Saluto al Convegno sul tema «Un secolo di contrattazione collettiva: verso una nuova contrattazione sindacale?» nel contesto delle celebrazioni conclusive del Centenario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana

Bologna

Ho accolto volentieri l’invito a partecipare a questo importante Convegno, promosso nel contesto delle celebrazioni centenarie della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e, come Segretario e Delegato per le Comunicazioni Sociali, sono particolarmente lieto di portare il saluto della Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna e del suo Presidente, il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna.

Non è mio compito entrare nel merito del tema posto al centro del Convegno, mentre sono persuaso che esso sia aperto a un contesto più ampio, capace di recuperare una doppia dimensione: quella diacronica, per non disperdere la vostra esperienza secolare, ricca di memoria e di stimoli promozionali, in chiara evidenza nella mostra “Cento anni sulla notizia”; quella sincronica, per salvaguardare, oggi, nei mezzi della comunicazione le loro potenzialità educative, in quanto “parte integrante della questione antropologica”, una sfida che incombe sul XXI secolo.

La vocazione più alta della comunicazione sociale, infatti, è quella di presentare la verità sull’uomo, in opposizione alla tendenza, non sempre contrastata, a porsi come megafono del materialismo economico e del relativismo etico, vere piaghe del nostro tempo.

Indro Montanelli, nella sua ultima lezione di giornalismo, tenuta il 12 maggio 1997, ha detto: “L’Italia, oltre ad aver sempre mescolato il serio col futile, ha sempre preso il futile come l’unica cosa seria. E noi giornalisti non facciamo che adeguarci, portando agli eccessi questa perversione del nostro costume”.

Inoltre, ha messo in guardia i giornalisti dalla tentazione del protagonismo, attraverso la ricerca dello scoop dicendo che “esso è la scorciatoia dei somari. Consente di arrivare prima, ma male” e fa perdere la fiducia dei lettori. “Questa fiducia bisogna conquistarsela seriamente e faticosamente, giorno per giorno” (Cf. La Stampa, 12-4-2009).

La via migliore è quella di produrre cultura. Non ogni elaborato umano lo è, perché la discriminante è la “coltivazione” dell’uomo e la sua crescita verso una misura alta della vita, in alternativa alle spinte verso le “degenerazioni antropologiche” (Cf. Censis 2007, p. 70).

Purtroppo, la vera cultura in Italia non gode di una grande diffusione e quel poco che è stato fatto, in gran parte è merito del giornalismo. Ai giorni nostri, questo mestiere è diventato più esigente di ieri, perché il fare cultura giornalistica, nella complessità, significa esercitare l’arte faticosa del “cum-promittere”, che non è il compromesso ideologico o strumentale, ma la mediazione tendente alla ricerca seria della verità dei fatti, per divulgarli nel rispetto della propria dignità professionale, ma anche, e soprattutto, del valore inalienabile della persona umana, al di sopra di qualunque obiettivo editoriale.

Anche per la mia esperienza personale, posso dire che la strada da percorrere, per raggiungere questi traguardi, è ancora molto lunga, ma la coscienza giornalistica oggi emergente, sente l’esigenza di muoversi in questa direzione, per alimentare una cultura del rispetto, del dialogo, dell’amicizia e della condivisione.

Come Vescovo non posso dimenticare che la sorgente prima della verità e dell’amore, matrici ineludibili di ogni altro valore, è Gesù Cristo, morto e risorto, che ha presentato se stesso come “via, verità e vita” (Cf. Gv 14, 6) e ci ha lasciato in eredità il suo corpo eucaristico, “per la vita del mondo” (Cf. Gv 6, 51).

Per diffondere questa “buona notizia” Egli ha inviato in ogni angolo della terra i suoi discepoli che, ben presto, hanno sentito il bisogno di scrivere quello che hanno udito, per dare sostanza “performativa” all’informazione, rendendola capace di plasmare la vita in modo nuovo (Cf. Spe salvi, 10).

Da quando il “Logos” si è fatto carne e il “Verbo della vita” si è fatto visibile, “il tempo è diventato dimensione di Dio” (Giovanni Paolo II). Pertanto, le parole che il regista Sydney Pollack, nel film “The Interpreter”, fa pronunciare al leader Edmond Zuwani, sono un sicuro punto di riferimento per ogni coscienza comunicativa: “Il più lieve bisbiglio può essere udito al di sopra degli eserciti quando dice la verità”.

Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

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18/04/2009
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