibrare l’esperienza religiosa. Dal momento che lo scopo è l’incontrare con il Signore nello spirito e il dialogo con lui, il vertice dell’esperienza sarà la preghiera, come conseguenza dell’ascolto.  Gli altri elementi devono essere di aiuto perché introduttivi o esplicativi e non devono far smarrire il punto di arrivo del percorso.

 

La Bibbia e la vita pubblica

  1. Anche la vita del lavoro deve essere alimentata dalla Bibbia. Essa, infatti, aiuta ad essere saggi, buoni e sapienti. Sant’Ambrogio affermava che era assicurata la prosperità di una città quando essa aveva una moltitudine di giusti: “Come dunque tutta la città è consolidata e resa più prospera dalla presenza di persone sagge o è rovinata dalla loro scomparsa, così un discorso austero e pieno di senile prudenza è in grado di tenere salda l’anima e ferma la mente di ciascuno. Se riusciamo inoltre a utilizzare copiosamente la lettura dei testi sacri, vero e proprio senato di numerosi insegnamenti e di buoni consigli, essa rende addirittura perpetua la stabilità di quella città che è nel cuore di ciascuno”[35].
  2. Ciascun credente deve vivere “secondo le Scritture” nei luoghi ove opera, ove lavora, ove esercita il suo mestiere. Pertanto, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle fabbriche, nei luoghi pubblici deve risuonare lo spirito biblico, che è spirito di servizio, di amore, di sollecitudine per il bene di tutti. Sono particolarmente lieto di iniziare la consegna del Vangelo che ogni anno commento dal Comune, all’ospedale, alle carceri e ad una scuola. L’accoglienza straordinaria che ogni volta riscontro mi fa dire ancora una volta che c’è fame della parola di Dio, c’è fame di parole vere e disinteressate, c’è fame di qualcuno che dia la vita per gli altri. Ed è quel la Bibbia racconta. È quel di cui il mondo intero ha bisogno. Alla fine, le Scritture scompariranno e resterà il Verbo, Allora non ci sarà più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole.

 

IV – Proposte specifiche nel corso dell’anno

  1. Lungo questo anno pastorale 2025-2026 sarà bene caratterizzare gli appuntamenti parrocchiali con gli adulti e con i genitori dei bambini e ragazzi che percorrono itinerari di iniziazione cristiana e di catechesi mettendo al centro l’ascolto della Parola di Dio. Così, ad esempio, nei tempi forti di Avvento-Natale e Quaresima-Pasqua suggeriamo che almeno uno degli incontri con i genitori sia a partire dalla Parola di Dio (ad es. una lectio con i genitori). Sempre nei tempi forti suggeriamo che ogni comunità parrocchiale promuova un semplice momento di ascolto della Parola di Dio in famiglia, ad es. all’inizio della cena, così ogni bambino o ragazzo potrà condividere con i propri genitori una Parola suggerita dalla liturgia del giorno (una “goccia” dal Vangelo del giorno di quel tempo forte che si sta vivendo nell’Anno Liturgico).
  2. Particolare rilievo dovrà avere quest’anno in tutta la Diocesi e nelle singole comunità la celebrazione della Domenica della Parola (25 gennaio 2026). Questa domenica dovrà essere predisposta per tempo con iniziative e proposte adeguate per tutti i fedeli, a cominciare dagli adulti. Vi potranno essere alcuni segni dedicati ai bambini e ai ragazzi che percorrono itinerari di iniziazione cristiana e di catechesi, condividendo questo momento con i loro genitori. Potrà essere l’occasione per un rito della consegna del Vangelo a quanti si preparano alla prima Eucarestia e della Bibbia a chi si prepara alla Confermazione.
  3. Alcuni momenti di incontro delle famiglie con l’arcivescovo, proposti e curati dall’Ufficio Catechistico in collaborazione con altri Uffici pastorali, sono già in calendario e nell’occasione verrà offerta una traccia perché l’appuntamento si caratterizzi come ascolto della Parola di Dio. Domenica 1° marzo 2026, l’incontro sarà incontro online dalle 15 alle 17 con i genitori e i bambini che si preparano alla Messa di prima Comunione; Nelle domeniche 8 marzo (primo turno) e 15 marzo (secondo turno) 2026, dalle 15 alle 17 si terranno gli incontri in presenza con i cresimandi e i loro genitori.
  4. In generale, a livello parrocchiale, suggeriamo di “caratterizzare” gli incontri che già si fanno e le iniziative che già ogni comunità cristiana sta mettendo in agenda come incontri con la Parola di Dio, momenti privilegiati di sosta e di ascolto di Dio che ci parla.

 

Conclusioni

  1. Nel consegnare questa Nota pastorale, sono consapevole del grande patrimonio spirituale che ha arricchito la Chiesa di Bologna nell’ultimo secolo, proprio in ordine alla riscoperta del tesoro inestimabile della Parola di Dio. Solo per accenni possiamo ricordare i Gruppi del Vangelo promossi negli anni ’20 per impulso di Augusto Baroni con il sostegno di mons. Marcello Mimmi, rettore del Seminario regionale, e del salesiano don Antonio Cojazzi. Nel settembre del 1925, il Gruppo celebrava a Bologna il primo Congresso nazionale dei Gruppi del Vangelo per proporre la lettura e la meditazione della parola di Dio come pratica di perfezionamento della vita cristiana[36]. È commovente ricordare come ai Gruppi del Vangelo di Baroni si affacciò il Beato Olinto Marella, prima ancora della sua riabilitazione, e come dagli stessi prese impulso un’inedita attività caritativa verso le nuove povertà che l’inurbamento portava alla città. Negli stessi anni si formò la Congregazione dei Servi dell’Eterna Sapienza, di matrice domenicana e, successivamente, la Società del Vangelo, promossa dai Frati Minori. Molti di voi ricordano il magistero del Card. Lercaro e l’impulso ricevuto dalla testimonianza di don Giuseppe Dossetti, precursori e poi attuatori del rinnovamento portato dal Concilio Vaticano II. Accanto a loro, ciascuno di noi può fare memoria grata di tanti che si sono fatti “ministri della Parola” (cfr. Lc 1,2) a nostro vantaggio, educandoci alla familiarità con le Sacre Scritture.
  2. In questo tempo nel quale è difficile vedere quale sarà il futuro del nostro mondo, e ancor più difficile comprendersi tra i popoli, la Parola di Dio ci dona l’intelligenza per capire, la parola per comprenderci e soprattutto il cuore per amarci e rispettarci. Sì, la Bibbia ridona il cuore a chi l’ascolta, il senso della vita a chi non lo trova, la luce a chi è nel buio, la forza a chi è stanco, l’amore a chi è freddo, la via a chi è smarrito, la consolazione a chi è triste, la compagnia a chi è solo. Tutta l’esistenza umana, la vita, la morte, l’amicizia, la fraternità, la solidarietà, il dolore, la solitudine, la malattia, l’amore, la famiglia, il lavoro, i segreti del cuore, i grandi fenomeni umani, la fame, la guerra, l’ingiustizia, tutto viene illuminato dalla Sacra Scrittura con una luce nuova. Ci aiuta a scrutare i segni dei tempi, ad esempio la guerra, la solitudine, a capirli per trasformali in segni di speranza. Il Vangelo continua a prendere carne e la Chiesa genera nella storia la presenza di Cristo attraverso i suoi figli e figlie.

 

Bologna, 14 settembre 2025
Festa dell’Esaltazione della S. Croce

 

Matteo Maria Card. Zuppi

Arcivescovo.

 

 

Allegato 1: Struttura di un incontro sulla Parola

Introduzione
Occorre entrare nella preghiera, nell’incontro con il Signore che è vivo, presente e vuole parlare al cuore di tutti. Il silenzio, una preghiera o litania, una richiesta di perdono, concorrono a farci sentire uniti e alla presenza del Signore del cielo e della terra. Anche la valorizzazione di una immagine sacra, di Gesù, Maria o un santo, può essere d’aiuto per concentrare l’attenzione sul Signore che parla ai suoi discepoli.

Ascolto
Il brano evangelico o biblico deve essere commisurato all’uditorio: Se si tratta di persone estranee alla pratica e alla fede, è opportuno che sia un brano semplice, che presenti il Signore Gesù che ci ama e ci salva. Se invece i presenti possono reggere “cibo più solido”, allora si potrà scegliere un altro brano che serva l’edificazione comune e incoraggi alla preghiera. La lettura sia affidata a qualcuno che, per esperienza, si conosce che legga bene, con buona e chiara voce. Non è prevedibile che tutti abbiamo il testo e che questo sia della stessa edizione. Occorre provvedere per tutti i presenti di un foglio con il brano biblico.

Spiegazione
La spiegazione, diversa per l’uditorio che si avrà davanti, sarà non tanto una serie di curiosità bibliche o storiche, tanto meno l’elaborazione di pensieri teologici e spiegazioni dogmatiche. Occorrerà invece far emergere l’esperienza di fede che hanno vissuto i protagonisti che sono insieme al Signore, che lo ascoltano e lo vedono. Essi stanno testimoniando cosa hanno visto, provato, pensato del Signore e cosa gli hanno risposto. Noi infatti siamo raccolti davanti allo stesso Signore Gesù e siamo coinvolti nelle stesse parole ed esperienze.

Attualizzazione
Come loro, anche noi condividiamo oggi le stesse paure e le stesse aspirazioni dei discepoli e degli altri protagonisti. Siamo incoraggiati a sentirci provocati a dare la nostra risposta, che può essere analoga o diversa rispetto a quella dei discepoli. Chi guida dovrà dunque aiutare a sentirsi tutti coinvolti, chiamati in causa nella nostra vita da quella parola del Salvatore, facendo emergere sentimenti e pensieri provocati da quella pagina evangelica.

Condivisione
Momento delicato, in cui il silenzio rischia di paralizzare, ma anche lo sproloquio rischia di annegare. È prezioso invitare a non temere il silenzio, a non replicare l’uno all’altro perché non siamo qui per quello, ma a condividere – se uno se la sente – la propria esperienza di fede: fatiche, gioie, soddisfazioni, delusioni. È una carità anche questa, per amplificare e per sostenere l’esperienza di fede gli uni degli altri. Può capitare infatti che là dove uno non capisce il Signore che parla, capisca invece il fratello che con la sua esperienza esercita un ruolo profetico verso l’altro. Ci confrontiamo sulla Parola e sulla nostra risposta a questa. La condivisione non sia un chiacchierare generico e superficiale, ma il contributo personale per capire e rispondere alle domande che la parola ci pone. E’ opportuno riprendere le domande con le quali Papa Francesco concludeva la domenica tutti i suoi Angelus e ci aiutava a capire cosa cambiare, in modo sempre personale. La condivisione aiuta tutti a una comprensione del testo ma soprattutto a capire cosa insieme cosa chiede alla nostra Comunità.

Preghiera
Lo scopo di questi incontri non è quello di accrescere delle conoscenze culturali, ma l’esperienza religiosa di aver ascoltato e risposto al Signore, in un dialogo di fede che è preghiera autentica. Per questo è opportuno che, dopo aver amplificato la parola di Dio nella condivisione della nostra esperienza, si provveda alla preghiera, cioè alla risposta: può essere un salmo adatto al brano evangelico, recitato insieme oppure a cori alterni o con un ritornello. Alla preghiera condivisa e ispirata, come sono i Salmi, è bene che segua anche una preghiera più personale, in cui le varie necessità che sono in evidenza possano emergere e i presenti se ne possano far carico in una intercessione condivisa.
Il Padre Nostro, poi, è “la preghiera”, l’unica insegnata dal Signore, alla quale tornare sempre ripetendola con fiducia, per far crescere il nostro affidamento alla volontà del Padre.

Conclusione
Come l’introduzione ci ha permesso di uscire dall’ordinarietà e di entrare nella relazione diretta con il Signore Gesù, anche la conclusione è preziosa, per prendere progressivamente congedo dal Signore e ritornare alla ordinarietà. Alcune parole di congedo, di benedizione e di saluto, come pure il silenzio, possono aiutare a concludere e a tornare alla condizione precedente.

 

Allegato 2: Un esempio di incontro sulla Parola

L’esempio che segue è stato proposto per la Diocesi di Bologna negli anni dopo la pandemia, in cui la preghiera familiare nelle case era l’unica esperienza cristiana possibile per le restrizioni di quel tempo. Da queste proposte è nata, nella collaborazione tra l’Ufficio Catechistico e l’Ufficio Liturgico, una serie di proposte da offrire alle parrocchie che ancora proponevano i Gruppi del Vangelo nelle case. La struttura e il commento di questi formulari di preghiera biblica permettevano anche l’assenza di una guida o quanto mento di una guida preparata.
La descrizione nel dettaglio delle cose da fare da parte della guida, del lettore e dei presenti, permetteva anche a quanti erano più estranei a questo stile di preghiera di districarsi seguendo passo passo questo schema.
Dopo le considerazioni espresse sopra potrà essere utile tornare a quella proposta, per apprezzarne lo stile e la facilità di esecuzione, che mantiene l’esperienza di questa preghiera nei binari del momento di preghiera, senza deragliare in altre conferenze o lezioni.

 

Introduzione alla preghiera

Venerazione del libro delle scritture
Quando tutti sono radunati nella casa, si può cominciare la preghiera.
Chi guida la preghiera prende una bibbia, la apre alla pagina del Vangelo secondo Giovanni, cap 15. E dice:
La Parola di Dio ha fatto i cieli e la terra
       E tutti rispondono:
Parla, Signore: il tuo servo ti ascolta
      Quindi i presenti, uno alla volta, con libertà:
La Parola di Dio ha liberato Israele Parla, Signore: il tuo servo…
La Parola di Dio ha nutrito il suo popolo Parla, Signore: il tuo servo…
La Parola di Dio si è fatta carne Parla, Signore: il tuo servo…
La Parola di Dio cerca custodia nel cuore Parla, Signore: il tuo servo…
La Parola di Dio chiamerà a risurrezione Parla, Signore: il tuo servo…

Acclamazione al Signore
Guida: Il Signore Gesù, Parola del Dio vivente, è presente in mezzo a noi. Le sue parole sono Spirito e Vita. Le desideriamo, per rinnovare la nostra vita nel dialogo con lui.
    Quindi, insieme si recitano le parole del salmo 116(117)
Tutti: Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode,
perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre.

Gloria al Padre e al Figlio *
e allo Spirito Santo
Come era nel principio e ora e sempre, *
nei secoli dei secoli. Amen.

 

Ascolto

Lettura biblica (Gv 15,1-8)
Lettore: In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Osserviamo qualche istante di silenzio, per rileggere il brano e per permettere alla parola di Dio di radicarsi nel nostro cuore.
Quando lo ritiene opportuno, la Guida legge con calma questi punti di riflessione, per offrirli alla meditazione di tutti.

  • Dio ama vedere rigogliosa e feconda la vita dei suoi figli. Egli ci propone di portare non scarsità, bensì “molto frutto”. Anche noi desideriamo veder fiorire nella nostra vita opere di giustizia, di misericordia, di fedeltà, che rendano bella e soddisfacente la nostra vita e che facciano circolare il bene intorno a noi.
  • Questo frutto è da chiedere nella preghiera, perché non è conseguenza della nostra strategia, ma è grazia, opera divina in noi. Il bene che possiamo portare è la conseguenza della nostra disponibilità all’azione di Dio.
  • Prima di un nostro attivismo indaffarato, è la preghiera a garantire il frutto bello della nostra vita, una preghiera che ci porti all’unità con Gesù.
  • Senza di lui siamo sterili e infruttuosi. È lui, la sua vita divina che scorre in noi, a fare bella la nostra vita, con il suo frutto di bene da condividere. È la comunione con lui che fa di noi rami della sua pianta, viventi per l’unità con lui.
  • Questa comunione con il Signore è possibile attraverso la sua parola. È questa, infatti, che garantisce l’unità con una persona viva e non il possesso di un oggetto inanimato. Rischiamo sempre, con Gesù come con ogni altra persona, di illuderci di essere in comunione con lui solo per vicinanza, frequentazione, condivisione… ma senza l’ascolto della sua parola, custodita nel nostro cuore, noi non saremo suoi interlocutori, non saremo in comunione con lui.
  • Gesù ci parla, e nella comunione con lui ci insegna a pregare il Padre con efficacia.

Meditazione personale
Nel silenzio ognuno ripensa alle parole del vangelo e alle meditazioni proposte. Lodiamo il Signore per il dono della sua Parola, per la comunione con Cristo che riempie la nostra vita. Ringraziamo per le numerose occasioni di ascolto del Vangelo, che si propongono nella nostra vita.

Condivisione
Con libertà, chi lo desidera può condividere i suoi pensieri con i presenti, per l’edificazione comune. Ci accogliamo reciprocamente, con carità e incoraggiamento, senza correggerci o replicare, ma ringraziando Dio che parla a noi attraverso i fratelli.

Preghiera
Preghiera comune. Dal Sal 70.
Chi vuole può leggere uno dei versetti del salmo e dare così voce dal desiderio di tutti di rimanere uniti al Signore e di non essere lontani da lui.

  • In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso.
  • Per la tua giustizia, liberami e difendimi,
    tendi a me il tuo orecchio e salvami.
  • Sii tu la mia roccia, una dimora sempre accessibile;
    hai deciso di darmi salvezza: davvero mia rupe e mia fortezza tu sei!
  • Mio Dio, liberami dalle mani del malvagio,
    dal pugno dell’uomo violento e perverso.
  • O Dio, da me non stare lontano: Dio mio, vieni presto in mio aiuto.
  • Verrò a cantare le imprese del Signore Dio:
    farò memoria della tua giustizia, di te solo.

Intenzioni di preghiera
Guida: Abbiamo ascoltato Gesù e quindi siamo uniti a lui. Pieni di fiducia per questa comunione con lui sentiamo di essere accolti dal Padre celeste. Per questo diciamo.
Tutti: Ascoltaci, Signore!
I presenti, con libertà, possono esprimere una intenzione di preghiera a cui si uniscono tutti, ripetendo l’acclamazione.

Preghiera del Signore
Al termine delle preghiere, tutti si uniscono nella Preghiera del Signore.

Padre nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Amen.

Conclusione della preghiera e congedo

Benedizione

Guida:        Benediciamo il Signore per il suo amore e la sua bontà.
Ringraziamolo come figli suoi, per il suo amore di Padre.

Salmo 147

Uno dei presenti: Celebra il Signore, Gerusalemme, loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.
Tutti: Egli annuncia la sua parola al suo popolo:
così non ha fatto con nessun’altra nazione.
Uno dei presenti: Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.
Tutti: Egli annuncia la sua parola al suo popolo:
così non ha fatto con nessun’altra nazione.
Uno dei presenti: Fa scendere la neve come lana,
come polvere sparge la brina, getta come briciole la grandine:
di fronte al suo gelo chi resiste?
Tutti: Egli annuncia la sua parola al suo popolo:
così non ha fatto con nessun’altra nazione.
Uno dei presenti: Manda la sua parola ed ecco le scioglie,
fa soffiare il suo vento e scorrono le acque.
Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Tutti: Egli annuncia la sua parola al suo popolo:
così non ha fatto con nessun’altra nazione.

 

Mentre tutti si segnano con il segno della croce la guida conclude con queste parole:
Benediciamo il Signore.
Tutti: Rendiamo grazie a Dio.

 

Allegato 3. La Parola di Dio nella iniziazione cristiana

Papa Benedetto XVI nell’Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa disse:

Si è giustamente parlato di una sinfonia della Parola, di una Parola unica che si esprime in diversi modi: «un canto a più voci». I Padri sinodali hanno parlato a questo proposito di un uso analogico del linguaggio umano in riferimento alla Parola di Dio. In effetti, questa espressione, se da una parte riguarda la comunicazione che Dio fa di se stesso, dall’altra assume significati diversi che vanno attentamente considerati e relazionati fra loro, sia dal punto di vista della riflessione teologica che dell’uso pastorale. Come ci mostra in modo chiaro il Prologo di Giovanni, il Logos indica originariamente il Verbo eterno, ossia il Figlio unigenito, generato dal Padre prima di tutti i secoli e a Lui consustanziale: il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio. Ma questo stesso Verbo, afferma san Giovanni, si «fece carne» (Gv 1,14); pertanto Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, è realmente il Verbo di Dio fattosi consustanziale a noi. Dunque, l’espressione «Parola di Dio» viene qui ad indicare la persona di Gesù Cristo, eterno Figlio del Padre, fatto uomo.
Inoltre, se al centro della Rivelazione divina c’è l’evento di Cristo, occorre anche riconoscere che la stessa creazione, il liber naturae, è anche essenzialmente parte di questa sinfonia a più voci in cui l’unico Verbo si esprime. Allo stesso modo confessiamo che Dio ha comunicato la sua Parola nella storia della salvezza, ha fatto udire la sua voce; con la potenza del suo Spirito «ha parlato per mezzo dei profeti». La divina Parola, pertanto, si esprime lungo tutta la storia della salvezza ed ha la sua pienezza nel mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio. E ancora, Parola di Dio è quella predicata dagli Apostoli, in obbedienza al comando di Gesù Risorto: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Pertanto, la Parola di Dio è trasmessa nella Tradizione viva della Chiesa. Infine, la Parola di Dio attestata e divinamente ispirata è la sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento. Tutto questo ci fa comprendere perché nella Chiesa veneriamo grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una «religione del Libro»: il cristianesimo è la «religione della Parola di Dio», non di «una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente». Pertanto, la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile[37].

I percorsi di catechesi che con grande dedizione, generosità e impegno proponiamo e curiamo nelle nostre comunità cristiane per tutti i tempi della vita rivolgono lo sguardo a questo orizzonte: imparare ad ascoltare la Parola di Dio come “luogo” privilegiato di incontro con la persona del Risorto e fare risuonare la sua Parola nella vita di tutti, per accompagnare la risposta autentica della fede a Dio Padre che parla a ciascuno di noi nel Figlio Gesù Cristo. Nel discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio Catechistico Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana il Santo Padre Francesco diceva infatti:
[…] vorrei condividere tre punti che spero possano aiutarvi nei lavori dei prossimi anni. Il primo: catechesi e kerygma. La catechesi è l’eco della Parola di Dio. Nella trasmissione della fede la Scrittura – come ricorda il Documento di Base – è «il Libro; non un sussidio, fosse pure il primo» (CEI, Il rinnovamento della catechesi, n. 107). La catechesi è dunque l’onda lunga della Parola di Dio per trasmettere nella vita la gioia del Vangelo. Grazie alla narrazione della catechesi, la Sacra Scrittura diventa “l’ambiente” in cui sentirsi parte della medesima storia di salvezza, incontrando i primi testimoni della fede. La catechesi è prendere per mano e accompagnare in questa storia. Suscita un cammino, in cui ciascuno trova un ritmo proprio, perché la vita cristiana non appiattisce né omologa, ma valorizza l’unicità di ogni figlio di Dio. La catechesi è anche un percorso mistagogico, che avanza in costante dialogo con la liturgia, ambito in cui risplendono simboli che, senza imporsi, parlano alla vita e la segnano con l’impronta della grazia.
Il cuore del mistero è il kerygma, e il kerygma è una persona: Gesù Cristo. La catechesi è uno spazio privilegiato per favorire l’incontro personale con Lui. Perciò va intessuta di relazioni personali. Non c’è vera catechesi senza la testimonianza di uomini e donne in carne e ossa. Chi di noi non ricorda almeno uno dei suoi catechisti? Io lo ricordo: ricordo la suora che mi ha preparato alla prima Comunione e mi ha fatto tanto bene. I primi protagonisti della catechesi sono loro, messaggeri del Vangelo, spesso laici, che si mettono in gioco con generosità per condividere la bellezza di aver incontrato Gesù. «Chi è il catechista? È colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in sé stesso – è un “memorioso” della storia della salvezza – e la sa risvegliare negli altri. È un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà» (Omelia per la giornata dei catechisti nell’Anno della Fede, 29 settembre 2013) [38].

La centralità della Parola di Dio nell’esperienza che inizia alla vita cristiana era già stata espressa da Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium sull’annuncio del vangelo nel mondo attuale:
Tutta l’evangelizzazione è fondata su di essa [la Parola di Dio], ascoltata, meditata, vissuta, celebrata e testimoniata. La Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione. Pertanto, bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la Parola di Dio «diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale». La Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana. Abbiamo ormai superato quella vecchia contrapposizione tra Parola e Sacramento. La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la recezione del Sacramento, e nel Sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia.
Lo studio della Sacra Scrittura dev’essere una porta aperta a tutti i credenti. È fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria. Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la parola, perché realmente «Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso». Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata[39].

E nel Documento Base Il rinnovamento della catechesi leggiamo:
La Parola di Dio è essenziale per ogni esperienza cristiana: non c’è iniziativa o struttura pastorale, che non rifletta l’esigenza di ascoltare, di presentare e di approfondire il messaggio evangelico[40].
Nella comunità parrocchiale, la catechesi può trovare normalmente l’ambiente adatto per una piena presentazione della Parola di Dio. Qui, più che altrove, la catechesi può divenire unitariamente insegnamento, educazione, esperienza di vita. Non c’è aspetto del mistero cristiano, non c’è problema umano, non c’è avvenimento di attualità, che non debbano trovare sensibili e pronti alla riflessione sacerdoti e fedeli. […] Oggi, non si possono ignorare i limiti e le difficoltà della parrocchia; ma le sue aspirazioni e le sue possibilità restano pur sempre quelle di vivere e di annunciare in tutta pienezza il mistero cristiano, offrendo a ciascuno il dono di cui ha maggiore bisogno, con particolare sensibilità per coloro che sono soli, per i lontani, i bisognosi, i poveri d’ogni genere. Del resto, la comunità parrocchiale non si chiude in se stessa: respira la vita della Chiesa universale, coltiva il senso della diocesi, procura di allargare le sue possibilità educative aprendosi a forme di collaborazione interparrocchiali, porta il suo contributo a tutto il popolo di Dio[41].
Oltre che per la sua pienezza di intenti e di risorse, la catechesi parrocchiale si caratterizza come iniziazione alla vita ecclesiale e all’apostolato. In parrocchia, si parla spesso di Dio che chiama, dei segni del suo piano salvifico e della sua volontà, di famiglia cristiana, di vocazione, di generoso impegno apostolico, di operosa presenza nel mondo. Qui, l’insegnamento dei Pastori e il senso comune della fede del popolo di Dio risuonano con accenti singolari, additando in modo efficace le vie della fede, della speranza, della carità. Qui, con viva immediatezza, traspare la perenne presenza di Cristo che parla, santifica, perdona, consola e conferma nello Spirito, tutto associando alla sua beata passione e alla sua gloriosa risurrezione. È questa una esperienza singolare e insostituibile, autentica esperienza di Chiesa, cui il cristiano può fare riferimento con grande vantaggio spirituale, anche quando vive ai margini della pratica religiosa[42].

 

Note

[1] L’Osservatore Romano, Anno CLIII, n. 216, sab. 21/09/2013

[2] Cfr. Francesco, Discorso del S. Padre all’incontro con i giovani, Cattedrale di Tokyo, 25 novembre 2019

[3] Leone XIV, Discorso del S. Padre al Collegio cardinalizio, 10 maggio 2025

[4] Paolo VI, Messaggio all’intera Famiglia Umana Qui fausto die, 22 giugno 1963

[5] Leone XIV, Discorso del S. Padre ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, 17 giugno 2025

[6] Francesco, Spes non confundit, 1

[7] Ibid., 4

[8] Leone XIV, Discorso del S. Padre ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, 17 giugno 2025

[9] Benedetto XVI, Omelia nella S. Messa di apertura dell’Anno della fede, 11 ottobre 2012

[10] Leone XIV, Omelia nella celebrazione per l’inizio del ministero petrino, 18 maggio 2025

[11] Ibid.

[12] Francesco, Omelia nella celebrazione della prima Domenica della Parola a Bologna, 1° ottobre 2017

[13] Girolamo, Commento al profeta Isaia, Prologo

[14] Anastasio Sinaita, Discorso sulla santa Eucaristia

[15] Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, n. 39

[16] Cesario di Arles, Omelia 7,2

[17] Gregorio Magno, Epist. 5,46

[18] Ambrogio, Epist. 49,3

[19] Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, I, X, 7

[20] Gregorio Magno, Moralia in Iob, 16,24

[21] Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, I, 10,14

[22] Dietrich Bonhoeffer Werke 15,518

[23] Aelredo di Rievaulx, Serm. De hom., PL 195, 363 c

[24] Ruperto di Deutz, In Joannem, VI

[25] Cesario di Arles, Serm. 78,2

[26] Cipriano di Cartagine, Epist.1,15; PL 4,221b

[27] Girolamo, Epist. XXII,25

[28] Ambrogio, De Officiis, I, 20,88

[29] Francesco d’Assisi, Lettera a tutti i frati dell’ordine, 4, FF n.225

[30] Giovanni Cassiano, Conferenze ai monaci II, p.195

[31] Agostino, Confessioni III, 5,9

[32] Agostino, Esposizione sul Salmo 33,

[33] Dietrich Bonhoeffer Werke 5,38

[34] Anthony Bloom, La preghiera giorno dopo giorno, Qiqajon, 1996

[35] Ambrogio, De Cain et Abel, II,3,12

[36] S. Quacquaro, Il Gruppo del Vangelo di Bologna. Le origini (1920-1925) in RTE n. 39, 2016

[37] Papa Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa (2010), 7.

[38] Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio Catechistico Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana (31 gennaio 2021).

[39] EG 174-175.

[40] DB 143.

[41] DB 149.

[42] DB 150. Cf. anche Papa Leone XIV, Udienza generale (piazza San Pietro, 21 maggio 2025): https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/audiences/2025/documents/20250521-udienza-generale.html

 

 

 

 

 

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