Un convegno per riflettere su come aiutare i ragazzi ad essere protagonisti del proprio futuro
Lunedì 19 maggio all’Auditorium Santa Clelia sono stati presentati i risultati del report del progetto «Giovani protagonisti» 2024/25, sul tema «Tra scuola e società», realizzato da Marialuisa Villani e Riccardo Prandini dell’Unibo, realizzato con i 297 studenti delle 12 classi terze dell’Istituto Belluzzi Fioravanti con l’obiettivo di offrire una lettura multilivello dell’esperienza studentesca per una riprogettazione educativa. Il progetto Giovani Protagonisti è promosso da Tavolo delle dipendenze e Ufficio di Pastorale scolastica giunto quest’anno alla sua terza edizione. Sono intervenuti il cardinale Matteo Zuppi, il dirigente scolastico Vincenzo Manganaro dell’istituto Belluzzi Fioravanti, il prof. Prandini di Università di Bologna, il direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale Bruno di Palma, gli assessori comunale Daniele Ara e regionale Isabella Conti. Erano presenti gli educatori delle tre cooperative che hanno gestito il progetto (CEIS, Papa Giovanni XXIII e Open group), dirigenti e insegnanti di vari istituti scolastici di Bologna ed alcuni studenti dell’Istituto Belluzzi-Fioravanti accompagnati dall’insegnante Letizia Cotti che ha seguito il progetto all’interno dell’istituto stesso. Questi ultimi, nelle parole di Alice, Alessandro, Matteo e Andrea sono stati i veri protagonisti dell’incontro: hanno raccontato con semplicità e spontaneità come il progetto abbia permesso loro di “dirsi cose che in altri contesti fanno fatica a dirsi”, di “essere al centro di noi stessi”, di “relazionarsi con il futuro e sentirsi consapevoli di diventare grandi”, perché questo è “stato uno dei migliori progetti a cui ho partecipato”. Allo stesso tempo tutti gli intervenuti hanno concordato sulla necessità di creare un “villaggio educativo” nel quale le varie componenti collaborino per dare un futuro ai ragazzi, di fronte a problemi che le generazioni passate non avevano affrontato: la solitudine con il covid, la guerra, “erano caduti muri, ora si rialzano”, c’era una ideale, oggi “molte macerie e pochi riferimenti”. In questo contesto dobbiamo riconoscere che la scuola è importante perché dà cittadinanza a tutti e di conseguenza intercetta molti disagi, molte differenze, e molta solitudine dei ragazzi e di conseguenza dobbiamo partire da questo contesto per “investire di più per capire il loro disagio”. C’è bisogno di insegnanti che sappiano guardare al ragazzo non solo come studente, ma come persona, c’è bisogno di un’educazione alla relazione, agli affetti, c’è bisogno di un patto di corresponsabilità tra scuola, istituzioni e famiglia per creare una comunità educante: Il mondo è complesso, “la scuola deve dare la bussola”, senza avere paura, “nessuno ha la chiave, dobbiamo lavorare insieme”. Le parole degli intervenuti si sono rispecchiate nei dati riportati dal lavoro svolto dall’Università sulla base degli elaborati forniti dai ragazzi. E’ emerso come non ci sia nei ragazzi la spinta verso una partecipazione sociale, sono isolati, ma sentono il bisogno di uno stimolo; sono evidenti molte diseguaglianze e i rapporti a scuola, in particolare con gli adulti, sono molto formali. I ragazzi chiedono uno spazio di ascolto strutturato e una maggior attenzione alle emozioni e agli affetti. Più volte è stata ripresa la tragedia del giovane Fallou, come “un vuoto che ci accompagnerà” per capire meglio ciò che ci circonda, per costruire ponti tra le persone, per ritrovare le emozioni più che le prestazioni, perché i ragazzi tornino ad essere “protagonisti dei loro sogni” e agli adulti “il dovere di dare loro la speranza”.
