Questa è proprio la casa di Dio! Una gioia così piena solo Lui la può donare! Gioia per tutti, non per pochi e per poco tempo come quella che offre il mondo! Oggi, noi uomini della terra contempliamo il Suo amore e gustiamo la Sua presenza, riceviamo la grazia e sentiamo la responsabilità di essere qui. Io magnifico l’amore di Dio, perché innalza ciò che è umile, che nel mondo non conta ma che per il Signore è preziosissimo perché lo ama. E così abbassa la superbia di credere di aver capito senza ascoltare, senza abbassarsi, senza fare spazio. Costruire una casa al Signore vuol dire una dove troviamo e troveremo sempre un Padre che ci abbraccia, che ci fa sentire accolti e amati. Lui ci chiede sempre di aiutarlo, abbracciando noi nostro fratello. È casa, perché dove c’è Dio c’è famiglia, perché la regola del Padre è quella dell’amore, per il quale quello è suo è nostro. Così ci insegna a non aver paura di donare quello che abbiamo, ci libera dall’egoismo facendoci vedere che c’è più gioia nel dare che nel ricevere e spinge ognuno a dare il suo perché sia nostro. Amiamoci gli uni gli altri.
Oggi tutti parliamo la stessa lingua, quella dell’amore! La nostra lingua di origine non ci isola, perché lo Spirito ci riempie di amore, ci libera dalla paura e ci rende capaci di comunicare. Per questo è una casa di pace, che viene quando gli uomini si riconoscono fratelli. Fratelli tutti! È una casa che abbiamo voluto grande e molto bella, perché vogliamo ci sia un posto per ciascuno e vediamo con gli occhi quanto è bello e quanto dia gioia che i fratelli stiano insieme! Qui entriamo ognuno con la propria origine e con le proprie caratteristiche personali e di gruppo, tutte preziose, anche quelle che il mondo non considera. Sono preziose quando le usiamo insieme agli altri. Diventiamo tutti una cosa sola. Questo è possibile solo perché al centro c’è Lui, solo Lui. Mettere al centro Lui, averlo nella nostra Comunità e nella nostra vita personale, ci fa trovare chi siamo. L’altare diventa il punto d’incontro fra cielo e terra; il centro, potremmo dire, dell’unica Chiesa che è celeste e, al tempo stesso, pellegrina sulla terra.
Questa casa è mia, mi fa sentire a casa ma solo se amo con tutto me stesso gli altri. Non si possiede: si ama. Non siamo ospiti ma familiari; non siamo padroni ma tutti servi. Amiamola da figli e da fratelli e ricordiamoci che la casa più importante, e che renderà caldo e accogliente questo luogo, è la casa di pietre vive, tutte diverse e tutte insieme, come le pietre dell’altare. Non siamo tutti uguali, e non lo dobbiamo diventare, ma siamo tutti importanti e vivi, ciascuno come può.
Questa casa è frutto di una storia lunga cinquant’anni. L’amore vero non invecchia mai, non si perde, non finisce, perché l’amore si trasforma e ci trasforma. Unisce le nostre Chiese di Mafinga-Iringa e Bologna. Questo legame si chiama comunione, che è molto più di rispetto, di collaborazione, di solidarietà, perché comunione è proprio pensarci insieme, amarci l’un l’altro. Come il coro! Le voci di ognuno compongono un’unica voce, bellissima, proprio perché ne contiene e ne armonizza tante. La comunione è come la struttura che sostiene il tetto: sono, vedete, tanti pezzi di legno, diversi, ma tenuti assieme da questi nodi che li uniscono e li collegano tra loro tanto che, poi, ognuno sostiene l’altro. E c’è bisogno di ognuno.
Tanti anni fa alcuni nostri fratelli vennero a Usokami, e poi qui a Mapanda, e vennero solo perché amavano e seguivano Gesù. Li ringrazio tutti. Insieme a Mons. Giovanni Silvagni, Vicario Generale della Diocesi di Bologna, ne nomino alcuni. Anche loro sono con noi, uniti nella comunione: Baba Giovanni, Guido, Tarcisio, Mama Maria Lidia, Maria Gemma, Mama Cornelia, Mama Vincenzina, Mama Assunta, Mama Maria Angelina, il dott. Edgardo, don Giovanni Nicolini. Vorrei ricordare anche, scusatemi ma la comunione non è virtuale ma di persone, nomi, storie: i Cardinali Poma, Biffi e Caffarra che tanto hanno creduto a questo legame, così come Mons. Cè. Insieme a loro i tanti, ma tanti, che hanno lavorato e pregato per voi, che sono venuti, ad iniziare dai preti che si sono avvicendati qui e quanti che, come hanno potuto, hanno preparato questa strada che non c’era, hanno atteso il Signore e lo hanno indicato presente come fece Giovanni Battista. E un grazie speciale anche a don Davide e a don Marco, a tutto l’Ufficio Missionario, a don Francesco Ondedei e agli altri, a cominciare da Paola Ghini.
Giovanni Battista, nostro Patrono, è l’uomo della speranza e proprio per questo non si rassegna e affronta il male. Ognuno può aiutare con il suo amore e la sua preghiera a preparare la strada al Signore, perché altrimenti vince Erode! Giovanni Battista lo affronta, non scende a compromessi con lui e può farlo non per il coraggio ma perché umile, perché attende Gesù, sa che deve venire. Per questo è l’uomo della speranza. Non compie cose impossibili: si affida, aspetta, che non è non far niente, ma fare tutto perché sappiamo che viene.
Oggi c’è un Erode terribile, tragico, che distrugge tutto: è la guerra, che inizia con l’idolatria della propria forza, del salvarsi da soli, della violenza nelle parole e nei gesti, del pregiudizio, compreso quello etnico e razziale. Quanta divisione fa crescere nei cuori! Questa casa di pace è di persone di pace, disarmate e disarmanti, che mettono pace dove c’è odio, perdono dove c’è rancore. C’è anche un Erode della corruzione, cioè di pensare solo a sé, di cercare il proprio interesse tradendo l’onesta e la giustizia. Possiamo pensare: lo fanno tutti, poi passo io per sciocco! La settimana scorsa Papa Leone XIV ha beatificato Floribert, un giovane congolese che aveva la responsabilità delle dogane della sua città. Gli dissero alcuni corrotti: “Se fai passare un carico di riso avariato, ti daremo tanti soldi, sarai ricco, pensa per te”. Lui invece ha pensato a Dio e a tutti quelli che sarebbero stati male con il cibo avariato. Non ha ceduto alla corruzione, non si è rassegnato, non ha pensato alla sua convenienza personale, e che non sarebbe servito a niente resistere e, pur sapendo la vendetta e la rabbia a cui sarebbe andato incontro, non ha accettato. È stato ucciso, martire dell’amore per gli altri e della giustizia. Non hanno ucciso, però, la sua speranza! E oggi questa accende di giustizia tanti giovani africani, e di tutto il mondo, che vogliono un mondo giusto, secondo la legge di Dio, e che affermano con il loro esempio che la corruzione uccide e che rubare fa male. Nel deserto ha preparato una strada al Signore, come Giovanni Battista.
Portiamo questo amore ovunque e regaliamolo a tutti! Questa casa così grande dia forza alle nostre comunità più piccole, perché grande è dov’è il Signore!
Che Giovanni Battista protegga la comunità di Mapanda, il suo Vescovo, il Parroco e tutta la chiesa di Mafinga e Iringa, ci faccia crescere nella comunione per continuare, insieme, a seguire il Signore, a testimoniare il suo amore e la sua forza, a camminare insieme fino al giorno in cui giungeremo nella vera casa dove la nostra vita è diretta, quella del cielo.
