“Sia lodato Gesù Cristo!”. Così iniziava e concludeva sempre don Ivo. Il Vangelo di Giovanni si conclude con questa affermazione: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”. Sono le pagine che Gesù scrive nel grande libro della vita attraverso i suoi, in quegli Atti degli Apostoli che raccontano la nostra vicenda, le difficoltà, il peccato, ma sempre anche la grazia che ha riempie la nostra vita del Suo amore e ci rende riflesso della sua presenza. L’Areòpago non è solo quello di Atene, ancora oggi anche noi vediamo molti che in tanti modi sono religiosi, pieni di ricerca spirituale, che adorano un Dio ignoto, quel Dio che “senza conoscerlo” è Gesù, colui che “dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa” e ispira la ricerca, quella nostalgia per cui, direbbe Sant’Agostino, noi siamo eterni cercatori di Dio perché è proprio vero che “Tu hai creato il nostro cuore per te, Signore, e sarà sempre inquieto finché non riposerà in te”.
Perché è proprio vero che sempre “l’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente”, desiderio di luce, di bene, perché ne sentiamo la mancanza quando siamo nel buio e sappiamo che c’è la luce, e la cerchiamo “tastando qua e là come i ciechi, a tentoni”, come dice con sapienza umana l’Apostolo Paolo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. E stiamo bene solo quando sentiamo l’amore che cerchiamo, non perché abbiamo capito tutto e trovato le risposte a tutto, ma perché abbiamo trovato Gesù, l’amore che è il senso di tutto. Non è senza volto. Che amore sarebbe? Proprio perché è un Tu capiamo che è amore, e non lo riduciamo a noi, non lo possediamo, non ne facciamo quello che vogliamo noi, ma impariamo ad amare. Come indica Paolo nella conclusione del suo discorso. Egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che Egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti. È il centro della nostra fede, sempre così poco capace di sopportarne il peso, perché è Lui la vera speranza che cambia la vita, liberandola dalla morte e accendendo, quindi, di bellezza tutta la vita terrena perché in questa vediamo già oggi la gloria eterna, illuminati dallo Spirito della verità, che ci guida a tutta la verità, che è sempre l’amore che ci regala tutto quello che il Padre possiede, che ci annuncia le cose future, a noi così ignoranti e drammaticamente perduti in quelle tempestose dell’oggi.
Ecco la vita di don Ivo, credente, che con fermezza ha indicato Cristo come pienezza della sua vita e della vita, e che ha scritto con i suoi tanti anni, che avremmo desiderato più lunghi, anche per la sua forza e determinazione che sembravano indistruttibile. Chi ama Dio ama la Chiesa, perché Madre, perché attraverso di Lei capiamo l’umanità di Gesù, che non è un’idea ma una presenza, umana. Don Ivo non faceva sconti, aggiustamenti; non aveva certo piacioneria, perché doveva piacere solo all’unico maestro. E poteva anche mettere timore, che davvero poi è l’inizio dell’amore, e non si poteva non amarlo per il suo affetto che prima o poi immancabilmente manifestava. Ha servito la Chiesa con fermezza, senza tentennamenti, metodico e fedele ai ritmi ricevuti nella sua formazione sacerdotale, sempre con tanto coinvolgimento personale, anche fisico, e così qualche volta per lo stress gli venivano le epistassi. Non moltiplicava parole e le sue omelie erano brevi ed efficaci, asciutte come il suo parlare. Erano come un distillato, anche perché non sopportava le discussioni se inutili.
Nelle solennità più importanti non si faceva in tempo a sedersi che erano già finite. A volte per “gioco” quelli del servizio le cronometravano, come quella volta di una di sei minuti spaccati in una notte di Natale! Ma, ricordiamoci, che le preparava iniziando a lavorarci già il lunedì! Era un uomo di preghiera, nella quale era bene non disturbarlo (era capace anche di ruggiti leonini…) e la sua chiesa la voleva casa di preghiera e di comunità. La curava a cominciare dai suoi ministranti per una liturgia degna e luminosa. Coinvolgeva tanti nei vari servizi indispensabili per la comunità, dalla casa di riposo al catechismo, dalla mensa dei poveri al presepe. Ha creduto in una Chiesa che coinvolgeva i laici dando loro responsabilità, ministeri, sfornando lettori, accoliti e diaconi. Pastore buono, conosceva tutti per nome. Qualcuno ha detto che non aveva bisogno dell’anagrafica della piattaforma Unio perché con le benedizioni conosceva ognuno, campanello per campanello, cognome per cognome, e se gli dicevi un nome era capace di dirti dove abitasse e pure il numero di telefono.
Un parroco, e lo ha fatto praticamente sempre, anche quando è diventato emerito andando a S. Eugenio e alla Sacra Famiglia. Un pastore che non metteva al centro se stesso ma solo il vero e unico Pastore che tutti dobbiamo seguire, prendere sul serio, perché dà la vita per la nostra povera vita. Sapeva dare fiducia, incoraggiare e accompagnare, anche sgridando, anche solo con le sue occhiate in presbiterio lasciavano il segno. Una delle sue grandi qualità era la fiducia nei suoi collaboratori, anche verso chi non la pensava come lui, ma che stimava. Diceva: “I collaboratori che mi danno sempre ragione non mi sono di aiuto”. La preghiera era un punto fermo nella sua vita. Lo trovavi spesso in chiesa, nel transetto, a leggere o a dire l’ufficio, il rosario o anche solo a fare una visita al SS. Sacramento. Gli ultimi anni non avevano certo diminuito la sua grinta, aveva trovato tanta pace nel cuore perché era pronto e si era preparato con cura: “Io sono qui e sono pronto”. La sua frase ricorrente rivolta ai ministranti era: “Chi prenderà il mio posto il giorno che non ci sarò più?”. Qualcuno, effettivamente, ha seguito le sue orme: sei preti sono usciti dal suo ministero a San Paolo, il “Capitolo Ravoniano”, suo orgoglio, composto da persone diverse ma amiche. Il suo “programma pastorale” lo aveva preso dalla frase di S. Paolo (Cor 5,14): “Caritas Christi urget nos”. Se c’è questo tutto il resto viene da sé.
Don Ivo ci ha salutato il giorno di Maria Ausiliatrice, molto cara alla sua spiritualità, e ricordiamo che è sempre rimasto legato alle sue radici salesiane (Castel dei Britti) e lui è salito al cielo nel giorno in cui scendeva la Madonna di S. Luca. Si, è proprio vero che il Signore mostra nei segni i suoi prodigi e continua a scrivere nelle pagine della nostra vita per riempirle di tante parole di amore, come don Ivo ha fatto. Ora prega per noi, perché tanti trovino la loro vocazione e si mettano al servizio del Vangelo. Che tanti possano prendere il nostro posto. In pace.
