Messa al Policlinico Sant’Orsola nella Giornata del Malato

Possibile che ci sia una gioia e che sia così? Ma è una gioia vera oppure è solo un prodotto, come tanti, per sfuggire ai problemi, o far finta che non esistano perché non li guardo? Un mondo come il nostro che esalta la vita e poi la considera inutile e senza senso perché fragile, richiede amore, attenzione, risorse per curarla e difenderla sempre. Beati. Lo siete e di una gioia che nessuno può portare via. Lo siete oggi. Ci aiuta a riconoscerlo e ci fa sentire amati, proprio quando sembra non esserci niente di bello. Lo saremo anche quando per causa sua saremo odiati e insultati. Il “vangelo” del mondo promette di togliere i problemi anche a costo di paralizzare il cuore, di renderci assenti e distratti spettatori della vita, attratti da quella che si afferma, che “appare”, che sembra risolta e forte.

Gesù ci avvisa che la vera ricompensa è proprio quella che non possediamo e che abbiamo regalato al prossimo. Ci mette in guardia dall’inganno del contrario, cioè possedere, calcolare, accumulare ricchezza per sé, credendo di star bene con i tesori di questo mondo dove i ladri scassinano e la tignola corrode. La ricchezza non ci può consolare quando ci scontriamo con quella fragilità da cui ci pensavamo protetti perché ricchi. Se il tesoro del nostro cuore sarà nella ricchezza non troverà calore, amore, protezione, speranza. Attenzione, quindi, ad essere sazi e, come in realtà accade, ossessionati di consumare per continuare ad esserlo, per verificare le capacità: avremo fame! È proprio vero che non di solo pane vive l’uomo e che il nostro cuore cerca altro, ha bisogno di altro ed è inquieto finché non l’ha trovato. Ingannati dalla ricchezza disprezziamo la gioia che pure abbiamo, cercando invece quella che in realtà ci sfuggirà sempre. La ricchezza assorbe e ruba tanto amore. Gesù ci dice, amandoci con tutto se stesso e così come siamo, che siamo beati, proprio perché regaliamo amore, attenzione, protezione.

Quanto è importante curare tutta la persona, e tutte le persone, nell’unica fragilità che è insieme dell’anima, del corpo e della mente, perché è una sola e la persona è sempre intera! Chi la ama curandola dona un pezzo di questa gioia e conferma la promessa di Gesù: sarete beati! Ringrazio di cuore voi operatori sanitari, tutti importanti per quello che fate, che significa anche ricerca, sistema, capacità di lavorare insieme, di cercare l’eccellenza. So quanto voi stessi trovate gioia vera nella cura, non solo nella guarigione. Gesù ci mette in guardia, con vigore, perché l’amore è forte, appassionato, non come certi ingannevoli e fastidiosi zuccheroni. Guai a voi! Attenti. Rendetevi conto. Pensate di ridere, di stare bene e in realtà starete male. L’ospedale è luogo di condivisione vera. Ci si rende conto, che siamo “angeli” di speranza. Vorrei che la Chiesa fosse proprio questa madre che non lascia mai soli, che non abbandona, segno di speranza concreta. Le sofferenze possano trovare sollievo nella vicinanza di persone che visitano e nell’affetto ricevuto. Le opere di misericordia sono anche opere di speranza, che risvegliano nei cuori sentimenti di gratitudine. “La cura per loro è un inno alla dignità umana, un canto di speranza che richiede la coralità della società intera”, afferma Papa Francesco.

Gesù per primo vive le beatitudini. Piange ed è consolato. Non piange su di sé, non si commisera. Piange sugli altri e per questo è consolato. Il mondo non sa consolare perché scappa dalla fragilità, si accontenta di parole perché crede che la risposta sia capire o trovare una spiegazione a tutto, quando invece abbiamo bisogno di consolazione vera, che vuol dire protezione, sicurezza, senso, speranza. Chi è malato ha bisogno di luce nel buio, e di vicinanza in quel mistero che dà la vertigine così impenetrabile della vita. Ecco la consolazione di Gesù che si manifesta nel suo pianto per la città intera, nella sua compassione per tutta la folla e la sua sofferenza. Gesù piange affinché noi veniamo consolati; è povero anche di un posto dove posare il capo per renderci ricchi di quello che vale e dà valore.  “Alla fine ciò che rimane è gratitudine, tenerezza, pace; rimane il suo amore che regna nella nostra vita. Se soffriamo, possiamo provare la consolazione interiore di sapere che Cristo stesso soffre con noi. Desiderosi di consolarlo, ne usciamo consolati”. La speranza cristiana consiste proprio in questo: davanti alla sofferenza, alla morte, dove tutto sembra finire, si riceve la certezza che, grazie a Cristo, alla sua grazia che ci è stata comunicata nel Battesimo, “la vita non è tolta, ma trasformata”, per sempre.

La malattia porta con sé la solitudine e la rivela. Dio non ci lascia soli, e ci ama perché non ci sentiamo soli e non lasciamo soli. Le sofferenze degli ammalati possono trovare sollievo “nella vicinanza di persone che li visitano e nell’affetto che ricevono. Le opere di misericordia sono anche opere di speranza, che risvegliano nei cuori sentimenti di gratitudine. E la gratitudine raggiunga tutti gli operatori sanitari che, in condizioni non di rado difficili, esercitano la loro missione con cura premurosa per le persone malate e più fragili. Non manchi l’attenzione inclusiva verso quanti, trovandosi in condizioni di vita particolarmente faticose, sperimentano la propria debolezza, specialmente se affetti da patologie o disabilità che limitano molto l’autonomia personale. La cura per loro è un inno alla dignità umana, un canto di speranza che richiede la coralità della società intera”.

“Ecco, la speranza non delude” (Rm 5,5) e la gioia che da questa viene è la nostra vera forza. È dentro il buio che si scorge una luce. La gioia, come la speranza, richiede pazienza. “Siamo ormai abituati a volere tutto e subito, in un mondo dove la fretta è diventata una costante”. Anche negli ospedali. “Se fossimo ancora capaci di guardare con stupore al creato, potremmo comprendere quanto decisiva sia la pazienza. Riscoprire la pazienza fa tanto bene a sé e agli altri. Esercitarla e cercarla, per difendere la gioia e la speranza, per certi versi per essere, non a caso, davvero pazienti” Qui ci sono tanti “angeli” di speranza, che la danno e la ricevono. Tutti lo siamo. L’amore non abbandona ed è la vera cura che rende preziosa la vita. Questo Giubileo della Speranza ci ricorda che siamo pellegrini alla ricerca di futuro, di vita, di luce.

Cantava così padre David Maria Turoldo: “Voi che credete, voi che sperate correte su tutte le strade, le piazze a svelare il grande segreto…Andate a dire ai quattro venti che la notte passa, che tutto ha un senso, che le guerre finiscono, che la storia ha uno sbocco, che l’amore alla fine vincerà l’oblio e la vita sconfiggerà la morte. Voi che l’avete intuito per grazia continuate il cammino, spargete la vostra gioia, continuate a dire che la speranza non ha confini”.

Sotto la Tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.

Bologna, Policlinico Sant'Orsola - Cappella di San Francesco (Padiglione 5 - 4° piano)
16/02/2025
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