Giovedì 24 ottobre nella Cripta di San Pietro a Bologna, al ritiro diocesano in occasione della festa della Dedicazione della Cattedrale, monsignor Giacomo Morandi Arcivescovo-Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla e Presidente della Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna ha proposto una meditazione dal titolo «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi (1Pt 3,15)». Una riflessione che prende avvio dalla prima lettera di Pietro, ma che spazia tra le pagine teologiche più antiche a quelle più recenti, in un dialogo ricco di spunti. In un tempo in cui la speranza sembra non avere più diritto di cittadinanza. Eppure, e parte da qui Morandi, «ciò che è caratteristico del discepolo è proprio la speranza, che caratterizza l’esperienza del credente. Il discepolo di Cristo è testimone della speranza, ne è intriso». Come sia possibile, in un modo contrassegnato dal male, dalle difficoltà, dalla crisi, è una domanda alla quale sembra difficile dare risposte. Ma, avverte Morandi, la culla della speranza non è un tempo di ottimismo. Al contrario, osserva, «essa si radica proprio in un contesto nel quale tutto sembra assecondare avvilimento e disperazione: l’ottimismo, invece, annullando la tragicità del male, è il nemico peggiore della speranza». Fondamento della speranza, sottolinea il Presidente Ceer, è il suo collegamento con la dimensione escatologica dell’esistenza. Che oggi sembra essersi persa, anche nella pratica del ministero: «Oggi si fa fatica, anche nelle nostre comunità ecclesiali, a parlare di quello che un tempo si chiamavano «i novissimi». Viviamo in un tempo angusto, cioè il presente, che è stretto perché non riusciamo più a collegare ciò che stiamo vivendo con la meta verso la quale siamo in cammino». L’idea, insomma, che la storia abbia una direzione, che sia incamminata verso la salvezza. Ecco, indica Morandi, il compito dei presbiteri: «Non possiamo permetterci il lusso dell’avvilimento – ammonisce – ogni decisione deve essere presa tenendo conto della Gerusalemme celeste: più che essere un’esigenza per il futuro, questa è una necessità per il presente». E quindi, nel grande disorientamento della città degli uomini, la speranza della meta, della città di Dio, diventa un’ancora. E insieme l’augurio per il vicino Giubileo: «Che le nostre comunità diventino luoghi dove le persone fanno esperienza della comunione: siamo chiamati a rendere ragione di questa speranza, perché le nostre radici più profonde sono nella Gerusalemme celeste». La registrazione integrale dell’intervento è disponibile sul sito www.chiesadibologna.it e sul canale YouTube di 12Porte.




