Saluto all’assemblea di Confcooperative

Bologna, Palazzo dei Congressi

Sono particolarmente lieto di essere qui, stamattina, per esprimere la vicinanza, la simpatia e la riconoscenza della Chiesa di Bologna alla «Confcooperative» che, da 58 anni, opera sul nostro territorio.
Inoltre, ho il gradito incarico di portare il saluto cordiale e affettuoso dell’Amministratore Apostolico, S. Em. il Cardinale Giacomo Biffi, e dell’Arcivescovo eletto, S.E. Mons. Carlo Caffarra.
Dire «Confcooperative», oggi, significa guardare in faccia la realtà di un’associazione ben strutturata su tutto il territorio nazionale, che si presenta come la principale organizzazione di rappresentanza, assistenza e tutela del «movimento cooperativo» presente in Italia e nel mondo.
Ma guardare con obiettività i frutti, che questa pianta robusta e ben compaginata ha maturato nel tempo, a beneficio dello sviluppo economico e sociale della nostra terra, significa anche riscoprire, in campo cattolico, le radici di un impegno sociale e politico particolarmente fecondo, ispirato ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa.
Quello delle Cooperative è stato un percorso lungo e articolato, che nelle sue idealità si innesta nella seconda metà del XIX secolo quando, con la «questione sociale», sorta all’emergere dello sviluppo industriale, anche nella Chiesa si valutavano le opportunità offerte dalle «cose nuove» apparse all’orizzonte della storia.
Con l’Enciclica «Rerum Novarum» (1891) di Leone XIII (1878-1903), la Chiesa pronunciò una parola chiara in merito ai nuovi dinamismi sociali e dette l’avvio a una fase feconda di approfondimento dottrinale e di opere sociali esemplari e lungimiranti.
Nacque un sindacalismo cristiano estraneo alle teorie marxiste, che operò efficacemente soprattutto negli ambienti agricoli, dove vennero create cooperative di produzione e di consumo, casse rurali, società di mutuo soccorso, spezzando il monopolio socialista della rappresentanza dei lavoratori (Cf. A. Torresani, 228).
Le cooperative di ispirazione cristiana hanno il merito di avere sempre alimentato la persuasione che l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio e modellato su Cristo, sta al centro di tutto e che, pertanto, va evitato ogni “strabismo antropologico”.
L’Enciclica Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II, in continuità col magistero precedente, mette in evidenza che l’errore fondamentale del socialismo marxista-leninista è di carattere antropologico, in quanto considera il singolo uomo una semplice particella dell’organismo sociale, privo di capacità decisionale autonoma e di titolarità alla proprietà privata (CA, 13). In sostanza, in tale sistema scompare il concetto di persona e l’uomo viene considerato un essere dipendente dalla macchina sociale e privato della sua aspirazione fondamentale: la libertà che ha la sua vera sorgente nella verità (Cfr. Gv 8, 32).
D’altra parte, anche nella società di libero mercato rimane il rischio di un nuovo errore antropologico, quando le risorse umane vengono abbandonate a se stesse o dimensionate secondo parametri inadeguati: per esempio, non è possibile comprendere l’uomo partendo unilateralmente dal settore dell’economia (CA, 24) o dalle sole funzioni che l’individuo è chiamato a svolgere nell’organizzazione dell’impresa.
L’uomo ha una sua identità che non può essere parcellizzata nel contesto dell’identità del gruppo organizzato, senza provocare una scissione alienante nella sua persona.
Se le risorse umane sono indispensabili alla qualità dell’organizzazione di una qualunque attività che abbia dei traguardi da raggiungere, esse vanno protette dalle insidie delle antiche e nuove forme di alienazione, cioè da tutto ciò che spinge l’uomo ad estraniarsi da se stesso, identificandosi con le realtà da lui prodotte, fino a diventare uno strumento passivo (CA, 41) o, peggio ancora, ingombrante o superato, quando non riesce a stare al passo con i tempi.
Ne consegue che la gestione delle risorse umane e finanziarie nel nuovo secolo non deve considerare l’economia di mercato un referente onnicomprensivo, se non si vogliono introdurre nell’organizzazione sociale delle alterazioni che, a lungo termine provocano, da un lato, disordine, lotta, rivolta, dall’altro, una gestione spregiudicata delle risorse da parte di grandi e occulti potentati finanziari, col rischio della violazione dei diritti più elementari delle persone.
In sostanza, una democrazia moderna, capace di coniugare libertà e verità, non si costruisce con le strategie virtuali o di facciata. Le persone consapevoli sanno che, alla prova del tempo, solo l’impegno serio e la capacità di interagire con le fonti autentiche dell’elaborazione culturale e sociale, unita alla disponibilità alla formazione permanente, stanno alla base di un autentico progresso umano, ma sanno anche che il supporto di ogni traguardo davvero promozionale è la coltivazione integrale delle risorse umane, che hanno il loro vertice nelle componenti spirituali, le sole in grado di introdurre nell’orizzonte umano la qualità totale (Cf. Giovanni Paolo II, OR, 2-3 maggio 2000).
Oggi le cooperative hanno raggiunto il traguardo di una moderna dimensione di impresa, attraverso una progressiva evoluzione approdata alla piena maturità. Ciò permette alla «Confcooperative» un rinnovamento identitario al passo con i tempi, ma fedele alle proprie radici e alla propria storia.
In tale prospettiva «la cooperazione – come ha ricordato il Presidente Luigi Marino – non si limita ad operare altruisticamente, ma invita i titolari di bisogni sociali a farsi protagonisti nella ricerca delle risposte da dare ai bisogni stessi».
Questa è la via giusta per evitare la «diaspora culturale dei cattolici», perché è la rimessa in gioco di quel supplemento di impegno, capace di reinvestire l’«eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo in termini culturali moderni», come ha suggerito la Nota dottrinale della “Congregazione della Dottrina della Fede” circa l’impegno dei cattolici nella vita sociale e politica (Cf. n. 7).
Al di là della ricerca di visibilità sociale e di ruoli personali prestigiosi fine a se stessi, oggi emerge il bisogno di cattolici preparati, in grado di irrobustire una «democrazia argomentativa», che metta in campo la Dottrina sociale della Chiesa, attraverso la dimensione della ragionevolezza della fede.
La nostra democrazia, che oggi soffre di una crescente “complessità” e manca degli strumenti adeguati per gestirla e orientarla, ha bisogno di “nuove forme”, che garantiscano alla società civile spazi, anche inediti, di partecipazione.
I laici cattolici sono, dunque, chiamati a riscoprire i “valori universali” capaci di aggregare persone di diversa appartenenza culturale, religiosa, etnica, disposti a riflettere e a identificare tali valori nell’area del «diritto naturale», che esiste nonostante i suoi detrattori, ed è in grado di accomunare ogni essere umano attorno alle coordinate fondamentali della vita (Cf. S. Ferrari, ivi).
Nella grande “partita”, in cui la democrazia gioca il suo futuro, i veri credenti in Cristo non si rassegnano a rimanere seduti in “panchina”, ma, negli opposti schieramenti, prendono l’iniziativa, perché il gioco sia leale ed esprima il meglio di sé, nella riscoperta che lo scopo del confronto non è lo scontro, ma l’autentica promozione dell’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio.
Questa Assemblea Provinciale di «Confcooperative» si pone come una tappa importante nella preparazione alla 44a “Settimana Sociale dei Cattolici Italiani”, che si terrà a Bologna dal 7 al 10 ottobre prossimo e metterà a tema proprio la democrazia, con i suoi “nuovi scenari” e “nuovi poteri”.
L’occasione d’eccezione, che viene offerta anche ai cattolici dell’Emilia Romagna come un “tempo favorevole”, è di quelle da non perdere: per riflettere seriamente sull’identità cristiana; per giudicare obiettivamente le «cose nuove» che emergono nella società; per scegliere e agire consapevolmente, nella promozione del bene dell’Italia e della nuova Europa.
La Chiesa di Bologna augura a tutti un buon lavoro e un felice compimento dei vostri buoni propositi.

 

 

13/02/2004
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