La comunione ci dona anche la storia, le memorie di quanti ci hanno preceduto e che diventano nostri nell’amore che ci unisce! La memoria del dies natalis del Cardinale Biffi è unita a quella di San Benedetto, padre di coloro ascoltano da figli gli insegnamenti evangelici e che dedicano la vita al servizio del Signore.
San Benedetto ha, con profonda sapienza dell’animo umano e tanta indispensabile paternità, insegnato la bellezza della vita comune. La Chiesa, infatti, è comunità, corpo e amore gli uni per gli altri, non simbolico o indefinito ma che si misura sempre con l’umana e umile concretezza. «Chi è l’uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?» (Prol. 15), si chiede San Benedetto. È vero: all’origine della vita monastica, ma potremmo dire all’origine della vita cristiana, sta sempre un desiderio di vita, di vita vera. Il priore di Camaldoli, Padre Matteo, giustamente osserva che «l’idolatria è la perversione del desiderio, che si camuffa da ricerca di vita ma in realtà conduce alla morte». Il desiderio va allenato, è una scuola e tutti dobbiamo con pazienza, anche e ancor più in epoca digitale, imparare a scendere davvero nella profondità di noi stessi, nell’interiorità.
Il Cardinal Caffarra, che desidero ricordare questa sera e che ne celebrò le esequie, era qui con noi nella celebrazione del primo anniversario della sua scomparsa e ricordò che San Benedetto vide «il mondo intero come raccolto in un unico raggio di luce». Vedere con gli occhi del Signore ci fa scoprire il senso del mondo, abbraccia l’intera vicenda umana perché la luce dell’amore la rende piena, infinita, la dilata unendo ciascuno alla dimensione universale.
Il Cardinal Biffi ha insegnato a cercarla come l’argento e per averla ha scavato per noi nella mente e nel cuore, donandoci tanta saggezza estratta dalla vita. Secondo alcuni, il vero Biffi, cristiano ambrosiano, era il parroco di Legnano, dove univa la riflessione intellettuale con il contatto diretto pastorale con l’umanità. Per amore della Chiesa superava sempre la sua dichiarata “pigrizia”, affermazione poco credibile ma che voleva indicare come solo la passione per il Signore e per la Chiesa fosse la motivazione del suo camminare, ascoltare, riflettere, donarsi. Per il Cardinal Biffi, e mi sembra questa la grande eredità che ci ha lasciato, c’era solo Cristo, essenziale, assoluto, non entità diffusa e accattivante, ridotto a rassicurante consigliere perché senza umanità vera, ma una presenza esclusiva e, se cercato, ascoltato e vissuto, permette di scoprire la grandezza della vita.
Un religioso, visitandolo nei suoi ultimi giorni di vita, meravigliato dalla sua serenità e pace interiore, gliene chiese la ragione. Rispose: «La considerazione dell’unitotalità che ho imparato leggendo i teologi russi», cioè la considerazione che tutto è integralmente e simultaneamente sotto lo sguardo della misericordia di Dio. L’incontro con Dio non è una rinuncia, una perdita, ma sempre dono che contiene tanti doni, il cento volte tanto che rende preziosa la vita anche nelle difficoltà, che esalta la persona con la vita stessa e non con il possesso che la impoverisce e la rende sterile. È l’Evangelii Gaudium. Era questo che lo spingeva a proclamare il Vangelo anche nei passi più imbarazzanti e scomodi, opportune et inopportune, con grande libertà dal timore che «l’annuncio della salvezza sia troppo forte per le nostre sensibilità estenuate di uomini e donne del terzo millennio».
E libertà significa rimuovere acque stagnanti, non accettare la mediocrità, irritare se necessario, ma sempre e solo per indicare la centralità di Gesù, mai cedendo a polarizzazioni ignoranti e agonistiche che fanno torto all’intelligenza – e questo avrebbe strappato inevitabili e graffianti sue ironie – e all’amore per la Chiesa. La verità di Cristo, come diceva, mai raggiunta ma da cui si è raggiunti. «Solo un testimone di Cristo innamorato e felice può contagiare questa gioia».
Aveva timore di un Vangelo ridotto ad accondiscendenza, ma non indulgeva in letture apocalittiche, nel vedere ovunque il male e nel credere di combatterlo con il giudizio e non con l’amore, perché quello che cercava, e chiedeva di cercare, era sempre e solo Cristo, luce e speranza, umanità più gustosa di quella del benessere. Insomma, il tortellino più buono, e proprio perché si unisce alla vita non è ridotto a un’etica, a filantropia e solidarietà. «Cristo non può essere ridotto a un esempio di buona condotta: sarebbe cosa troppo umana. Egli è la primizia dei morti. Questo il cristianesimo crede e annunzia», perché il cristianesimo è “il fatto” dell’Unigenito del Padre, che si fa uomo, si immola per la nostra salvezza, risorge, sta alla destra di Dio, effonde lo Spirito; e così diventa per noi principio di una vita nuova e più “vera”.
«Il cristianesimo è un fatto, e tutte le volte in cui noi cerchiamo di tradurre questo fatto in un’ideologia questa diventa la somma di tutti i guai che può incontrare il cristianesimo». Cristo unito alla Chiesa, da scrivere sempre con C maiuscola, che ne è il suo corpo.
Il suo rapporto “sponsale” con la Chiesa di San Petronio non ha mai avuto crisi. «Di ciò sono grato al Signore», diceva Biffi, «e sono grato altresì ai bolognesi nel loro complesso, indipendentemente dalle loro funzioni e dai loro convincimenti, che mi hanno consentito una permanenza serena e appagata.
Tanto che, scherzando, mi tornava spontaneo dichiarare di non aver avuto neppur la più lontana tentazione di mancare contro il nono comandamento (“non desiderare la donna d’altri”); non vedevo al mondo nessuna “Sposa” – nessuna Chiesa – che mi sembrasse più bella e desiderabile di quella che la Provvidenza mi aveva destinato. È stata per me una fortuna singolare l’aver potuto conoscere da vicino la bella realtà di questa Chiesa petroniana e la grande ricchezza umana, culturale, spirituale della gente bolognese. Più ancora è stata per me una fortuna l’aver a lungo condiviso con questa Chiesa e con questa gente le speranze e le preoccupazioni, le esperienze gioiose e le pene, il gusto di una memoria storica tra le più illustri e benemerite della vicenda civile e al tempo stesso l’ansia di preparare e favorire un avvenire degno del nostro passato».
Da uomo libero, perché di Cristo, era pieno di ironia, di capacità di non adeguarsi mai al politically correct o ad un Dio “a modo loro”, a propria immagine e somiglianza, che conviene, disposto a lasciarci vivere e comportare a nostro piacimento. Per niente ideologico, le sue analisi erano «spoglie di fronzoli e genericità concordistiche» e facevano venire «voglia di andare ai fondamentali», come scrisse di lui uno di quei non credenti aiutati dalla sua «sorridente brutalità». Biffi era capace di usare la «spezia dell’ironia», che diventa «fremito elettrizzante della critica netta allo stereotipo, all’asserzione scontata, al luogo comune codificato, all’enfasi retorica». Credo che fossero le cose che gli dessero più fastidio, come le banalità da salotto, verso le quali non aveva accomodamenti a costo di risultare graffiante. Trattasi dello gnosticismo e del pelagianesimo indicati spesso da Papa Francesco.
Nella memoria riconoscente, nella tradizione della Chiesa che conserva l’essenza e non smette di venerare e difendere la comunione, chiediamo al Cardinale di pregare per noi pastori soprattutto perché «non dimentichiamo mai che la più grande povertà dell’uomo è non conoscere Gesù Cristo» e per annunciare il Vangelo di Cristo con intelligenza e cuore, liberi da sterili e facili confronti. E perché ci confrontiamo con Gesù per combattere il vero e unico nemico, il divisore. Il Cardinal Biffi propose questa preghiera per tutti i ragazzi e la sentiamo così vera anche per noi: «Gesù, Figlio di Dio, Signore dei vivi e dei morti, Salvatore del mondo, abbi pietà di noi. Per la tua croce e la tua risurrezione, mandaci lo Spirito di verità: facci conoscere il Padre, edifica la tua Chiesa, guidaci al Regno eterno. Amen».
Sempre con le sue parole ci affidiamo all’intercessione materna di Maria. «Dolce Madre di Cristo, gioisci, ma non dimenticare le nostre tristezze. Gioisci, ma prega per noi. Prega per le ansie e le pene dei figli, per gli spiriti senza fiducia, per le anime dolenti e impolverate. Prega per chi più non riesce a distinguere il bene dal male, per chi non crede più che una verità esista da qualche parte, per chi non spera più che sulla terra si possa incontrare l’amore. Vergine senza macchia, prega per noi peccatori. Prega adesso, perché i nostri giorni sono fuggevoli e breve è il tempo in cui dobbiamo decidere un destino senza fine. E prega per l’ora della nostra morte; l’ora in cui non saremo soli davanti al mistero infinito soltanto se tu, santa Madre di Dio, sarai pietosamente accanto a noi; l’ora che sarà, per chi si è affidato a te, il momento della vera nascita e della vita».
È stato così per lui. È cosi per tutti. Magnificat, in eterno, Amen.
