Introduzione alla S. Messa nelle esequie  del Sen. Beniamino Andreatta

Bologna

Nel giorno in cui la Chiesa celebrava la Solennità dell’Annunciazione, il Signore chiamava a sé il Sen. Beniamino Andreatta. Oggi, “nell’ora in cui S. Pietro saliva al Tempio a pregare”, siamo qui riuniti dall’ “unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, per celebrare, nell’Eucaristia, il mistero della Pasqua del Signore, in suffragio di questo nostro fratello e per contemplare l’orizzonte della vita eterna nello splendore del volto di Cristo Risorto.

S. Em. il Cardinale Arcivescovo Carlo Caffarra, trattenuto a Roma per i lavori della Conferenza Episcopale Italiana, invia la sua Benedizione, si unisce alla nostra preghiera e partecipa al dolore della famiglia, parte viva e consapevole della Santa Chiesa pellegrina in Bologna.

Fedele all’insegnamento della parabola evangelica (Cf. Mt 25, 14ss.) Beniamino Andreatta non ha sotterrato i molti talenti che il “Padrone” gli aveva elargito, tenendoli per sé.

Questi talenti egli li ha “trafficati” e li ha fatti rendere per restituirli, accresciuti, al suo Signore: nel campo degli studi e della ricerca economica, dove fu grande e riconosciuto maestro; nell’insegnamento accademico; nella politica, che visse come luogo preminente della pratica della carità innestandosi in quel tronco fecondo della tradizione dei cattolici italiani che traeva linfa dalle radici antiche della dottrina sociale della Chiesa, interpretata e riletta nell’orizzonte della cultura europea.

La Benedizione dell’Arcivescovo e la mia personale, insieme alla grata ammirazione di noi tutti, scendano dunque sulla famiglia del Sen. Andreatta – sulla moglie Giana e i figli Tinny, Tommaso, Filippo, Erica – che hanno percorso con lui – autentici cirenei – una lunghissima via della Croce.

A loro diciamo un grazie riconoscente per la lezione esemplare che ci hanno dato, insegnandoci silenziosamente ma concretamente, sul campo dell’esperienza consumata e contro il “benpensare” corrente, che la vita è sempre e comunque degna di essere vissuta, anche nelle condizioni più estreme di precarietà, e che anche un solo palpito o respiro, fosse pure inconsapevole, solo che lo accogliamo come un dono, è sempre fonte di serenità e di cristiana speranza, sorgente d’acqua viva che zampilla per noi come viatico per una vita destinata all’eternità.

29/03/2007
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