Il primo soggetto educativo
[Lyons Club – Bologna 01-06-05]

Il tema sul quale intendo riflettere con voi questa sera è il seguente:

a chi appartiene in primo luogo l’educazione della persona umana? Dicendo «in

primo luogo» intendo dire a chi il diritto-dovere di educare appartiene

originalmente, cioè non per delega-concessione di altri, e primariamente,

cioè in modo tale che altri eventuali soggetti che intervengono sul

processo educativo, lo possono e devono farlo solo in aiuto e in subordine.

Spiegata la domanda nel senso suddetto, la tradizione cristiana ha risposto

nel modo seguente: «Avendo dato la vita ai loro figli, i genitori hanno

l’originario, primario e inalienabile diritto di educarli; essi devono

perciò essere riconosciuti come i primi e principali educatori dei loro

figli»[Carta dei diritti della famiglia art. 5; in Enchiridion della

Famiglia (d’ora in poi EF) 1499]. Ho detto “tradizione cristiana”.

Trattasi infatti di una convinzione largamente condivisa all’interno

anche di chi non professa più in modo esplicito la fede cristiana.

Se quest’affermazione è ragionevole, e vedremo che è tale,

sono tuttavia innegabili alcuni fatti che richiamo assai brevemente. Lo Stato

attraverso soprattutto la scuola è entrato sempre più pervasivamente

dentro alla gestione dell’educazione della persona. Le leggi anzi dello

Stato si sono orientate sempre più verso una scolarizzazione pressoché completa

del tempo, della giornata del bambino/adolescente/giovane. Ci sono poi libere

associazioni che con diverse modalità intervengono nel processo educativo.

Esistono inoltre altri luoghi nei quali si produce il consenso delle persone

specialmente quelle più deboli, a valori [o sedicenti tali]. Da questa

situazione può derivare nelle famiglie e nella coscienza dei singoli

la convinzione che «l’originario, primario e inalienabile diritto» di

educare sia destinato a restare solo sulla carta, e quindi cominci a formarsi

una sorta di rassegnazione al ruolo di fatto secondario della famiglia nel

campo educativo.

La riflessione di questa sera vuole in primo luogo offrire un orientamento

dentro ad una situazione obiettivamente complessa e difficile: un orientamento

in primo luogo sul piano del pensare ed anche sul piano dell’agire. E

per dare un certo ordine alla mia riflessione, la dividerò nelle parti

seguenti. Nella prima cercherò di chiarire perché i genitori

hanno «l’originario, primario ed inalienabile diritto» di

educare i propri figli; nella seconda cercherò di mostrare come questo

diritto debba e possa essere oggi custodito e promosso.

La famiglia come primo soggetto educativo.

La riflessione cristiana, e non solo, ha sempre connesso l’affermazione

del diritto dei genitori ad educare al dono della vita che da loro ha avuto

origine. L’intuizione è profonda: il dono della vita in forza

del quale i due sposi diventano padre  e madre, non si riduce ad un fatto

biologico puramente. Radicate  nella biologia, la paternità-maternità la

superano poiché il dono della vita significa porre una persona nella

realtà: generare una persona.

Che cosa significa «generare una persona»? una risposta completa

e motivata a questa domanda presuppone che noi conosciamo la verità sulla

persona, termine del processo generativo. C’è una formulazione

molto ricca di significato e profonda scritta da S. Paolo: «figliolini

miei, che io continuo a partorite fino a quando Cristo sia formato in voi».

L’apostolo parla di un parto che continua fino a quando la persona ha

raggiunto la sua perfetta maturazione. L’atto di concepire e partorire

una persona umana è solo il momento di inizio di un processo che non

finisce fino a quando l’umanità della persona abbia raggiunto

la sua completezza [si leggano le pagine profonde di Giovanni Paolo II in Gratissimum

sane, Lettera alle Famiglie; EF 929-935].

Questa connessione inscindibile fra il dono della vita e l’educazione

della persona è il punto di convergenza di un sistema coordinato di

affermazioni che nel loro insieme esprimono una profonda visione della persona

umana, del matrimonio e della famiglia. Le voglio brevemente richiamare.

Nella già citata Carta dei diritti della famiglia si dice: «Il

matrimonio è l’istituzione naturale alla quale è affidata

in maniera esclusiva la missione di trasmettere la vita» [cfr. EF 1494C].

Perché il matrimonio, anzi più precisamente l’amore coniugale

in forza del quale i due sposi diventano «una sola carne», è l’unica

culla degna di generare una nuova persona umana? Perché solo questa

modalità di venire all’esistenza pone la persona umana dentro

ad un’appartenenza che le impedisce di sentirsi uno spaesato e uno sradicato

nella regione dell’essere. Il legame biologico è il simbolo reale, è il

segno che realizza una relazione per cui la nuova persona umana non è sola

nella vita: appartiene a qualcuno. Non vi è gettata da non si sa chi,

e subito abbandonata. Ma è l’appartenenza non di «qualcosa» a

qualcuno: oggetto di un desiderio soddisfatto. E’ l’appartenenza

di «qualcuno» [di una persona!] a qualcuno. Ora esiste un solo

modo vero di appartenersi fra le persone: l’amore che si dona. Il figlio

appartiene ai genitori come dono che va accolto nella sua dignità di

persona.

Abbiamo purtroppo oggi una contro-prova di ciò che accade all’uomo

quando viene a mancargli l’esperienza di questa appartenenza originaria:

l’uomo è come se soffrisse il mal di mare in terra ferma. «Una

delle metafore che traducono meglio la condizione dell’uomo contemporaneo è senz’altro

lo sradicamento. L’uomo sradicato, o peggio, privo di radici, non ha

più letteralmente un ubi consistam, un fondamento, una base

morale. Dentro si sé il vuoto di senso, fuori il deserto. Non gli resta,

allora, che incamminarsi. Sapendo però che nessuna stella polare indicherà più la

via. Né illuminerà più la meta. Un cammino assurdo: alla via

recta della tradizione si è sostituito il circolo vizioso. Ulisse

senza Itaca, navigante senza approdo: questo è l’uomo che l’arte,

la letteratura e la filosofia contemporanea ci hanno consegnato» [M.

Stolfi, Kafka, Straniero in cammino, in F. Kafka, Lameta e la via, BUR, Milano

2000, pag. 5]. Non a caso ogni ideologia, da Platone a Marx, che abbia pensato

di dover ricostruire ex integro l’uomo ha negato l’originaria appartenenza

dell’uomo alla famiglia.

La descrizione dell’uomo fatta sopra è esattamente la descrizione

dell’uomo al quale sia stata negata una vera e propria educazione. L’educazione è introdurre

l’uomo nella realtà; indicare la «mappa della realtà»,

i suoi sentieri e i suoi pericoli, e soprattutto la meta dove siamo indirizzati:

l’uomo non si sente più spaesato.

Proviamo a pensare ad un soggetto originario dell’educazione diverso

dalla famiglie. In forza di che cosa? O meglio, in ragione di che cosa esso

avrebbe originario potere educativo? Inevitabilmente si introdurrebbe all’origine

della vita spirituale della persona non un rapporto di appartenenza, ma di

dipendenza istituita dal potere. Oppure si accetterebbe la vacua commedia della

vita umana come un vuoto nomadismo senza meta.

La questione che stiamo affrontando, come vedete, è decisiva per il

destino della persona umana.

Famiglie ed altri soggetti educativi

Vorrei ora, per così dire, uscire dalla considerazione della famiglie

in se stessa e prenderla in esame nei suoi rapporti con altri soggetti educativi.

Non voglio esporre questa sera la teoria dei rapporti, ma piuttosto limitarmi

ad alcune considerazioni che orientino piuttosto le nostre scelte dentro a

questa problematica di non facile soluzione.

La prima considerazione è che dalla famiglia come soggetto educativo

dipende l’esistenza stessa della società civile in cui viviamo

in quanto società che vuole configurarsi «democraticamente».

Intendo qui «democraticamente» come l’insieme di quei valori

di libertà della persona, di pluralismo, di salvaguardia dei diritti

fondamentali della persona che caratterizzano le nostre società occidentali.

Queste società sono oggi entrate in una crisi assai profonda dovuta

alla pressoché totale assenza di qualsiasi tessuto connettivo, di qualsiasi

vincolo interiore che costituisca una vera comunità. La regolamentazione

sempre più pervasiva cui siamo sottoposti, indica al contempo e la situazione

di crisi e la via sbagliata di risolverla. La libertà dell’individuo

ridotta ad essere pura neutralità [«scelgo x, ma avrebbe lo stesso

senso se io scegliessi il contrario di x»] non è più capace

di costruire alcun rapporto vero. Ora in un contesto di totale anomia di valori è più che

mai necessaria l’esperienza della vita familiare come luogo in cui si

vivono quei valori di cui la società civile ha urgente bisogno: l’amore,

la fedeltà, il reciproco rispetto, la responsabilità, per esempio.

Da questa considerazione deriva una conseguenza assai importante. La rilevanza

sociale della famiglia diventa sempre più decisiva proprio nel momento

in cui è meno riconosciuta: è il luogo in cui si prepara il futuro

della società civile, se ne avrà uno.

La seconda considerazione è che le famiglie devono diventare come tali

soggetti di azione nei confronti di chi interviene nel processo educativo.

Mi limito ad indicarvi due ambiti di questo intervento.

Il primo è costituito dall’ambito scolastico. La legge sull’autonomia

offre spazio di intervento precisamente nella proposta educativa; l’associazionismo

dei genitori deve quindi essere promosso.

Il secondo è costituito dall’ambito più propriamente amministrativo-politico.

Bisogna prendere coscienza che è in atto una vera e propria strategia,

a veri livelli istituzionali, di distruzione dell’istituzione matrimoniale

e della famiglia, e che pertanto è attorno alla famiglie e alla difesa

della vita che si svolge oggi la battaglia fondamentale per la dignità della

persona  umana. Mi limito ad alcuni accenni.

Esistono già tutte le premesse culturali, e non solo, per introdurre

la legittimazione dell’eutanasia, portando così a termine la negazione

del diritto alla vita che compete ad ogni persona umana innocente.

L’attribuzione, chiesta oggi da alcuni e già introdotta in alcune

legislazioni europee, del valore di «matrimonio» a tipi di unioni

diverse dall’unione stabile fra un uomo e duna donna o degli stessi diritti

e vantaggi sociali di coloro che sono sposati anche ad altre  modalità di

convivenze, contribuisce ad indebolire la stima dell’istituzione matrimoniale

e quindi della famiglia.

La grave crisi economica colpisce durante la famiglia e forse sta creando

un nuovo proletariato, quello delle famiglie che hanno perso o stanno perdendo

la loro autonomia, dovendo dipendere sempre più dallo Stato per quanto

riguarda i servizi (scuola e sanità). Si è cioè capovolto

il principio della sussidiarietà: anziché essere lo Stato ad

aiutare le famiglie a svolgere i loro servizi fondamentali, fra i quali quello

educativo, è la famiglia che deve sopperire spesso alle disfunzioni

dello Stato nei servizi sociali da esso svolti. Viene sempre più negata

una vera e propria «autonomia» della famiglia, e la sua precedenza

nei confronti dello Stato, già affermata anche da Aristotele [cfr. Aristotele,

EN III, 12,18].

In una situazione come questa, è necessario che le famiglie si associno.

La coordinazione giusta fra la famiglie e gli altri soggetti educativi dipende

in larga misura da questo impegno culturale e civile delle famiglie stesse.

Conclusione

Vi dicevo, all’inizio, che la famiglia oggi può essere insidiata

dal pericolo di sentirsi inevitabilmente sconfitta di fronte ad un’organizzazione

antifamiglia, dotata di poteri di ogni genere. E’ l’insidia più grave,

soprattutto quando affrontiamo il tema dell’educazione, perché porta

ad una resa incondizionata di fronte all’anti-umanesimo insito in quell’organizzazione

culturale.

Ci si immunizza contro questa resa attraverso la consapevolezza sempre più profonda

che la fedeltà al compito semplice e quotidiano proprio della famiglia è in

realtà la forza invincibile di un servizio alla verità dell’uomo.

01/06/2005
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