Veglia di preghiera “Morire di speranza”

Preghiamo in memoria di quanti hanno perso e ancora perdono la vita nei viaggi verso l’Europa. Perdere la vita cercando la vita è doppiamente un male e richiede ancora più amore. Non si perde la vita per caso, la povertà non è una colpa ma una nostra responsabilità! Morire di speranza è un controsenso inaccettabile, ancora più stridente in questo anno del Giubileo della Speranza e in un mondo apatico, rinunciatario, attratto da pigre e facili illusioni. Anche per questo la preghiera in memoria di chi muore di speranza è uno dei momenti di maggiore consapevolezza del Giubileo, perché la Chiesa fa sue “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”, perché queste “sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.

Se non trova eco vuol dire che abbiamo perso il cuore o lo abbiamo svuotato di Dio. Vuol dire che non sappiamo più riconoscere le vere gioie e speranze o ne abbiamo paura come se fossero una minaccia e non un aiuto alle nostre! La paura costruisce muri e nutre una nuova ideologia razziale, a volte educata, altre volte sfacciata e pericolosamente violenta, soprattutto nella semantica. La preghiera è un grido che arriva al cuore di Dio, ma chiede di penetrare quello degli uomini. Dio fa giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di Lui, non li fa aspettare come gli uomini che rimandano, non decidono, che usano i problemi per convenienze personali invece di cercare soluzioni e rendono impossibili le soluzioni possibili.

Gesù troverà la fede sulla terra? Crediamo che il mondo possa cambiare come lo crede Gesù e crediamo che il suo amore restituisce il mondo a quello per cui è stato creato? La nostra preghiera si unisce a quella che sale dalla condizione stessa di chi grida giorno e notte, di chi ha fame ed è ucciso per avere da mangiare, di chi sta male e non ha chi lo cura, di chi cerca la strada e non la trova, di chi cammina fino a farsi male e morire, di chi si sente straniero in un mondo che non conosce e che lo tratta da straniero e non da persona.

Sono loro i salmisti e ci fanno capire le parole che Dio fa sue proprio perché quel dolore è il suo, può diventare il nostro e ci aiuta a capirlo, ad esprimerlo, a dirigerlo a Lui, perché sappiamo che ci ascolta e insegna anche a noi ad ascoltarlo. Non accettiamo di abituarci al dolore, ad una sofferenza così grande, sconsolata, infinita come le lacrime di un bambino, la disperazione di una madre, il dolore fisico insopportabuile e senza cure. Ero forestiero e non mi avete ospitato.

Come è possibile? La scelta é sempre personale, ma è anche favorita dall’inquinamento colpevole che autorizza ad essere senza cuore, perché identifica il migrante come un pericolo, una categoria e non una persona, quella persona di cui il Vangelo ci dà per tutti il nome: Gesù. Io, Gesù, sono quel forestiero. Non è un’interpretazione: è carne, storia. Il Vangelo non specifica le caratteristiche di quel forestiero, perché basta quella di essere forestiero.

Papa Francesco nella predicazione della Chiesa, che è sempre la stessa perché non è altro che il Vangelo e ci fa incontrare Gesù nei suoi sacramenti, ha ricordato a tutti che non si può morire in mezzo al mare. Ne ha parlato con ferma insistenza, ci ha costretto – con quanti fastidi, resistenze e giudizi! – a toccare la realtà, a condividerne la sofferenza, a commuoversi e ha chiesto a tutti di affrontare il problema come il nostro problema. La sua è la semplice consapevolezza che c’è Gesù, sperduto nell’immensità del mare o del deserto, o chiuso in un lager di tortura, inedia e sfruttamento.

Ricorderemo tanti nomi: dovremmo scriverli nel cuore perché sono tutti nomi di Gesù, nomi, cioè persone, quel mondo unico che è ogni persona. Non c’è compromesso possibile: la vita si salva o si perde, o accogli o no. E il giudizio, severo, definitivo del Vangelo è proprio sull’amore perché se manca è inevitabile che la vita sia persa. È un giudizio che appare eccessivo perché non rispetta le nostre infinite giustificazioni, per la convinzione che ci giudichiamo da soli, per il compiaciuto amore per noi stessi scambiato per amore. È concreto, diretto, definitivo. Il giudizio di Dio ci rende consapevoli e se lo facciamo nostro ci aiuta a giudicarci per davvero perché ci fa capire, scegliere di permettere che avvenga “ero forestiero e mi hai accolto”. Papa Francesco ricordando le storie di Matyla e della figlia di 6 anni, Marie, morte durante un viaggio nel deserto tra Tunisia e Libia a causa di fame, sete e caldo, pianse e si fermò a pensare alle persone che “anche in questo momento stanno attraversando mari e deserti per raggiungere una terra dove vivere in pace e sicurezza”.

“Fermiamoci a pensare”, chiese e chiede! Fermiamoci! La preghiera è fermarsi e fare spazio nel cuore, pensare con Gesù e quindi con i suoi sentimenti,  i più umani e veri. “La tragedia è che molti, la maggior parte di questi morti, potevano essere salvati. Bisogna dirlo con chiarezza: c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave”. Come salvarli?  Solo “ampliando le vie di accesso sicure e le vie di accesso regolari per i migranti, facilitando il rifugio per chi scappa dalle guerre, dalle violenze, dalle persecuzioni e dalle tante calamità”.

“Lo otterremo favorendo in ogni modo una governance globale delle migrazioni fondata sulla giustizia, sulla fratellanza e sulla solidarietà. E unendo le forze per combattere la tratta di esseri umani, per fermare i criminali trafficanti che senza pietà sfruttano la miseria altrui”. Ecco, sono i corridoi umanitari che salvano anche la nostra umanità, che con l’intelligenza dell’amore la Comunità di Sant’Egidio ha offerto a tutti, metodo molto concreto e possibile, ripetibile! In realtà anche questi vengono dalla preghiera, che ha spinto e spinge a non rassegnarsi, a non dire “non c’é nulla da fare” oppure “ho già fatto molto!”. Vogliamo che la speranza non deluda per i tanti “esuli, profughi e rifugiati, che le controverse vicende internazionali obbligano a fuggire per evitare guerre, violenze e discriminazioni” (SNC 13).

Sarà così anche il nostro Giubileo, che fa vivere l’oggi proclamato da Gesù a Nazareth. Ricorderemo anche Yasmine, di 11 anni, dalla Sierra Leone, che è stata salvata il 9 dicembre 2024 dopo aver lottato per tre giorni contro una tempesta, aggrappata a due camere d’aria. E discutiamo pure sul salvare la vita e su chi la vuole salvare? Quanti non li abbiamo visti o per i quali non siamo arrivati in tempo? Molti scappano dalla guerra.

“È veramente triste assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi. È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza. Questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni. Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può pensare di porre le basi del domani senza coesione, senza una visione d’insieme animata dal bene comune?

Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta? La gente è sempre meno ignara delle quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte e con le quali si potrebbero costruire ospedali e scuole; e invece si distruggono quelli già costruiti!”, ha detto con gravità Papa Leone XIV. “È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?”

Non sono uno scandalo i soldi investiti per le armi invece che per i mezzi per costruire futuro, salvezza, cure, educazione? Non dobbiamo dire: dateci i soldi di un missile che tutto distrugge per dare futuro e aiutare a restare? La difesa, necessaria, non significa solo armi, ma investire nelle armi del dialogo! E la difesa militare deve unire e l’unità europea ne è un requisito fondamentale, perché la difesa non possa mai essere usata per risolvere i conflitti ma per continuare a ripudiare la guerra, come ci insegnano il Vangelo e il sangue sparso per generazioni che grida come quello di Abele! Il Vangelo ci impone di volere la pace e prepararla, ad iniziare da  noi! E la pace inizia con l’accoglienza, con la difesa della vita, tutta, sempre, per tutti. L’emigrazione è segno del nostro tempo e segno quindi di Dio. Solo il mondo di fratelli tutti ha futuro.

È il mondo di Dio, il mondo che ci affida, per il quale vale la pena vivere. La speranza non è ingenuità, anzi! Il problema delle migrazioni è di complessa soluzione e va affrontato in tanti modi, con la forza della sapienza cristiana, la chiarezza della Dottrina sociale della Chiesa, senza paura, con umanità e speranza. Non abbiamo paura del prossimo e del futuro. Il Signore e la memoria di chi ha perso la vita nei viaggi della speranza suscitino nei cuori amore, intelligenza, passione, perché nessuno perda la vita cercandola.

Chiesa Santa Maria della Visitazione, Bologna
04/07/2025
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