LA LIBERTA’ UMANA NELLA CONCEZIONE CRISTIANA

Consentitemi di iniziare da una citazione. «Né i greci né i

romani, né parimenti gli asiatici sapevano che l’uomo in quanto

uomo è nato libero, ch’egli è libero: nulla sapevano di

questo concetto. Essi sapevano che un ateniese, un cittadino romano, un ingenuus, è libero:

che si dà [fra gli uomini] libertà e non libertà: non

sapevano tuttavia che l’uomo è libero come uomo – cioè l’uomo

universale, l’uomo come lo prende il pensiero e come esso si apprende

nel pensiero. è il cristianesimo che ha portato la dottrina che davanti

a Dio tutti gli uomini sono liberi, che Cristo ha liberato gli uomini, li ha

resi uguali davanti a Dio, li ha liberati alla libertà cristiana. Il

progresso enorme è che queste determinazioni (della libertà)

rendono la libertà indipendente dalle condizioni di nascita, stato,

educazione ecc. che sono ben diverse da ciò che forma il concetto di

uomo per essere un [soggetto] libero». [G. Hegel, Lezioni sulla storia

della filosofia; cit. da C. Fabro, Riflessioni sulla libertà, EDIVI,

Segni 2004, pag. 171; più precisa è la formulazione della stessa

idea in Enciclopedia delle scienze filosofiche § 482; Universale Laterza

58, pag. 442-443].

Non ci proponiamo di esporre il pensiero di Hegel al riguardo, ed il suo sviluppo.

La citazione voleva solo introdurci nel grande tema di queste tre lezioni:

la libertà del singolo è stata costituita dall’annuncio

cristiano, anche se oggi la coscienza dell’appartenenza essenziale della

libertà all’uomo come tale è divenuta un guadagno spirituale

acquisito anche da chi non si riconosce nella fede cristiana. Nel senso del

discorso introduttivo che stiamo facendo,  parlando di libertà è giusto

dire che ciascuno di noi “non può non dirsi cristiano”.

Ma ritorniamo al nostro tema. In questa prima lezione vorrei rispondere alla

seguente domanda: perché l’idea che l’essenza propria dello

spirito è la libertà ha potuto porsi solo coll’annuncio

cristiano?

La risposta che io costruirò a questa domanda si articola in tre momenti:

perché il cristianesimo pone all’origine dell’uomo un atto

di intelligenza e di libertà; perché il cristianesimo finalizza

il singolo all’eternità; perché il cristianesimo istituisce

la possibilità della scelta intesa come la generazione del proprio io

eterno. Dividerò pertanto la presente lezione in tre parti. Prima parte:

la libertà vista alle spalle; seconda parte; la libertà vista

dal fine; terza parte: la libertà vista nel suo percorso.

Alle spalle della libertà.

Il fatto a noi più evidente è anche il fatto più enigmatico:

quello del mio esserci, il fatto che “io esisto”. Ho pronunciato

la parola più intensa che l’uomo possa pronunciare: «io».

Questa parola infatti denota l’esistenza di un “aliquid” che

si pone come unico, insostituibile, irripetibile. Donde ha avuto origine questa

realtà?

La risposta che può dare il sapere scientifico non è ultimamente

risolutiva. Essa infatti spiega come sorge l’individuo di una determinata

specie vivente; attraverso quale processo di fusione delle due cellule germinali

sorge un individuo appartenente alla specie umana.

Risposta non risolutiva in quanto lascia senza risposta la domanda fondamentale:

perché esiste quell’individuo umano che sono io e  non piuttosto

un altro? L’individualità dell’uomo non è dello stesso

grado dell’individualità di una pianta o di un animale come già sembra

pensare Aristotele [cfr. Categorie 2b 22-23; ma cfr. 3b 35ss].

Abbiamo una sorta di conferma psicologica, per così dire, di ciò che

sto dicendo. Quando un uomo e una donna decidono di dare origine ad una vita

umana, essi possono solo desiderare di avere un bambino. Non hanno alcuna possibilità di

scegliere questo bambino piuttosto che quello. I miei genitori non volevano

me, ma un bambino, un figlio. Che il figlio voluto fossi io, questo non era

più in loro potere.

L’impersonale non può dare origine al personale; la natura non

può giungere a dire «io». Una persona può sorgere

solo dalla Persona.

All’origine del mio esserci non ci può dunque essere che un atto

di intelligenza e di scelta: ero conosciuto prima di esistere e sono stato

scelto fra infiniti altri possibili. La fede cristiana, ma in profonda sintonia

colle esigenze esplicative della ragione, insegna che ogni e singola persona

umana è creata da Dio stesso. Anzi più precisamente, che lo spirito

umano può avere origine direttamente ed immediatamente da Dio stesso.

Orbene la persona nel suo nocciolo sostanziale è costituita nell’uomo

dall’anima semplicemente spirituale [cfr. E. Stein, Essere finito ed

infinito]. In parole più semplici: nessuno di noi esiste per caso o

per necessità, ma ciascuno di noi è stato voluto e scelto da

Dio stesso.

Perché questa riflessione mette al sicuro “le spalle” della

libertà? Perché se l’uomo non sporgesse sopra i meccanismi

biologici che lo hanno prodotto, egli sarebbe alla completa disposizione degli

stessi, senza nessuna possibilità reale di poter dire «io agisco:

io scelgo…». Ciò che sto dicendo è che non sarebbe

possibile affermare ragionevolmente la libertà della persona se contemporaneamente

si affermasse che il mio esserci è completamente spiegabile in base

ai suoi antecedenti fisici e biologici. Le due affermazioni, l’uomo è libero – l’uomo è solamente

un individuo della specie, non possono essere razionalmente sostenute contemporaneamente.

«L’essenza della libertà come spontanea auto-determinazione,

o come risposta o decisione portata avanti da nient’altro che il centro

personale stesso, è totalmente incompatibile coll’essere identico

a, o casualmente dipendente da, i processi cerebrali» [J. Seifert, Anima,

morte ed immortalità, in A.VV. L’anima ed. A. Mondadori, Milano

2004, pag. 163].

Ma c’è un altro aspetto nel contesto della riflessione che stiamo

conducendo. Nel passo citato all’inizio Hegel dice: «(per il cristianesimo)

l’individuo come tale ha valore infinito, ed essendo oggetto e scopo

dell’amore di Dio, è destinato ad avere relazione assoluta con

Dio come spirito» [Enciclopedia … cit. pag. 443]. Poiché ogni

persona deve il suo esserci ad un atto di libertà di Dio, la libertà  umana è posta

fin dall’inizio dentro ad una relazione: la relazione fra Dio e la persona

umana.

Questa sua originaria collocazione imprime nella nostra libertà, nel

suo esercizio, un senso indistruttibile. Se la persona umana, ogni persona

umana, è stata pensata e voluta da Dio stesso, ciascuno di noi è investito

di un compito, è depositario di una “missione” affidata

precisamente alla sua libertà. Il senso della vita non deve essere inventato,

ma scoperto.

Comincia a delinearsi il concetto cristiano di libertà. Essa nella

prospettiva cristiana è la capacità di rispondere alla chiamata

di Dio creatore. Capacità di rispondere, cioè responsabilità. Tu

rispondi a Dio di te stesso: questa è la definizione di libertà cui

si giunge considerando la persona umana alla sua origine.

Nel contesto di questa riflessione appare anche la connessione fra libertà/obbedienza,

che il pensiero cristiano afferma con grande forza come due termini per connotare

la stessa realtà. E l’anello di congiunzione che li connette è il

concetto di “vocazione” o “missione”. L’archetipo

della libertà è il consenso mariano.

è forse bene, giunti a questo punto, sintetizzare quanto ho detto finora: la

libertà è salvaguardata se all’origine del mio esserci

c’è una Potenza che mi ha posto in essere per amore.

Vorrei ora prima di passare al punto seguente, proporvi una riflessione conclusiva

che ha carattere di corollario in un certo senso. Me l’hanno ispirata

alcune pagine di Platone ripreso su questo punto dai grandi teologi francescani

del XIV secolo.

Se io dipendessi totalmente dai miei antecedenti biologici che casualmente

mi hanno prodotto nel grembo di mia madre, questi stessi elementi sarebbero

in grado di distruggermi completamente. Se io fossi solamente il risultato

casuale della natura, questa stessa sarebbe in grado di annientarmi completamente.

Ma il fatto che io sia posto in essere dalla Potenza creatrice di Dio mi dona

una consistenza ontologica superiore ad ogni forza naturale. La natura non è in

grado di riassorbirmi completamente, perché non le appartengo completamente.

Ho una certezza indubitabile del mio io, che fuori da quell’originaria

relazione col Creatore non potrei avere.

La libertà, ciò che nella persona è la sorgente profonda

dell’auto-determinazione, è il segno di questa superiore invincibilità della

persona nei confronti della natura. è impossibile che l’io personale

sia distrutto, proprio perché ciò che lo può uccidere,

l’universo materiale, non solo gli è inferiore per dignità quanto

all’essere, ma è anche liberamente dominato dalla persona mediane

la sua libertà. «Ma anche se l’universo lo schiacciasse,

l’uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide, perché sa

di morire e conosce la superiorità dell’universo su di lui; l’universo

invece non ne sa niente» [B. Pascal 347; San Paolo ed., Milano 1996,

pag. 342].

Al traguardo della libertà.

Non dimentichiamo la domanda da cui siamo partiti: perché l’idea

che l’essenza propria dello spirito è la libertà ha potuto

porsi solo coll’annuncio cristiano? Abbiamo dato la prima parte della

risposta: perché l’annuncio cristiano afferma che l’uomo

non è il prodotto della natura, ma un tu di fronte a Dio, suscitato

dal suo amore.

Ora vorrei costruire la seconda parte della risposta: perché l’annuncio

cristiano afferma che ogni uomo è chiamato all’eterna comunione

di conoscenza ed amore con Dio stesso.

Questa risposta deve articolarsi in due momenti argomentativi. Il primo deve

dimostrare che l’uomo è “fatto” per Dio stesso; il

secondo che questa finalizzazione dell’uomo esige che egli sia libero,

anzi che la libertà sia il costitutivo più profondo della sua

persona.

2,1.Il tema della finalizzazione dell’uomo a Dio, di ogni uomo all’incontro

eterno con Dio steso, è stato dimostrato e pensato nella tradizione

del pensiero cristiano in innumerevoli variazioni. Non possiamo presentarle

tutte, neppure brevemente. Mi limito a due particolarmente suggestive.

La prima: l’uomo è dotato di un’apertura infinita che solo

Dio stesso può compiere. Dunque, l’uomo è fatto per l’incontro

con Dio stesso. è il grande tema agostiniano: “inquietum est cor

nostrum donec requiescat in te”.

Mi sembra particolarmente suggestiva la modulazione tomistica di questo tema

[cfr. 1,2. q.3,a.8]. Il bisogno, il desiderio di verità presente nell’uomo

lo spinge alla ricerca di una risposta ultima alla sua domanda di vero. Egli

non si accontenta, come l’esperienza dimostra, di risposte penultime,

risposte cioè che a loro volta diventano occasione o stimoli di nuove

domande. Esiste nel cuore umano il bisogno e l’invocazione di una Risposta

che sia intera e quindi definitiva: questa risposta – come dimostra la

nostra esperienza – non può consistere in una risposta che l’uomo

stesso raggiunge. Una risposta umana è necessariamente frammentaria

e provvisoria.

Questo inseguimento insonne della verità dimostra che ogni persona è finalizzata

ad un incontro personale con Dio stesso. La nostra domanda di verità ha

un significato: è la domanda della persona creata alla Verità increata.

E non può non avere un significato poiché è costitutiva

della persona stessa.

Esiste anche un’altra modulazione dello stesso tema, non meno suggestiva.

L’essere personale eccelle nei confronti di ogni essere impersonale in

ragione della sua stessa costituzione ontologica. L’essere reale, infatti,

l’autopossesso, l’autonomia e  l’autarchia sono realizzati

nell’essere della persona in modo più elevato che nelle realtà impersonali.

Da questa gerarchia deriva la conseguenza che nessuna realtà impersonale

può essere lo scopo ultimo della vita di una persona [cfr. la riflessione

di Tommaso in Contra gentes III, cap. CXII]: la persona può essere fine

a se stessa? Essa dovrebbe fare violenza al desiderio di vero e di bene che

la costituisce e che è illimitato. Porre in qualcosa di finito la propria

ragione d’essere significa rinunciare alla propria dignità ontologica:

l’uomo può essere fedele a se stesso solo superando, solo trascendendo

se stesso. Nella conoscenza, nel riconoscimento di Dio come Dio, nella sua

adorazione e nell’amore di Lui, l’uomo trova quella pienezza trascendente

che lo realizza interamente.

2.2.Passiamo ora alla seconda articolazione della seconda parte della nostra

risposta: l’immediata e diretta finalizzazione di ogni persona umana

all’incontro con Dio costituisce la persona umana medesima nella libertà.

Prima di argomentare questa risposta devo premettere una riflessione di decisiva

importanza teoretica per tutto il discorso seguente.

Ho sempre connotato finora la pienezza di essere e di senso cui l’uomo è destinato

con un’espressione metaforica: incontro con Dio. Ora   però è necessario

tentare una rigorizzazione concettuale.

La parola “incontro” denota un avvenimento che può accadere

solo fra persone, fra soggetti cioè che si conoscono e sono liberi.

Esso (avvenimento) infatti implica una reciprocità. Inoltre, questa

reciprocità si colloca e a livello di conoscenza e a livello di amore.

A livello di conoscenza. “Incontrarsi” in senso intensamente vero

implica una reciproca conoscenza, un disvelarsi nella propria soggettività.

A livello di amore. La conoscenza reciproca non fa accadere l’incontro;

ne è solo la condizione indispensabile. La conoscenza reciproca può generare

perfino odio reciproco! L’incontro accade quando si pone un reciproco

amore: Tommaso definisce questa dimensione dell’incontro interpersonale

amicizia. L’amore infatti è essenzialmente estatico, fa uscire

da sé, poiché èessenzialmente benevolente, vuole il bene

dell’altro, ed è essenzialmente unitivo, vuole l’unità con

l’amato. Possiamo allora dire: l’incontro dell’uomo con Dio è l’amicizia

fra Dio e l’uomo nella quale Dio si rivela all’uomo e si dona all’uomo,

e reciprocamente l’uomo conosce ed ama Dio.

Se ora consideriamo attentamente questo fatto, noi comprendiamo che esso è tutto

impastato di libertà.

Vediamo la cosa dal punto di vista del partner divino. Le cose possono essere

conosciute comunque: esse non si nascondono. Ma le persone non possono essere

conosciute comunque: esse devono in un qualche modo “lasciarsi conoscere”,

devono cioè decidere di rivelarsi, di dirsi. Fare della persona un “oggetto” di

conoscenza come fossero “cose”, è precludersi la conoscenza

più profonda della persona medesima.

La cosa è ancora più vera per Dio stesso. Noi infatti possiamo

avere di Lui solo una conoscenza mediata ed indiretta: “come in uno specchio” dice

l’Apostolo. Ora nessuno si innamora di una fotografia!

L’amicizia allora fra Dio e l’uomo dipende completamente dalla

decisione di Dio di rivelarsi all’uomo, di dirsi all’uomo in modo

immediato e diretto.

L’essere l’uomo finalizzato  a Dio non esige da parte di

Dio di rivelarsi e donarsi all’uomo. Ogni necessità cogente qui è esclusa

per la natura stessa dell’avvenimento: un incontro fra persone; è esclusa

per la natura assolutamente trascendente del mistero divino.

Ora questa decisione è stata divinamente presa: Dio si è rivelato

ed ha offerto la sua amicizia all’uomo. Molte volte ed in vari modi mediante

i profeti nella storia di Israele; nella pienezza dei tempi assumendo la stessa

nostra natura umana e vivendo quindi nella nostra stessa condizione umana.

Dio è nato da una donna; ha lavorato, gioito e sofferto; ha avuto una

dimora umana dentro la cultura di un popolo, il popolo ebreo. La rivelazione

che Dio ha fatto di Se stesso pienamente in Cristo è la proposta offerta

all’uomo dell’amicizia con Dio stesso. Ma vediamo ora la cosa dal

punto di vista della persona umana.

Perché l’amicizia con Dio accada, l’uomo deve decidere

di accettare la rivelazione – proposta divina. Se Dio ha deciso di offrirsi

all’uomo, l’uomo deve liberamente decidere se accettare o meno

questa proposta poiché non si darebbe vera amicizia fra una persona

ed uno schiavo, fra una persona ed un oggetto. Se l’uomo è finalizzato

ultimamente all’incontro con Dio, la libertà dimora nella sua

più intima costituzione ontologica dal momento che questa finalizzazione

può realizzarsi solo liberamente.

Questa considerazione precisa il concetto cristiano di libertà già delineato

nel punto precedente. Essa, considerando la finalizzazione della persona umana

alla luce della Rivelazione cristiana, ci appare più profondamente di

prima la capacità di rispondere alla proposta che Dio ci fa

in Cristo. Ancora più profondamente appare che l’uomo è libero

davanti a Dio.

Profondamente, S. Kierkegaard chiama l’io umano considerato nella luce

di ciò che stiamo dicendo, l’«io teologico», in quanto è confrontato

con Dio stesso, in quanto ha preso per sua misura Dio stesso: «E’ l’io

di fronte a Dio. E che realtà infinita non acquista l’io acquistando  coscienza

di esistere davanti a Dio, diventando un io umano la cui misura è Dio» [La

malattia mortale, P.II, cap. 1]. Il nostro io nasce in pienezza quando e perché ha

coscienza di essere davanti a Dio; dovendosi confrontare con Dio stesso che

gli si rivela in Cristo. La nostra libertà è posta dentro al

confronto con la libertà di Dio. è questo il punto centrale della

concezione cristiana della libertà, già preparata e presente

in nuce già nella concezione ebraica.

Questo confronto avviene nei riguardi di Cristo, poiché è in

Lui che Dio si dice e si dona all’uomo. Il dramma della libertà umana,

secondo la concezione cristiana, è rappresentato nel dialogo fra Gesù e

Pietro, dopo la moltiplicazione dei pani [cfr. GV 6,67-69]. Cristo pone Pietro

(l’uomo) di fronte alla sua decisione suprema: «forse anche voi

volete andarvene?», nel senso di  non riconoscere il Cristo solamente

come colui che risolve meglio degli altri il problema del cibo. E Pietro rispose: «Signore,

da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». L’uomo decide

per Cristo perché sente che Lui è la pienezza della vita; è la

Vita eterna cui l’uomo si sente ordinato.

Nella concezione cristiana quindi la libertà umana raggiunge il suo

apice nell’atto di fede. Attraverso l’atto di fede l’io dà alla

sua esistenza un senso radicale e definitivo. La fede è riconoscere

che il rapporto personale con Cristo vivente nella Chiesa è il significato

ultimo della vita. è una decisione irrevocabile perché è risposta

incondizionata alla proposta divina: non si può dire a Dio “per

qualche tempo”. è una decisione posta nella prospettiva dell’eternità perché si

entra in una relazione il cui compimento è posto fuori dal tempo. è una

decisione permanente poiché non è posta una volta per sempre

ma esige di essere sempre confermata. è una decisione totale perché coinvolge

l’io nell’intera sua realtà.

La libertà della fede è la “diremption” radicale:

o l’uomo accetta di entrare nell’amicizia con Dio che in Cristo

gli offre il suo amore oppure decide di rifiutarsi e di imprigionarsi dentro

il finito. Questa è la vera separazione che alla fine avverrà fra

gli uomini. Ma di questo parleremo nel paragrafo seguente.

La prospettiva dell’origine della libertà e la prospettiva del

fine della libertà sono unificabili in un punto di vista superiore?

Certamente. Questo punto di vista è costituito dalla inscrutabile decisione

divina di comunicare la pienezza della  sua Vita anche a persone create:

queste sono pensate e volute una ad una [prospettiva dell’origine] perché diventino

partecipi della Vita divina [prospettiva del fine]. Poiché questa misteriosa

decisione divina è puramente gratuita, è solo grazia, nella visione

cristiana è la grazia che suscita la libertà umana.

Dal punto di vista umano la libertà ha un senso da realizzare [prospettiva

dell’origine] perché l’io è chiamato a realizzarsi

pienamente in Cristo, Dio fatto uomo [prospettiva del fine]. Nella visione

cristiana quindi la libertà umana è la capacità di rispondere

alla proposta d’amore fatta da Dio in Cristo.

La libertà in cammino.

Chiamato a realizzarsi pienamente nell’eternità, l’uomo

decide di sé nel tempo: è il tempo la sua dimora. Chiamato a

confrontarsi colla proposta divina, l’uomo ha però sempre a che

fare con proposte create. Possibilità di Infinito, l’uomo si muove

dentro al finito.

Come valutare questa condizione paradossale? Se non sbaglio, sono state date

tre valutazioni fondamentali.

è una condizione di condanna: l’uomo è stato imprigionato

dentro al finito. La sua libertà consiste nell’uscire da questa

prigione, nel liberarsi dalle catene della finitezza. La libertà “in

cammino” è evasione dal tempo, dalla limitatezza.

è una condizione illusoria: l’uomo si illude di essere fatto

per l’eterno. “Spem longam reseces”, consigliava già Orazio

a Leuconoe. La vita non ha un porto definitivo; non è un pellegrinaggio,

ma un vagabondaggio. è possibile navigare solo a vista. Il nostro destino è l’effimero.

La visione cristiana non sacrifica il finito a spese dell’Infinito né accorcia

la misura del desiderio umano. La libertà umana è un cammino

lungo la scelta di beni finiti in ordine alla scelta dell’Infinito. L’io

costruisce se stesso mediante le sue scelte nel tempo in ordine alla sua eternità.

Si eredita il Regno eterno dando da bere a chi è assetato. è questo

cammino della libertà che ora cercherò di esporre.

Parto da un limpido testo di S. Tommaso: «per questo dunque Dio vieta

l’empietà e prescrive la giustizia, in quanto a Dio stanno a  cuore

gli uomini che da tali comportamenti vengono aiutati oppure danneggiati» [Commento

al libro di Giobbe, Cap. 35; ESD, Bologna 1995, pag. 404]. L’idea centrale

di questo testo è che la distinzione fra ciò che è giusto

e ciò che è ingiusto non è ultimamente una decisione divina

[bonum quia jussum], ma il bene della persona umana [jussum quia bonum].

La chiamata e la proposta che Dio fa all’uomo in Cristo è in

ordine, come si è detto, alla piena realizzazione dell’uomo: è – si

diceva – una proposta di amore che intende il bene della persona chiamata. è questa

divina proposta che fa essere la libertà umana.

La persona umana si realizza attraverso i suoi atti; è mediante il

suo agire che l’uomo porta a compimento se stesso. Esiste dunque un orientamento

fondamentale della persona [“a Dio stanno a cuore gli uomini”],

che deve realizzarsi nelle scelte di cui è costituita la trama di ogni

esistenza.

E qui si pongono alcune domande fondamentali a riguardo del cammino dell’uomo

nel tempo. Ogni scelta è capace di realizzare la persona in ordine alla

sua chiamata all’incontro con Dio  in Cristo? Da che cosa è assicurata

questa capacità realizzativa, questa ordinazione della persona a Dio

mediante e negli atti liberi della persona?

L’agire dell’uomo non produce solamene un cambiamento nel mondo

in cui la persona vive. In quanto scelte libere, gli atti della persona la

qualificano moralmente, ne disegnano la fisionomia spirituale. Profondamente,

Tommaso scrive: «idem sunt actus morales et actus humani» [1,2,

q.1 a.3].

Scrive l’Enc. Veritatis splendor: «La moralità degli atti è definita

dal rapporto dell’uomo col bene autentico. Tale bene è stabilito,

come legge eterna, dalla sapienza di Dio che ordina ogni essere al suo fine:

questa legge eterna è conosciuta tanto attraverso la ragione naturale

dell’uomo (…), quanto – in modo integrale e perfetto – attraverso

la rivelazione soprannaturale di Dio (…). L’agire è moralmente

buono quando le scelte della libertà sono conformi al vero bene dell’uomo

ed esprimono così l’ordinazione volontaria della persona verso

il suo fine ultimo, cioè Dio stesso: il bene supremo nel quale l’uomo

trova la sua piena e perfetta felicità» [72,1; EE 8/1680]. La

verità sul bene della persona conosciuta mediante la ragione e mediante

la Rivelazione divina è la guida che dirige la libertà nelle

sue scelte. è facendo la verità sul bene della persona, che la

libertà ordina la persona medesima all’incontro definitivo con

Dio nell’eternità.

La suprema divaricazione fra la scelta moralmente buona e la scelta moralmente

cattiva è il respiro dell’eternità divina dentro il tempo

umano. è costruendo se stesso nella verità e non un se stesso

falso ed illusorio, che l’uomo edifica nel tempo la sua dimora eterna.

Le pietre sono di questo tempo, l’edificio è l’eterno: questa è la

suprema grandezza di ogni scelta libera, nella visione cristiana. Una grandezza

che non può non suscitare un immenso stupore quando ne diventeremo consapevoli: «quando

ti abbiamo visto affamato… e ti abbiamo dato da mangiare?». L’etica è e

resta il compito supremo che è posto per ogni uomo, scrive S. Kierkegaard

[Postilla conclusiva non scientifica, in Opere, cit. pag. 339]. La verità sul

bene è l’unica verità che non sopporta di essere trasformata

in ipotesi, poiché è l’unica verità che si interpone

fra la libertà umana e Dio: sottraendo se stessi a questa verità si

precipita nell’insignificanza.

Consentitemi, prima di concludere, una riflessione sulla condizione spirituale

attuale, alla luce di quanto ho detto finora. Quando la libertà perde

ogni serietà, cessa di essere un “caso serio”? quando si

nega che esista una verità circa il bene della persona, e quindi si

degrada la ragione a mero strumento di ricerca della propria utilità.

Negata la verità circa il bene, la libertà viene completamente

ridotta a forza in sé neutrale di fronte a qualsiasi scelta: la “cifra” della

libertà è l’indifferenza [libertas indifferentiae]. E tutta

la sua forza è ridotta alla scelta che non ha più alcuna giustificazione

poiché non ha più alcun fondamento obiettivo. Una tale libertà non

può non generare alla fine noia, ed essere sentita come una condanna

dalla quale essere liberati [si ricordi la Leggenda del grande Inquisitore]:

o dallo Stato o dalla Religione o dal Potere di produzione del consenso.

Ho concluso questa prima lezione. Potrei sintetizzarla nel modo seguente.

Nella visione cristiana la libertà è un plesso di necessità e

di contingenza. Di necessità: sei posto in essere da un Amore onnipotente

che ti predestina alla pienezza della Vita con Lui. Di contingenza: tocca a

ciascuno fare la propria scelta fondante [che propriamente non è scelta:

c’è solo da consentire alla grazia dell’Amore] che poi prende

corpo nelle scelte ulteriori eticamente coerenti.

Questo plesso di necessità e di contingenza eleva la libertà creata

ad una grandezza divina: il «tu devi» incondizionato che risuona

nella coscienza di ogni persona non è che l’eco prodotto nel cuore

umano dalla presenza in esso dell’Assoluto; e la risposta umana è risposta

a Dio stesso.

«Solo una solida armatura metafisica qual’è (per l’uomo)

il mettersi innanzitutto prima di fronte a Dio e poi (per il credente) di fronte

a Cristo, prima (dal fondo del proprio nulla) con la soggezione al Creatore

e poi (con la comprensione dei propri peccati) di fronte al Salvatore – due

realtà di estrema invalicabile oggettività – può permettersi

la fondazione ultima della libertà» [C. Fabro, Libro dell’esistenza

e della libertà vagabonda. Piemme, 2000, pag. 1128, n° 657] e fare

della scelta nel tempo un “caso serio”.

25/11/2004
condividi su