Ringraziamento nel contesto della Messa Crismale

Bologna, Cattedrale

Ringrazio Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo per le parole gratificanti rivolte alla mia persona e, ancor più, per averle pronunciate nel contesto di questa convocazione ecclesiale, «dies natalis» del nostro sacerdozio e di quello dei fedeli, che insieme perpetuano l’unico sacerdozio di Cristo.

Consapevole dei miei limiti, so di non meritare questo giudizio lusinghiero, ma lo accolgo nella fede come espressione di quella comunione ecclesiale, garantita sempre dalla struttura sacramentale della Chiesa. Attraverso il mistero dei “santi segni”, la nostra povera umanità è irrobustita e assunta dal “Pontefice della nuova alleanza” (Prefazio della Messa Crismale), per rendere vivo e operante l’«oggi» fissato da Dio per noi (Cf. Eb 4, 7), in adempimento della Scrittura, al fine di proclamare, celebrare e introdurre nel tempo degli uomini l’«anno di grazia del Signore» (Cf. Lc 4, 18-19).

Questo mistero di comunione, mi aiuta a comprendere meglio “i tempi e i momenti” della volontà di Dio e soprattutto a non dimenticare che “l’unzione dello Spirito Santo” continua ad agire in ciascuno di noi, sempre e in ogni circostanza, specialmente nel momento della prova. Secondo Paolo, infatti, la tribolazione produce pazienza, virtù e speranza, la quale non delude, perché garantisce la presenza in noi dell’amore di Dio “riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Cf. Rm 5, 3-5).

L’ 8 febbraio scorso, sono entrato nella categoria dei Vescovi Ausiliari Emeriti, una novità per la nostra Chiesa, che ha sempre visto i Vescovi Ausiliari assumere la guida di una Diocesi in Emilia Romagna o altrove. Sono rimasto qui volentieri, ubbidendo alla volontà del Signore e al desiderio nel nuovo Arcivescovo. Avrei potuto anch’io “metter su famiglia” ma, al momento della scelta, mi sono accorto che una famiglia l’avevo già: la Chiesa di Bologna, dove sono nato e cresciuto e per la quale ho sempre cercato – talvolta non ci sono riuscito – di spendere le energie migliori, là dove la Provvidenza mi ha inviato, restituendo quanto avevo ricevuto da tanti santi e autentici educatori.

Ora, come è noto, per volontà del Cardinale Arcivescovo, continuerò a lavorare nel “campo di Dio” che è in Bologna, fino a quando il Signore mi concederà la salute e il mio servizio sarà giudicato utile e opportuno. Desidero solo una cosa: essere segno e strumento di comunione, anche se la mia caratteristica di “figlio del tuono” (Cf. Mc 3, 17) potrebbe far pensare il contrario.

Quando l’11 dicembre 1987 fui nominato Pro Vicario Generale e Moderatore della Curia qualcuno, nell’ambiente, mi disse: «Ricordati che gli Arcivescovi passano e la Curia resta!». La mia esperienza vissuta, prima nella Casa Arcivescovile, poi in Parrocchia e, infine, ai vertici della Curia stessa, mi dice che, ovunque ci troviamo, dobbiamo imparare a guardare oltre la nostra realtà particolare, perché apparteniamo tutti alla stessa grande famiglia di Dio, “adunata dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Lumen gentium, n. 4). Se nella Chiesa accettiamo la logica mondana della contrapposizione, lasciamo spazio al «serpente antico» (Ap 12, 9) che, attraverso la menzogna, ci frantuma, espelle Dio dalla storia e fa’ prevalere l’antica Babilonia, la «città del caos» (Cf. Is 24, 10) sulla “nuova Gerusalemme” (Cf. Ap 21, 2).

In questo mi ha sempre aiutato la consapevolezza dell’importanza primaria della «successione apostolica», che connette la Chiesa dei nostri giorni al Signore risorto. Negli Arcivescovi Lercaro, Poma, Manfredini, di venerata memoria, e nei loro successori gli Arcivescovi Biffi e Caffarra, al di là delle loro diversità contingenti, ho sempre visto il principio sacramentale dell’unità della nostra Chiesa e la garanzia di non “lavorare e correre invano” (Cf. Fil 2, 16).

Le sono grato, Eminenza, per avermi trattenuto in questa bella e santa Chiesa bolognese. Le chiedo perdono se in questi anni, involontariamente, l’ho rattristata. La mia vera e sincera intenzione è sempre stata quella di aiutarLa, senza riserve e senza zone d’ombra, a svolgere nel migliore dei modi il Suo ministero. È con questo stesso spirito che continuerò a svolgere i compiti che ora mi ha affidato.

A voi Sacerdoti rinnovo la mia stima e la mia riconoscenza, certo di poter contare sulla vostra comprensione, per non essere stato sempre all’altezza delle vostre aspettative. Non posso dimenticare quanti, Sacerdoti e laici, hanno collaborato con me più da vicino in centro Diocesi. Debbo a loro se, in qualche modo, “me la sono cavata”. Anche nei momenti più difficili, non è mai venuto meno il loro intelligente e cordiale sostegno. Un grato pensiero giunga al Pro Vicario Generale Mons. Gabriele Cavina, che ho sempre sentito vicino, disponibile e collaborativo in ogni circostanza. Non so se Lui potrà dire altrettanto di me. A Te, caro Mons. Giovanni, nuovo e giovane Vicario Generale e Moderatore della Curia, dico che il Cardinale ha fatto un’ottima scelta: la tua preparazione, la tua pluriforme esperienza, la tua capacità di comunione porteranno frutti abbondanti.

Infine, per quanto mi riguarda, nonostante i 75 anni ben portati e l’ottima salute, so bene di essere entrato nell’ultima fase della mia esperienza terrena. Per questo, ogni giorno prego con le parole dette a Gesù dai discepoli di Emmaus: «Resta con me Signore perché si fa sera e il giorno già volge al declino» (Cf. Lc 24, 29). Ho detto questo non per una mia incipiente depressione né per una latente e malinconica frustrazione, ma perché «il tempo si è fatto breve» (1 Cor 7, 29) e credo fermamente come Maria, la sorella di Lazzaro, alle parole di Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11, 25-26).

21/04/2011
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