Messa della V Domenica di Pasqua a Santa Maria in Trastevere

Gesù, che accompagna sempre la sua Parola con le sue opere, ha lavato i piedi ai discepoli e a Giuda che, sconvolto, è uscito dal cenacolo, posseduto dalla sua rabbia e dalla disillusione che lo rendono disposto a tutto, dall’ossessione del proprio interesse per cui vende l’amore stesso e anche sé. “Era notte”, nota l’Evangelista, intendendo più che il tempo cronologico quello spirituale e umano. Anche per Gesù iniziava l’ora delle tenebre, il buio della morte, dove questa comanda, spegne la vita e la rende senza valore, spezza i legami, persuade a salvare se stessi, e fa addormentare per la tristezza. Quante tenebre di morte e di non amore confondono i cuori e avvolgono interi Paesi, esaltano nella presunzione dell’orgoglio e dell’ignoranza, che diventano alleati del male. Gesù aiuta gli undici a comprendere come affrontare quella e tutte le ore delle tenebre, ad attraversarle indicandone in esse la gloria. “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”. È l’ora che attendeva già da Cana. L’evangelista Giovanni, a differenza dei Sinottici, vuole sottolineare l’aspetto salvifico della morte di Gesù. È lui che va incontro alle guardie.

È lui che sceglie la croce perché vuole portare a compimento l’opera di salvezza. Gesù subisce la condanna e la morte, ma è lui che l’affronta: non solo non salva se stesso, non scappa, ma guarda negli occhi la morte e la sua ora. Già a Nicodemo svelò la vittoria della croce, cioè della sconfitta più grande, dell’amore fino alla fine: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo” (Gv 3,14). E più tardi, subito dopo l’ingresso a Gerusalemme, lo svela alla folla: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire” (Gv 12, 32-33). È il mistero che confida e affida a quegli undici, dei quali, peraltro, conosce la debolezza e il tradimento che hanno nel cuore, come Pietro. Il martirio è l’amore che porta ad affrontare il male, più forte della paura, consapevole del rischio ma che affronta proprio perché l’amore è più forte della paura e dell’amore per sé.

Ce lo ricorda con tanta umanità e maturità evangelica Floribert, martire in Congo che sarà beatificato il prossimo 15 giugno. Anche lui – come Gesù potremmo dire – è andato incontro alla morte, non è scappato, l’ha affrontata, l’ha vinta e così insegna a molti a sconfiggere la corruzione e le, purtroppo tante e terribili, logiche mafiose. Gesù è consapevole della forza del male e apre ai suoi – invece così inconsapevoli, temerari e paurosi – il suo cuore. Parla di amore quando tutto parla di morte! È vero, si muore soli, ma con Gesù non saremo mai da soli perché vive la vicinanza del Padre e cerca quella dei suoi. Il Signore parla di amore perché i suoi siano protetti dal turbamento. Li chiama con tenerezza: “Figlioli”. È l’unica volta che li chiama così. E prosegue: “Ancora per poco sono con voi” (Gv 13,33). Li sta per lasciare. E loro si turbano. Non sappiamo dove vai! Ti seguirò ovunque, non ti capiterà mai! Tutti scapperanno.

Gesù ci aiuta a capire la fine, a vederla, a parlarne, a non rimuoverla. Gesù ama e l’amore protegge non solo nell’immediato, ma in quello che sarà. “Voi mi cercherete… ma dove vado io voi non potete venire”. In queste parole c’è tutta la dimensione affettiva di Gesù, la cui sostanza è l’amore. La sua presenza è nel suo comandamento, quello che ci rende beati se lo mettiamo in pratica fin da oggi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così voi vi amiate gli uni gli altri”. Gesù va oltre il comando del Levitico: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lev. 19,18). La misura dell’amore non parte da noi. La nostra generazione con insistenza, quasi minacciosa, impone che ciascuno resti prigioniero del proprio io, possegga, non doni, mentre Gesù indica una misura per tutti e, quindi, possibile per tutti: “Come io vi ho amato”. In realtà, la sua è la misura umana che ci rende umani.

È un comandamento nuovo e sempre nuovo, capace di rendere nuovo anche ciò che è vecchio, che si trasforma e cresce, che resiste anche quando ne siamo inconsapevoli e incapaci di riconoscerlo. È nuovo perché definitivo. L’amore che ci chiede è sempre circolare, gli uni gli altri; per tutti, sia nel darlo che nel saperlo ricevere; senza calcoli e misure, esigente ma per amore, con la semplicità dei piccoli e non con i calcoli dei farisei. E di questo amore – quello di Gesù – il mondo ha bisogno. I discepoli fanno fatica a comprenderlo. Scapperanno tutti davanti alla sofferenza, che chiede da che parte stare e che rivela l’amore dalla convenienza, dall’attendismo, dalla resistenza diffidente e triste. Solo dopo la Pasqua comprenderanno le parole che diceva loro in quel momento: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. L’amore di Gesù rende capaci di amare, di consolare, di guarire, di sostenere, di accogliere, di parlare di pace negli inferni delle guerre. È un amore che cambia noi stessi e il mondo. Che ciascuno sia, come nella lavanda dei piedi, pronto a servire e a farsi servire, e a mostrare concretamente il suo amore, anche perché qualcuno – non sappiamo chi – lo vede. E questo è possibile solo per gratuità. Sorelle e fratelli, questo comandamento nuovo è il tesoro che il Signore continua ad affidarci.

Oggi più che mai siamo chiamati a viverlo e a testimoniarlo. È un tempo opportuno, propizio. La sofferenza, la paura, la solitudine nascoste nelle pieghe del cuore (mai umiliare il prossimo!) gridano il bisogno di amore. Papa Leone XIV, nella preghiera affidiamo il suo inizio di Ministero come Vescovo di Roma, esorta la Chiesa di oggi a farsi riconoscere in maniera concreta, da tutti, da quell’amore, che riflette il Vangelo. Facciamo nostro questo tesoro di amore perché “gli altri”, tutti, possano vedere nella nostra umanità, debole e contradditoria com’è, il riflesso di quei cieli nuovi, la bellezza della sposa, come quella che abbiamo davanti a noi adorna per il suo sposo, che continua a ricordarci  che abita con noi, che siamo suoi e che lo siamo insieme, che le lacrime sono asciugate, la morte vinta, e la cose di prima passate, perché davanti al suo trono quello che resta e che possiamo contemplare, e far crescere da oggi, è l’eterna novità del suo e nostro amore.

Roma, Basilica di Santa Maria in Trastevere
17/05/2025
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