Messa per la solennità della Santissima Trinità e l’istituzione di 26 Accoliti e Accolite

“La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Sono proprio queste parole che suggerirono a Papa Francesco la Bolla di indizione per il Giubileo che stiamo vivendo. È una domenica terribilmente segnata dalle immagini di guerra e di distruzione che ci arrivano dal Medio Oriente, senza dimenticare l’Ucraina e la sofferenza che non vediamo da tante parti nel mondo, e non per questo meno reale e importante. Possiamo sperare? Non c’è delusione? Ieri sono andato, come inviato di Papa Leone XIV, a rappresentarlo nella celebrazione per i cento anni della Diocesi di Fiume, Rijeka. Quanta terribile sofferenza ha segnato quelle terre negli anni della Seconda Guerra Mondiale e in parte nella guerra dell’ex Jugoslavia! Chi ha perdonato e chiesto perdono? Quando impariamo? Impareremo a non profanare il tempio di Dio che è ogni persona, noi che siamo chiamati ad amare i nemici, cioè a distruggere l’inimicizia perché sappiamo riconoscere in ognuno il mio, il nostro fratello? Perché non capiamo? Come possiamo vivere imbambolati e permettere che il diavolo semini divisione e morte? Così indeboliamo nostra Madre Chiesa umiliandola con il personale protagonismo invece di amarla, servirla e renderla capace di cercare la pace, prepararla, custodirla.  Se la Chiesa è debole – la sua voce non viene affatto presa sul serio – come potremo fermare questa mentalità che ripudia la pace e distrugge tutti i modi per comporre con il dialogo i conflitti?

La logica della forza suscita sempre inevitabilmente prima o poi, un’altra forza contrapposta, sempre distruttiva, per cui ciò che oggi distruggi causerà la tua stessa distruzione. Nella guerra anche chi vince è uno sconfitto! Come avere speranza davanti allo scandalo del dolore degli innocenti, all’evidente disprezzo del dialogo, reso inutile anzi pericoloso, come fosse far guadagnare tempo e possibilità al nemico?  “Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità”. Ricondiamo sempre che: “La speranza nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce” (SNC3), cioè dal suo amore che diventa nostro. L’uomo ha sempre bisogno di una speranza che vada oltre. In realtà può bastargli solo qualcosa di infinito e non le speranza della terra, peraltro davvero così vane, e che non saziano mai. “La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino”.

Oggi celebriamo la festa della Trinità. Dio stesso è comunione, cioè amore pieno. Noi ci facciamo grandi da soli, imponendoci, distinguendoci per essere noi stessi. Dio unico è tre persone. Quando si ama ci si pensa assieme, non possiamo farne a meno e farlo non rappresenta un limite o un pericolo, anzi! Chi ama non può fare a meno di mettere in comune, desidera che il mio diventi il suo e così tutto diventa nostro. Siamo tanto segnati dal nostro individualismo che abbiamo paura di un amore così, senza riserve, senza limiti, per tutti. Dio ci ama talmente tanto che ci fa entrare nel suo amore, lo condivide tutto con noi! Abbiamo paura di amare, che, ripeto, è donare, perché siamo egocentrici e confondiamo amore con possesso. Perché non capiamo che solo se si perde si conserva, che regalare è possedere, che quello che è suo nell’amore è anche tuo? Ecco perché San Francesco, povero, senza nulla, aveva tutto e sentiva tutto per lui e quindi, bellissimo, lo regalava agli altri, perché anche noi potessimo fare la stessa esperienza. Dio è comunione e anche noi siamo noi stessi se viviamo la comunione per cui tre persone sono una. Ciò è spirituale ma anche molto materiale, perché Dio, amore, è il Figlio che ce lo ha fatto conoscere ed è lo Spirito che ce lo rende presente, vivo, e ci ricorda ogni cosa.

“Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”. Nessuno ci può separare dall’amore che è riversato nel nostro cuore. In ognuno. È molto personale – le persone della Trinità, le nostre persone prese singolarmente, ognuno per sé – ma anche plurale, insieme, in un unico amore, che ci fa uscire dalle nostre solitudini, dalle chiusure, dalle paure e ci rende partecipi dell’amore che ci unisce a Dio e fra di noi, perché non è mai solo qualcosa di intimo tra ciascuno di noi e Dio, ma lo viviamo in una comunità concreta. “Gli atti d’amore verso i fratelli di comunità possono essere il modo migliore, o talvolta l’unico possibile, di esprimere agli altri l’amore di Gesù Cristo”. L’ha detto il Signore stesso: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Il servizio ci fa trovare Gesù e viceversa. Non dimentichiamo che è il suo amore che si manifesta attraverso il nostro servizio. “Egli ti manda a diffondere il bene e ti spinge da dentro. Per questo ti chiama con una vocazione di servizio” (DN 215).

Dovremmo chiederci ogni giorno: chi ho servito oggi? A chi ho regalato qualcosa? Ho regalato? A chi hai fatto del bene? E miei diventano tutti e tutti diventano miei. Spesso non offriamo il nostro servizio perché non capiamo i risultati o ci arrendiamo senza alcuna pazienza. Il risultato è l’amore stesso e i suoi infiniti significati, che non dobbiamo controllare ma solo donare. Dobbiamo volere che il seme dia frutto, ma guai a cercare la considerazione personale, perché siamo servi inutili e l’unica cosa che conta è essere amati da Dio. Non cerchiamo i meriti, che non avremo mai, e non dimentichiamo che abbiamo ricevuto tantissimo, restituiamo poco e abbiamo ricevuto proprio per dare.

Oggi alcuni fratelli e sorelle sono istituiti nel Ministero dell’Accolitato. Sarete intorno all’altare, ma apparecchiate la mensa nell’accoglienza, sistemate bene l’assemblea perché tutti si sentano a casa e perché al centro ci sia solo Gesù. Rendete concreta e familiare la comunione spirituale aiutando quella materiale, perché ognuno si senta parte della tavola di amore. Apparecchiate l’altare con sobrietà e bellezza, per manifestare la cura per ciò che abbiamo di più prezioso. La tovaglia sia quella delle nostre relazioni che trovano senso e pienezza perché al centro hanno proprio il Suo amore. Portate questa tovaglia a chi è impossibilitato a partecipare o a chi non pensa che possa farlo. Ricordatevi che quando la date anche la vostra presenza è consolazione perché fa sentire amati dalla famiglia di Dio unita dal Suo corpo. Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. “Fa’ che, assiduo nel servizio dell’altare, distribuisca fedelmente il Pane della Vita ai fratelli e cresca continuamente nella fede e nella carità per l’edificazione del tuo Regno”.

Cattedrale di San Pietro, Bologna
15/06/2025
condividi su